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venerdì, Aprile 26, 2024

Pnrr e centri abitati, ecco la rivoluzione del Tar. Mazzata per la Regione Campania

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La classificazione deve basarsi su criteri certi e non astratti. La società agricola “Il Giardino Mediterraneo” ubicata alla località Montagnone era stata esclusa dal finanziamento per la valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale a causa di una “svista” dei burocrati regionali. Ma i giudici amministrativi hanno già concesso la sospensiva e nell’udienza di merito arriverà il definitivo accoglimento del ricorso. Anche l’avviso pubblico era incompleto e quindi illegittimo. Una severa e pesante bocciatura alla superficialità degli uffici di De Luca grazie all’avvocato Miriam Petrone

La Regione Campania, nell’erogare i finanziamenti rientranti nel Pnrr destinati ad aziende agricole per interventi volti alla protezione e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale, ha commesso un errore, avendo utilizzato strumenti obsoleti e imprecisi per la definizione e delimitazione dei centri abitati, ove tali interventi non sono consentiti.

E così la società agricola ischitana “Il Giardino Mediterraneo” con sede alla località Montagnone si è ritrovata esclusa dal finanziamento a cui si era candidata. Ritenendo di essere nel giusto, ha deciso di ricorrere al Tar che le ha già dato ragione nell’accogliere la richiesta di sospensiva. Con ben due ordinanze. Per la discussione del merito l’udienza è stata fissata al 9 maggio prossimo. Ma appare a questo punto palese la illegittimità della esclusione.
Nel ricorso a firma dell’avv. Maria Petrone si richiede l’annullamento di tutti gli atti regionali “viziati” previa sospensione: il primo provvedimento del novembre scorso con cui era stata comunicata alla società ricorrente l’esclusione dalla selezione bandita con avviso pubblico e la conseguente non ammissione alla fase successiva della valutazione di merito; del decreto dirigenziale di dicembre che approvava la graduatoria finale inserendo la domanda de “Il Giardino Mediterraneo” nell’elenco di quelle inammissibili; del verbale istruttorio e di altri atti.

Chiamando in causa anche la società “Pietratorcia” che evidentemente aveva beneficiato del finanziamento, ma che a differenza della Regione non si è nemmeno costituita in giudizio.
Nel ricorso viene quindi ricostruita analiticamente la vicenda, dalla pubblicazione del bando di finanziamento pubblicato dalla Regione, finalizzato «a dare impulso ad una vasto e sistematico di conservazione e valorizzazione di una articolata gamma di edifici storici rurali e di tutela del paesaggio rurale, in linea con gli obiettivi di tutela del patrimonio culturale e degli elementi caratteristici dei paesaggi rurali storici e si sostegno ai processi di sviluppo locale». La stessa Regione aveva riaperto i termini per la presentazione delle domande fino al 30 settembre 2022. E la società ricorrente aveva presentato domanda il 27 settembre, dunque entro il termine prorogato.

RIGETTO ILLEGITTIMO

Ma poi la doccia fredda. Il direttore generale della Giunta regionale aveva comunicato l’esclusione «e la “non ammissione” della sua domanda alla successiva fase della valutazione di merito, sull’erroneo assunto che “il bene oggetto della proposta è localizzato in un centro abitato”, laddove il bando prevede che sono inammissibili le operazioni riguardanti beni localizzati nei centri abitati». Posizione confermata appunto all’atto della pubblicazione della graduatoria.
Un errore, come vedremo. E subito nel ricorso si evidenzia «che, contrariamente a quanto affermato nel provvedimento reiettivo impugnato unitamente a tutti gli atti della selezione pubblica de qua, la proprietà della società ricorrente in relazione alla quale è stata presentata la domanda di finanziamento di che trattasi, come documentalmente provato, è ubicata al di fuori del centro abitato». Come è stato possibile ricomprendere il Montagnone in un centro abitato? Lo sanno solo negli uffici della Regione, o meglio non lo sanno nemmeno loro, come è emerso dalla difesa prodotta…

Innanzitutto, il ricorso si richiama alla norma che stabilisce che «Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda». Cosa che non è avvenuta. Infatti «nel caso in esame, l’amministrazione resistente ha omesso ogni formale comunicazione di avviso preventivo di rigetto. Di qui l’evidente vizio procedimentale che, ancorché isolatamente considerato, determina senz’ombra di dubbio la illegittimità del provvedimento impugnato».
Non c’è stata possibilità di “difesa”: «E’ evidente, pertanto, che, nella specie, la ricorrente non ha avuto la possibilità di apprezzare e contrastare “ex ante” i futuri effetti dell’attività amministrativa posta in essere nei suoi confronti, in una situazione in cui la composizione dell’assetto degli interessi pubblici e privati non era ancora delineata, e di interloquire con l’ente, fornendo utili apporti collaborativi attraverso la produzione di pertinenti osservazioni ed evidenziando, in particolare, che la proprietà in questione non ricade in centro abitato».

FA TESTO IL PRG

E veniamo al nodo centrale, ovvero la delimitazione del centro abitato. La ricorrente ha fatto notare che «Il giudizio di inammissibilità qui opposto si basa unicamente sulla circostanza che la proprietà della ricorrente ricadrebbe in centro abitato. In effetti, l’art. 2 del Bando in questione tra le tipologie di patrimonio culturale rurale oggetto di intervento esclude tutti quegli interventi riguardanti beni localizzati nei centri abitati.
Ma come documentalmente provato, nel caso in esame, l’intera proprietà della ricorrente in relazione al quale è stata presentata la domanda di finanziamento di che trattasi è ubicata nel comune di Ischia, località Montagnone, fuori dal centro abitato.
La stessa, infatti, come si evince dalla tavola grafica allegata alla domanda di partecipazione, ricade in zona F1 del PRG di Ischia, ovvero in zona agricola».
Una realtà incontrovertibile. E dunque nel ricorso si ribadisce: «Alla luce di quanto sin qui evidenziato, è logico ritenere che l’amministrazione resistente, nel dichiarare inammissibile la domanda della società ricorrente sia incorsa in una vera e propria “svista”, ovvero in un errore di lettura della documentazione trasmessa in sede di presentazione della domanda, non essendovi alcuna contraria evidenza documentale che possa aver indotto la Regione Campania a ritenere che la proprietà della ricorrente fosse ubicata in centro abitato.
Tale “svista”, pertanto, ha erroneamente indotto la Regione Campania a dichiarare inammissibile la domanda attorea, precludendole qualunque valutazione di merito in ordine alla sua ammissibilità ex art. 9 del bando».

DANNO GRAVE ED IRREPARABILE

La società ischitana non era tenuta «ad allegare alla propria domanda una specifica certificazione del comune di appartenenza circa l’ubicazione territoriale della sua proprietà all’interno e/o all’esterno del centro abitato, in quanto una simile attestazione non è prevista all’art. 8 del bando, il quale si limita a richiedere grafici e relazione descrittiva dell’intervento».
Non essendo affatto chiaro da dove fosse scaturita questa classificazione come centro urbano, nel ricorso si chiede che la Regione «nel costituirsi in giudizio, depositi tutti gli atti relativi al procedimento in interesse e che, in mancanza, se ne disponga l’acquisizione nel termine e nei modi opportuni». La domanda di sospensione – prontamente accolta dal collegio della Terza Sezione del Tar – era basata sulla palese illegittimità degli atti regionali e sul danno grave ed irreparabile «che la ricorrente viene a subire in caso di esecuzione degli atti impugnati, poiché nelle more del giudizio i fondi messi a disposizioni dalla Regione Campania in relazione al bando di che trattasi si esauriranno e nulla potrà più essere riconosciuto alla ricorrente stessa».

LE BACCHETTATE DEL TAR

Il collegio presieduto da Anna Pappalardo non ha avuto dubbi. Nella ordinanza che concede la sospensione boccia già in toto la conclusione a cui era giunta la Regione. La cui costituzione in giudizio non ha migliorato la situazione, anzi si è trasformata in un vero e proprio autogol… Il punto nodale è che «la domanda della ricorrente è stata esclusa in quanto il manufatto destinatario del finanziamento, è “localizzato in un centro abitato”, in violazione di quanto previsto nel bando (che ha escluso dai finanziamenti gli edifici e i manufatti siti in centri abitati)». Una circostanza fondatamente contestata dalla ricorrente «in quanto l’edificio è invece ubicato in zona rurale, l’area d’intervento non è tra quelle perimetrate nel centro abitato del Comune di Ischia e ricade in parte in zona F1 (verde di rispetto) ed in parte in zona E (zona agricola), come da relazione allegata in atti».

E quindi i giudici amministrativi passano alle controdeduzioni della Regione, che rappresentano una “perla” di ignoranza e superficialità che viene severamente bacchettata: «Rilevato che la Regione ha controdedotto facendo riferimento ad una metodologia di localizzazione del bene come ricadente in un centro abitato (fornita dall’Istat per la classificazione dei dati scaturenti dal censimento del 2011) individuata di propria iniziativa (anche in ragione dell’assenza di criteri nell’Avviso pubblico, il che costituisce ulteriore ragione di illegittimità) e basata su elementi astratti, senza l’effettuazione di una istruttoria che tenga conto della reale “ruralità” dei manufatti».
I burocrati regionali non solo hanno redatto un avviso incompleto e già di per sé illegittimo, ma hanno ingiustamente escluso dal finanziamento un’azienda basandosi su semplici dati astratti…

La documentazione fornita da “Il Giardino Mediterraneo” è invece completa ed incontrovertibile, come sottolinea l’ordinanza: «Ritenuto che, invece, dall’esame della documentazione fornita dalla ricorrente appare evidente l’ubicazione del manufatto in un contesto rurale, caratterizzato da case sparse, senza presenza di servizi pubblici o trasporti pubblici o esercizi commerciali e quindi, in finale, fuori da un’area riconducibile ragionevolmente alla nozione di “centro abitato”». Una “svista” che ha rischiato di causare un danno grave con la esclusione dai contributi. E poiché in attesa dei tempi di decisione della giustizia i fondi si esaurirebbero, è stata accolta la richiesta di sospensione. Il collegio lo scrive a chiare lettere: «Ritenuto che, oltre al fumus di fondatezza del ricorso, sussiste il pregiudizio grave stante la natura del finanziamento richiesto (Pnrr); Ritenuto che la Regione dovrà conseguenzialmente provvedere alla riammissione della ricorrente al richiesto finanziamento». Il merito come detto verrà discusso nell’udienza del 9 maggio, ma l’esito è scontato. E intanto “Il Giardino Mediterraneo” dovrà essere riammesso. Una decisione che stabilisce anche per tutti gli altri casi analoghi paletti ben precisi e impone l’adozione di criteri seri e certi per la classificazione dei centri abitati e di quelle zone che invece non vi rientrano. Non è consentito “navigare a vista” quando è in ballo il diritto di un’azienda ad accedere ai finanziamenti istituiti per sostenere l’economia. E l’errore nella redazione dell’avviso pubblico avrà pesanti conseguenze. Un pastrocchio di cui i responsabili degli uffici del governatore De Luca dovrebbero vergognarsi…

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