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venerdì, Maggio 3, 2024

Cimmino: “Yamamay e Carpisa non andranno via da Dacca”

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A margine della terribile strage di Dacca arriva, attraverso le colonne del corriere.it, la testimonianza del manager Gianluigi Cimmino, amministratore delegato di Yamamay e Carpisa, volto noto sulla nostra isola e non solo.

Al giornalista che lo ha intervistato, Cimmino spiega come sia la situazione attuale del Bangladesh e i progetti futuri dei marchi italiani.

Il manager Gianluigi Cimmino, infatti, come riporta il corriere.it ha un ufficio a Dacca dove lavorano dieci persone. «Per fortuna sono tutti vivi, scampati all’attentato. Tre sono italiani: li ho fatti partire per la Thailandia e resteranno lì per qualche giorno. Io stesso sarei dovuto partire per il Bangladesh la prossima settimana, ma per ora il mio viaggio è rimandato».

Pensa che manterrete i vostri uffici e la produzione in Bangladesh?
«Dobbiamo farlo, se non vogliamo fare il gioco dell’Isis. Siamo in tantissimi lì. Ci siamo noi, Original Marines, piazza Italia, Alcott…. Non possiamo e non dobbiamo mollare. La strategia dell’Isis è chiara: colpire l’economia del tessile per spingere le popolazioni locali all’angolo. Ridurle nella miseria più assoluta e poi assoldarle. Abbandonare ora sarebbe un danno per quella povera gente ma anche, a livello internazionale, uno sbaglio assoluto. Dobbiamo fare muro».

Gli italiani che lavorano per lei a Dacca di cosa si occupano?
«Di controllo qualità. Un po’ come tutti quelli che dal nostro Paese vengono destinati lì. Sono una cerniera fra l’azienda e i produttori sul territorio».

Lei è mai stato nel ristorante dove si è verificata la strage?
«Spessissimo. Ce ne sono tre di riferimento per la comunità italiana. Oltre a questo che è il più bello di tutti, c’è un giapponese e un terzo che si trova in un grande albergo. Con Cristian e Nadia eravamo anche spesso a tavola insieme. Anche il napoletano che è morto lo conoscevamo: lavorava al controllo di qualità per la Gitex, una storica azienda del tessile. Mi viene una rabbia a pensare che questi ragazzi hanno perso la vita in questo modo, lontani dalle loro case. Penso all’orrore e alla disperazione che hanno provato in quei momenti terribili».

Però è deciso a non mollare.
«Mi fa paura quello che sta succedendo, ma non mi fa paura restare. Dobbiamo promuovere una vera e propria campagna a sostegno del Bangladesh e di altre zone dove l’industria del tessile ha radici forti. A sostegno di aree che fanno gola all’Isis. Non è un caso se la furia dei tagliagole si abbatte sulle imprese che vivacizzano l’economia di quei territori o sui villaggi turistici. Vogliono riprendersi una parte del territorio, vogliono milizie. Ma noi dobbiamo dare valore alle persone che lavorano per noi, difenderle. Ed essere pronti a non arretrare neanche di un solo passo»

1 COMMENT

  1. E’la globalizzazione :tanti nostri “imprenditori” fanno fabbricare i loro prodotti da quella povera gente in cambio di quattro soldi al giorno;poi,una bella etichetta made in italy sulla modella pescata in un paese dell’est d’europa.Qualcuno certamente ci guadagna,ma certamente non la massa di disoccupati del meridione d’italia;quelli che una volta fabbricavano abiti e accessori d’abbigliamento,e che aiutavano a mantenere un tessuto familiare dignitoso anche in certe zone dell’interno vesuviano.TTIP,e via così.Gli imprenditori,anche italiani,sono quelli che comunque sopravviveranno :ma gli altri ?

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