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lunedì, Aprile 29, 2024

Il ricordo. Federica Taglialatela

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Sandra Malatesta |

Ci ho pensato come ci penso spesso a tenerti viva in me, e poi so che non ho nemmeno bisogno di pensarci, tu sei parte del mio essere, dei miei ricordi, dei nostri momenti. Se tu fossi qui, adesso io saprei cosa fare: dice un pezzo dolcissimo di Pino Daniele, che ogni volta con quelle parole mi emoziona. Fedi, io ti chiamavo così fin da quando ti conobbi nel 1974, in quel parco a Via Delle Ginestre dove andai fresca sposa a vivere con mio marito.

Avevi due anni e un sorriso da scugnizzella che mi arrivava da dietro i ferri del balcone, tra i quali mettevi la tua faccina per salutare chiunque passasse. Se tu fossi qui Fedi, io non saprei cosa fare come invece dice Pino Daniele. Non saprei perché con te niente era scontato. La tua allegria contagiosa e quel camminare ancora non in modo sicuro, a volte mi facevano correre da te e stringerti forte, a volte ti aspettavo fuori la tua porta per portarti a casa mia, avvisando la tua mamma, a volte mi nascondevo dietro la macchina per guardare di nascosto quei tuoi occhi scrutare ovunque incuriositi. Io devo sempre parlare di te, devo farlo, e lo faccio con tutto il mio cuore, perché giurai quel giorno in chiesa toccando l’orsacchiotto che c’era sulla bara, che a costo di sembrare esagerata o ripetitiva, avrei parlato di te, avrei raccontato i tuoi 12 anni e mezzo, avrei detto di quegli ultimi giorni a scuola prima delle vacanze che tu avresti trascorso con la tua famiglia a Milano, della diecimila lire che ti diedi per comprarmi gomme da cancellare dalla forma strana, per la mia collezione, di cui tuo padre mi raccontò dicendo: “Sandra Federica mi aveva detto, “papi ho i soldi di Sandra in tasca, appena arriviamo a Milano devo comprarle le gonne che le piacciono tanto”,  di quel libro di matematica diventato mille piccoli pezzettini, e che tenevi perché nel lungo viaggio da Napoli a Milano avresti fatto le dieci espressioni e proporzioni che avevo assegnato, così non mi avresti sentita mormorare al ritorno.

Di quei brillantini che avevi cucito sulle gambe del pantalone per essere più femminile e APPARARE, come mi dicesti ridendo, il taglio di capelli corto che avevi fatto da poco. Trentanove anni da quel brutto giorno in cui insieme a te morirono altri, e anche due bambini, furono feriti gravemente tua madre, tuo padre, tuo fratello e tanti altri. Federica sono quasi vecchia, ho dolori alle gambe, scrivo tanto e tu lo sapevi perché spesso scrivevi il tuo diario con la chiavetta insieme a me nella mia cucina, e se tu fossi qui mi riconosceresti subito, perché i nostri occhi sono quelli di allora, e lo so, mi faresti l’occhiolino, mi chiameresti prima Prof e subito dopo Sandra, perché sai prof, possono pensare che mi tratti meglio.

Sei stata una vittima innocente di una strage di stato come le altre vittime, e a me questa parola mi fa venire rabbia, quella rabbia che io non provo mai, si scatena appena sento STRAGE DI STATO. Queste tre parole sembra che vogliano indorare la pillola, perché invece per me tu sei stata vittima di un attentato fatto da vigliacchi, da gente che dice di avere una ideologia e invece ha solo rabbia, cattiveria, mancanza di pietà. Tu e tutti gli altri siete stati uccisi, uccisi senza che vi guardassero negli occhi, come fanno i vigliacchi capaci magari di sparare alle spalle, ma non di fronte. Io in questi casi mi sento strana e non riesco a perdonare, pur credendo in Dio, non ci riesco e penso a lui sulla croce che forse si sorprese del padre che non lo aiutava. Fedi, ti amo sempre tanto, perché l’amore non vuole per forza farsi toccare, no, l’amore se c’è resta lì al suo posto, e compare se sento Eros Ramazzotti il tuo idolo cantare, se vedo una maglia color carta di zucchero l’ultima da te indossata, se vedo la pubblicità di patatine che tu sapevi imitare. Mi fermo, chiudo gli occhi, compari, sorrido teneramente e poi, però mi scende una lacrima. Non ti dimentico, parlo ancora di te, e questo i vigliacchi non lo avevano messo in conto.

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