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sabato, Aprile 27, 2024

Ad un amabile e vecchio amico. “AD AMABILEM AC VETEREM AMICUM”

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N.N. | Mio carissimo don Giovì,
ora che hai raggiunto il traguardo del tuo cinquantesimo anno come parroco, anch’io voglio dedicarti qualche riflessione tratta dalla valigia dei miei ricordi.
A te che sei stato e sei non solo il sacerdote posto a capo di una pieve, ma il padre, l’amico, il fratello di un’intera comunità e che con il tuo agire ne hai persino travalicato i confini.

Nulla ti è sfuggito in tanti anni e qualsiasi umana problematica veniva indiscutibilmente sottoposta al tuo discernimento e giammai hai esitato ad intervenire con la dovuta fermezza; nel silenzio del nascondimento hai provveduto ad ogni bisogno, in special modo nei confronti dei giovani, che hai continuamente cercato di guidare sulla retta via e di sistemare in seno alla società secondo le loro capacità, in modo che formassero sane e sante famiglie.
Nessuno potrà dunque negare che, nello stesso momento in cui si va a nominare la parrocchia di San Vito Martire, immediatamente la si associ a te, lo stereotipo del curato e “U Paricchian” per antonomasia; tale rimarrai nell’immaginario collettivo dei Foriani.

Ti scrivo con affetto, andando con la mente a guardare i tuoi occhi vispi, quasi furbi, da “giovane nato prima”, come andava a definire gli anziani il compianto don Ignazio Schinella.
Ed in quello sguardo intravedo il tuo “non dire” e che va ben oltre a quanto immaginino i più.

Si può affermare che io ti conosca da sempre, sin dai miei primi vagiti ed attraverso le parole di mio nonno, del quale eri confessore; della mia mamma, la quale, pur trasferita in altra parrocchia una volta sposata, a San Vito è rimasta indissolubilmente legata.
Tu, don Giovì, l’hai incessantemente considerata, e per te è rimasta tale, la bimba mora dalle lunghe trecce e dagli occhi color notte, che avevi visto nascere.

Mai l’hai chiamata con il suo nome di battesimo, preferendo usare di quel nome il diminutivo affettuoso che avevi per lei scelto, e guai a chicchessia nel menzionarla diversamente.
Non faccio che sorridere nel pensare che a tutt’oggi, quando mi capita di venirti a salutare e dovendo ricordarti chi sia, perché alla tua età ti sfugge al momento, ti impunti contro tutti con il tuo bastone, corrucciando il volto in modo capriccioso, e persino da me, che le sono figlia, pretendi con divertente prepotenza che anch’io la citi proprio con quel diminutivo, mentre qualche lacrima di commozione cola dai tuoi occhi.

Mi sovviene alla mente allorché, io piccola, con lei ti incontravo per strada, sempre in talare, con in testa il saturno, e nella mano la borsa nera.
La mia mamma ti baciava con reverenza la mano e tu, pur sacerdote, ti levavi dalla testa il cappello romano come atto di galanteria verso una donna. La benedicevi, sorridendo a quella che per te è “bambina per sempre”, insieme ai suoi figli.

Mi fu insegnato da lei il perché di quella riverenza ad un prete e ad oggi non nego di usarla come banco di prova per testare l’umiltà di alti prelati, vescovi e sacerdoti con cui ho a che fare.
Vedi, don Giovì, qualora si voglia capire se veramente qualcuno di loro sia modesto o meno e metta Dio al primo posto e non se stesso, basta cercare di baciargli la mano consacrata, perché consapevoli di toccare direttamente il Signore nelle loro mani e non certo loro.

Nel caso cerchino di sottrarsi al gesto, fingendo umiltà, stiamone certi che ci troviamo dinanzi a dei vanagloriosi e degli spocchiosi, che, dietro ad una mansuetudine di facciata, nascondono un’indole altamente superba, se non “fornacellica”, e per nulla caritatevole nel Nome di Gesù.
Orbene, mio caro giovane amico, non è affatto vero che tu sia “un vaso di creta in mezzo a tanti di ferro”, come una volta ti definisti; forse è realtà il contrario.

Ma ti dico pure che, leggendoti in faccia, sono persuasa che nell’animo tu stia pregando per un qualcosa di ben determinato e non si tratta di quello che pensano tutti.
Altro è il tuo desiderio a riguardo dell’identità della persona che, episcopus denique praecipiens, speri raccolga l’eredità della tua gerenza parrocchiale.
Come non fanno a capirlo?

E intanto tu instancabilmente preghi, trascinando la fatica dei tuoi lenti passi ed ascoltando il battito dolce del tuo cuore sonnacchioso e sveglio, nella speranza che il sacerdote, che veramente hai mente, possa essere il prescelto non solo nella Volontà di Dio, ma anche in quella del presule.
Staremo a vedere e nel mentre preghiamo… Un abile condottiero ed araldo di Cristo possa divenire il degno operaio nella vigna del Signore presso la basilica di San Vito, ricevendo l’eredità che gli lasceresti e non dissipandola rovinosamente nell’arco di un fiat… E con te noi preghiamo…

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