fbpx
venerdì, Maggio 3, 2024

NESSUN TRUCCO. La Cassazione sul caso Silvio Trani: «Non emerge il reato di truffa»

Gli ultimi articoli

La sentenza che ha annullato l’ordinanza del riesame che confermava il sequestro disposto dal gip. Disposta la restituzione dei 237.093 euro. Accolto il motivo fondante del ricorso: «Non integra il reato di truffa la condotta di chi, mediante l'induzione in errore del giudice in un processo civile o amministrativo, ottenga una decisione a sé favorevole». L’inerzia dell’Agenzia delle Entrate - Riscossione

Come già riportato, la Corte di Cassazione ha dato ragione all’avv. Silvio Trani, annullando il sequestro dei237.093,04 euro disposto a settembre scorso dal gip che gli contestava il reato di truffa aggravata e confermato dal tribunale del riesame con l’ordinanza adottata ad ottobre. Ed è proprio quest’ultimo provvedimento che Trani, difeso dall’avv. Elena Fortuna, aveva impugnato dinanzi ai giudici di legittimità. Cassata quella ordinanza, la somma sequestrata viene restituita al legale.
Il collegio della Seconda Sezione analizza il ricorso, fondato su diversi motivi che ricostruiscono le fasi della vicenda.

IL RICORSO
Innanzitutto Trani evidenziava «che è pacifico che le somme sottoposte a sequestro gli sono pervenute in forza di alcune ordinanze di assegnazione pronunciate dal giudice dell’esecuzione del Tribunale civile mai opposte e mai appellate; che le procedure esecutive sono state attivate con titoli esecutivi giudiziari validi, efficaci e non contraffatti, così come non sono contraffatti anche il precetto e l’atto d’intervento.
Da ciò deduce l’insussistenza degli artifici (essendo validi e autentici i titoli esecutivi) e il raggiro (essendo state regolarmente attivate le procedure previste dalla legge)».

Il ricorrente osservava in proposito che il debitore «anche ove il titolo fosse già stato soddisfatto, come ritenuto in questa sede penale, è stato sempre messo in condizione dall’odierno indagato, di contrastare le azioni esecutive, ove mai ritenute illegittime, con i mezzi messi a disposizione dall’ordinamento attivando le parallele opposizioni nei termini previsti dall’ordinamento ed indicati a garanzia del debitore nello stesso atto di pignoramento. Ciò che allora viene in rilievo è che l’odierno ricorrente nulla abbia fatto per impedire tali legittimi mezzi di difesa tantomeno avvalendosi di artifizi o raggiri».
In riferimento al consenso e alla disposizione patrimoniale, eccepiva «l’insussistenza dell’atto di disposizione patrimoniale costituente elemento costitutivo del reato di truffa, in quanto nel caso in esame l’atto di disposizione patrimoniale non è un atto volontario della vittima del reato, ma un atto giudiziario, di un soggetto terzo, che è il giudice dell’esecuzione.
Rimarca come per la giurisprudenza di legittimità non possa ritenersi configurata una truffa quando l’agente ottenga una decisione a sé favorevole in un giudizio civile, mediante artifici o raggiri idonei a trarre in inganno il giudice, mancando l’elemento costitutivo dell’atto di disposizione patrimoniale».

L’ERRORE DEL TRIBUNALE DEL RIESAME
In riferimento al destinatario dell’asserita falsa rappresentazione, nel ricorso si evidenziava che «il giudice riconosce l’orientamento di legittimità menzionato al punto precedente, ma ritiene che il caso in esame ricada in ipotesi diversa, sul presupposto che la condotta ingannatoria – individuata nell’avere falsamente rappresentato, con il pignoramento, di essere creditore delle somme staggite – non era diretta al giudice, bensì all’ADER (Agenzia delle Entrate – Riscossione, ndr) e al terzo, tanto che proprio il terzo avrebbe reso la dichiarazione positiva, costituente il presupposto dell’ordinanza di assegnazione.

Tale ricostruzione – sostiene il ricorrente – costituisce un travisamento dell’assunto giurisprudenziale e costituisce una violazione di legge sia in relazione al terzo che al debitore, visto che il primo è obbligato a rendere la dichiarazione, mentre il debitore ha la possibilità di opporre eccezioni intese a negare la sussistenza del debito, entrambi avvisati con l’atto di pignoramento».
Ne consegue «che abbia errato il Tribunale a ritenere che la presunta falsa rappresentazione della realtà sia stata rivolta all’ADER o al terzo, in quanto, a tutto concedere, solo rappresentandola al giudice nell’udienza il creditore, oggi accusato, avrebbe potuto ottenere, come poi è accaduto, l’ordinanza di assegnazione che costituisce l’atto di disposizione patrimoniale asseritamente causativo del danno patrimoniale alla presunta vittima». Richiamando una precedente ordinanza della Cassazione.

REATO PRESCRITTO
Il ricorso puntava anche sulla improcedibilità dell’azione penale per quanto attiene Equitalia spa, osservando che «per una serie di procedure la vittima del reato viene individuato nel gruppo Equitalia S.p.a. che è un soggetto di diritto privato, con la conseguenza che il reato rientra nel paradigma dell’art. 640, comma primo, cod. pen., così essendo necessaria la querela di parte, mancante nel caso in esame, con la sua conseguente improcedibilità.
La mancanza della querela viene dedotta assumendosi che la querela è stata proposta da un soggetto diverso dalla persona offesa, ossia dall’ADER e non da Equitalia s.p.a.».

Il reato peraltro sarebbe già prescritto: «A tale riguardo il ricorrente osserva che i pagamenti incriminati (alcuni di essi, per un importo pari a euro 159.045,38) sono stati effettuati tra il primo agosto 2016 e il 17 maggio 2017, così essendo decorso un tempo pari a sei anni rispetto al primo atto interruttivo, costituito dal decreto di sequestro notificato il 21/09/2023.
Da ciò deduce la prescrizione del reato in relazione a tali importi».
Infine, «il sequestro è stato disposto con funzione di confisca del profitto del reato». Di qui «il vizio di omessa motivazione in ordine alla sussistenza di ogni elemento utile a far ritenere il pericolo di dispersione, modificazione deterioramento del bene in sequestro».

NESSUNA ALTERAZIONE DELLA REALTA’
Il collegio ha ritenuto il ricorso fondato così motivando sull’aspetto principale della questione: «La condotta contestata all’indagato può essere sintetizzata nel senso che l’Avvocato Trani attivava più volte il medesimo titolo esecutivo, introducendo varie procedure esecutive, nonostante che il credito portato dal titolo fosse già stato precedentemente soddisfatto, così provocando l’emissione di più ordinanze con cui il giudice dell’esecuzione assegnava – ai clienti dell’indagato o a lui stesso – somme non dovute, in quanto già pagate».
E il passaggio successivo della sentenza aggiunge: «Va ulteriormente precisato che tanto avveniva senza alcuna alterazione della realtà, atteso che i titoli portati in esecuzione erano autentici e validi e venivano regolarmente notificati al debitore; così come gli venivano notificati l’atto di precetto, il successivo pignoramento, l’atto di intervento e l’ordinanza di assegnazione.
Tanto vale a far emergere che, nessun artificio è stato realizzato dall’indagato per indurre in errore il debitore».

ATTI ESECUTIVI NON OPPOSTI
Cade dunque un elemento fondante della truffa e la responsabilità del “doppio pagamento” ricade proprio sull’Agenzia delle Entrate:
«L’indagato, invero, con la notificazione del titolo esecutivo, del precetto e del pignoramento e con l’atto di intervento ha palesato al debitore l’intenzione di attivare (e dipoi di avere iniziato) una procedura esecutiva per il soddisfacimento di un credito già soddisfatto, rispetto alla quale l’ADER – così resa edotta di ciò – avrebbe potuto (e dovuto) attivare gli strumenti apprestati dall’ordinamento per far valere l’estinzione dell’obbligazione, ossia, tra l’altro ed esemplificativamente, l’opposizione agli atti esecutivi o l’opposizione all’esecuzione.

Strumenti che non sono stati attivati dall’ADER, neanche avverso l’ordinanza di assegnazione che, invero, non veniva impugnata, ma veniva eseguita, pur nella consapevolezza della non dovutezza dell’importo di cui quell’ordinanza ordinava il pagamento».
Per i giudici di legittimità «Tali notazioni fanno emergere la fondatezza delle doglianze del ricorrente, che ha correttamente eccepito che non vi sono stati artifici o raggiri intesi a incidere sul procedimento della formazione della volontà del debitore; che, conseguentemente, l’atto di disposizione patrimoniale (il pagamento) non è il risultato dell’induzione in errore, in quanto esso è stato un atto necessitato dall’ordine impartito dal giudice con l’ordinanza di assegnazione.

L’unica condotta intesa ad alterare la realtà, in effetti, risulta realizzata soltanto verso il giudice, cui veniva sottaciuto che il credito attivato era già stato soddisfatto».
Di qui l’insussistenza della truffa: «A fronte di quanto fin qui rilevato, va ribadito che “non integra il reato di truffa la condotta di chi, mediante l’induzione in errore del giudice in un processo civile o amministrativo, ottenga una decisione a sé favorevole, mancando l’elemento costitutivo dell’atto di disposizione patrimoniale, posto che il provvedimento adottato non è equiparabile a un libero atto di gestione di interessi altrui, ma costituisce esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, né può assumere rilevanza la riserva contenuta nell’art. 374 cod. pen., che si riferisce ai casi in cui il fatto sia specificatamente preveduto dalla legge nei suoi elementi caratteristici”», citando la giurisprudenza in materia.

L’ATTO DI DISPOSIZIONE PATRIMONIALE
Il Riesame ha sbagliato: «Diversamente da quanto sostenuto dal tribunale, quindi, il fatto così come ritenuto, ricade ancor con più forza nella disciplina dell’enunciato principio di diritto, ove si consideri che – come già evidenziato – nel caso delle procedure esecutive, il debitore è pienamente edotto dei contenuti del titolo esecutivo, che gli viene notificato, così come gli viene notificato il pignoramento e l’eventuale atto di intervento, tutti atti avverso i quali viene messo nelle condizioni di difendersi e opporsi, attivando gli strumenti riconosciuti dalla legge.

Da qui la mancanza di artifici e/o raggiri intesi a indurre in errore la persona offesa». Dunque «L’unico raggiro, come visto è costituito dal sottacere al giudice che quei crediti per cui è stata iniziata la procedura esecutiva erano già stati soddisfatti.
Da ciò discende che anche in questo caso, l’atto di disposizione patrimoniale non è stato indotto da un errore provocato nella formazione della volontà della vittima, ma si risolve in un atto dovuto perché ordinato da un provvedimento giudiziale emesso in esito a una procedura in cui il debitore è rimasto inerte, così legittimando l’ordinanza di assegnazione». In questo caso, appunto, non si configura il reato di truffa.

E la Cassazione conclude: «Da quanto esposto emerge l’insussistenza del requisito del fumus commissi delicti, con la conseguenza che il sequestro è stato disposto in violazione di legge. L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio, con conseguente restituzione all’avente diritto delle somme in sequestro».
Questo unico elemento decisivo assorbe tutti gli altri motivi del ricorso e l’avv. Silvio Trani incassa in questa fase una sentenza significativamente favorevole.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Gli ultimi articoli

Stock images by Depositphotos