Due ritiri eccellenti in pochi giorni: quello del DDL targato Lega che intendeva vietare le parole al femminile con tanto di cospicua sanzione per i trasgressori (rientrando in tal modo nei ranghi di un esecutivo serio che non ha certo tempo di dare importanza a queste battaglie boldriniane radical-chic) e quello di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca contro Donald Trump. Oggi, ovviamente, parliamo del secondo.
La decisione del presidente uscente, sebbene fortemente auspicata da tutti gli antagonisti del tycoon che speravano da tempo nel cambio in corsa con un candidato forte, ha però creato un problema ben più grande ai Dem statunitensi. Perché se Sleepy Joe si fosse limitato a chiamarsi fuori dall’agone, probabilmente imbastire una discussione sul nuovo candidato sarebbe risultato molto più semplice. Ma la sua investitura a Kamala Harris ha messo a nudo le enormi difficoltà che larga parte dei quattromila delegati (e non solo) avranno a digerire il nome dell’attuale vice-presidente. A cominciare, giusto per fare un esempio, dai coniugi Obama.
Kamala Harris è un personaggio estremamente controverso, che tra i suoi punti a favore può senz’altro vantare l’ottima carriera in magistratura, l’essere figlia di una coppia multietnica di genitori talentuosi e beneficiari a piene mani di quella meritocrazia da lei mai troppo esaltata e, soprattutto, il sogno dei nostalgici afro-americani per un Obama “al femminile”, essendo la prima donna -per giunta di colore, afro-americana e afro-indiana- a poter raggiungere la presidenza degli Stati Uniti d’America.
Di contro, Laughing Kamala (ecco il soprannome fresco coniato da Trump, che l’ha già definita “pazza”) non è certo un personaggio che unisce. Nel corso del quadriennio Biden, ella ha sempre mal sopportato il ruolo dietro le quinte impostole dall’entourage presidenziale dopo le sue svariate uscite a sproposito collezionate ad inizio mandato, essendo abituata ad un certo presenzialismo a cui è riuscita a stento a rinunciare pur di mantenere il ruolo alla Casa Bianca. E se da una parte l’endorsement di Biden potrebbe rivelarsi controproducente, dall’altra ha anche un po’ spiazzato chi pensava ad altri candidati piuttosto che a lei.
Cosa succederà ora? Io naturalmente sono sempre per Trump e molti amici Dem che ho sentito sono altrettanto convinti che dopo l’attentato di cui è stato vittima non ci siano avversari utili a batterlo. Tuttavia solo il trascorrere di questi prossimi cento giorni che ci separano dal 5 novembre potranno progressivamente guidarci al vero risultato finale, dalle urne e, magari, senza brogli. Per Kamala, invece, chissà se basterà la convention Dem di metà agosto…