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Kamala e Donald: il primo confronto | #4WD

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Daily 4ward di Davide Conte del 12 settembre 2024

I commenti trionfalistici degli opinionisti filo-dem, i facili entusiasmi di chi è contro a prescindere, gli endorsement della star di turno, le conclusioni scontate di chi va acriticamente a rimorchio senza considerare i fatti e la storia: ecco la sintesi delle risultanze del primo confronto ufficiale tenutosi ieri notte tra Kamala Harris e Donald Trump.
E’ fuor di dubbio che lo stile, il linguaggio, il sesso e l’età della nuova contendente paiono di gran lunga sufficienti a poter sconfiggere di brutto il tycoon nelle elezioni presidenziali del prossimo 6 novembre. Ma a proposito di fatti e di storia, è indispensabile compiere alcune valutazioni meno superficiali.

Innanzitutto, accadde molto ma molto peggio nel 2016, quando tutti davano più che sconfitto Trump contro Hillary Clinton, menzionando decine di sondaggi rivelatisi poi completamente inattendibili, visto il risultato diametralmente opposto che lo portò alla Casa Bianca fino al 2020. dove per l’intero quadriennio, resistendo ad ogni forma di attacco, non ha mai intrapreso una guerra e si è guadagnato per l’americano medio il titolo di rifondatore del benessere e dell’orgoglio patrio che tuttora gli viene riconosciuto, nonostante tante cadute di stile che lo espongono ai costanti attacchi di tanti delatori.

Ma quel che più conta è che nonostante l’ago della bilancia di questo dibattito d’esordio penda oggettivamente a favore della Harris, negli swing states (gli stati che decidono sistematicamente le sorti di ogni campagna elettorale) sussiste un inamovibile testa a testa tra i due, che di fatto rende tutt’altro che certo l’esito finale della competizione.

Al di là della sovraesposizione di Taylor Swift e di altri esponenti di spicco del mondo dello spettacolo storicamente ostili a Trump, nonché pur tenendo conto del fatto che molti parlamentari repubblicani abbiano dichiarato il loro appoggio alla Harris, va detto che gli Stati Uniti conservano intatto il loro bipolarismo: come dire, nel caso di specie, chi è repubblicano vota Trump e chi è democratico vota Harris, a prescindere dalla necessità o meno di turarsi il naso. E perché dimenticare anche quella storica vena maschilista (e perché no, razzista) presente a macchia di leopardo un po’ in tutti i ceti e le etnie degli elettori USA?

Tutti sanno che io tifo per Trump, perché come sempre accade mi piace sostenere quelli che sono osteggiati dal mainstream a prescindere dalle loro qualità o difetti. Ergo, resto fermo sulle mie posizioni a suo favore, certo che a meno di palesi scivoloni dettati dall’irruenza dialettica dell’uno e dall’innata supponenza dell’altra, la storia tenderà a ripetersi e la partita sia ancora più che apertissima e tutta da giocare.

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