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martedì, Maggio 14, 2024

Articolo 9, l’ex Giunta Regine evita il salasso contabile

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Paolo Mosè | La Corte dei Conti d’Appello ha ribaltato, seppur parzialmente, la sentenza di condanna emessa dal collegio di primo grado che aveva sanzionato gli amministratori ed i dirigenti e tecnici comunali di Forio che erano stati scelti per procedere alla definizione delle pratiche di condono in relazione al famoso art. 9. Gli amministratori che approvarono la delibera di incarico e di assegnazione delle somme escono definitivamente indenni. Mentre per due dirigenti la Corte ha modificato il giudizio di primo grado, seppure parzialmente e riducendo la condanna pecuniaria. In questi termini: «La Corte dei conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, definitivamente pronunciando, dichiara estinto il giudizio n. 49118 proposto dal signor Ferdinando Formisano; Accoglie integralmente gli appelli proposti, avverso la sentenza n. 1790/2014, depositata il 10.12_2014, della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Campania, dai signori Aniello Di Maio, Antonio Spataro, Mario Russo, Nicola Monti, Gioacchino Migliaccio, Francesco Regine, Amedeo Rocco e Giosuè Colella e, per l’effetto, li proscioglie dalla domanda attrice; Liquida in favore degli appellanti definitivamente prosciolti le spese di lite sostenute per la difesa nel giudizio, da porre a carico dell’Amministrazione di appartenenza, nella misura di euro 2.000,00 ciascuno per entrambi i gradi; Accoglie parzialmente, nei limiti di cui in motivazione , gli appelli dei signori Francesco Castaldi e Vincenzo Rando e, per l’effetto, limita la condanna di Francesco Castaldi ad euro 4.814,00 oltre rivalutazione ed interessi; limita la condanna di Vincenzo Rando alla somma di euro 2.583,53 oltre rivalutazione ed interessi; Rigetta l’appello proposto da Francesco Amalfitano avverso la medesima sentenza, per tutti e tre, fatti salvi in sede esecutiva recuperi medio tempere intervenuti; pone a carico dei sigg. Amalfitano, Castaldi e Rando, in ragione della soccombenza, le spese processuali del presente giudizio, che si liquidano in euro 208». Così era stato deciso nella camera di consiglio del 1 dicembre del 2016 e solo pochi giorni fa è stata depositata la motivazione.

SOSPIRO DI SOLLIEVO. Certo è che i politici tirano un sospiro di sollievo dopo la mazzata che era stata inferta dalla Corte dei Conti regionale, che complessivamente chiedeva il pagamento di una somma di oltre 85.000 euro. Per la sorta capitale sborsata dal Comune di Forio, a cui vanno aggiunti gli interessi maturati. La Corte di Appello ha affrontato la questione in tutte le sue sfaccettature, non tralasciando alcun aspetto sia normativo, che procedurale e quali sono state le singole attività dei soggetti incolpati. Spiegando soprattutto il perché era stato richiesto questo lavoro “extra” e che riguardava lo smaltimento delle pratiche di condono, come hanno sostenuto i vari difensori di coloro chiamati a giudizio, gli avvocati Bruno Molinaro, Alessandro Barbieri, Ivan Colella, Ferdinando Scotto, Roberto De Masi, Nunzia De Ceglia e Luigi Napolitano: «Occorre premettere che, come rappresentato dagli appellanti, il Comune di Forio si trovava nella impellenza di dover esitare il considerevole numero di domande di condono edilizio ex lege n. 47/’85 e n. 724/ 1994, dal momento che la legge regionale n. 10/2004, all’art. 9, aveva fissato a  carico dei Comuni il preciso obbligo di definire le domande di sanatoria pendente entro il 31.12.2006. Le deliberazioni n. 299 del 23.12.2005 e n. 30 del 24.02.2006 erano funzionali a tale rilevante obiettivo per l’Amministrazione comunale e si ritiene fossero istitutive di un vero e proprio progetto finalizzato. Si trattava di delibere dirette a risolvere, dopo decenni, gravi problemi ereditati dalle precedenti amministrazioni. I primi giudici hanno affermato che l’erogazione dei compensi al personale della U.T.C. era avvenuta in violazione delle norme contrattuali che prevedono l’utilizzo dell’apposito fondo, collegando gli incentivi alla produttività attraverso progetti obiettivo finalizzati, senza la previa valutazione della prestazione resa e, soprattutto, nella indimostrata prova che le prestazioni siano state effettuate al di fuori dell’orario ordinario di servizio reso. Gli appellanti hanno contestato le motivazioni del Collegio di prime cure, sostenendo che lo stesso aveva affermato la responsabilità senza affatto considerare che, in materia di concessioni in sanatoria, il legislatore era intervenuto con disposizioni speciali, con vincoli di allocazione e con previsioni puntuali destinate a finanziare l’incremento di produttività nello smaltimento dei carichi di lavoro relativi all’istruttoria “connessa al rilascio di concessioni in sanatoria”, di modo che tali somme potessero essere erogate ai dipendenti senza transitare dal fondo delle produttività, rimanendo allocate al titolo Il della spesa».

L’OPERATO DELLA GIUNTA. Passando ad analizzare il lavoro svolto dalla Giunta e cosa prevedeva il deliberato: «Pertanto non era contrario a siffatte disposizioni l’operato della Giunta, che con le contestate delibere aveva previsto l’istituzione di un progetto finalizzato e l’attribuzione di un compenso per il servizio reso dai dipendenti dell’U.T.C.; compenso che non refluiva in un fondo comune, che non doveva essere oggetto di contrattazione decentrata, contenuto nei limiti di legge (10% degli oneri concessori) e non gravante sul bilancio comunale. Se dunque le richiamate disposizioni consentivano l’erogazione di tali compensi , va però osservato che esse le subordinavano , tuttavia, alla sussistenza di determinati presupposti, in particolare – è quello che contestano i primi giudici – alla condizione che il progetto finalizzato venisse svolto al di fuori dell’orario di lavoro ordinario. Occorre quindi verificare se tale presupposto sia stato rispettato dagli appellanti, o se piuttosto – come afferma il Collegio di prime cure – tale attività istruttoria si sia svolta durante il lavoro ordinario. La Procura riconnette tale ultimo assunto alla sola circostanza che la deliberazione giuntale prevedeva che tali prestazioni potessero essere effettuate anche durante l’orario di lavoro, ma non esclusivamente». Fino a ritenere fondate le lamentele di coloro che erano stati condannati a sborsare un po’ di quattrini all’Ente che un tempo governavano: «Ebbene, il Collegio condivide le censure degli appellanti, che al riguardo stigmatizzano l’evidente capovolgimento dell’onere della prova. In difetto – come rileva lo stesso requirente – di dimostrazione alcuna da parte della Procura, intesa a provare che tutte le prestazioni, o una parte di esse ed entro quali limiti, si siano svolte durante l’orario di lavoro ordinario, la prova non può ritenersi raggiunta con le affermazioni, peraltro perplesse e dubitative (“non potendosi escludere che i predetti risultati o obiettivi raggiunti siano stati conseguiti grazie ad attività in realtà svolte durante l’orario ordinario di lavoro”) alle quali ricorre il Collegio di prime cure, per di più in presenza di elementi probatori contenuti in sentenze dell’autorità giudiziaria ordinaria, raccolti in altro e parallelo processo, che non è affatto precluso al giudice contabile di utilizzare a supporto del proprio convincimento. Questo Collegio ritiene, dunque, che – alla stregua degli elementi di prova formatisi in quel giudizio, liberamente valutati – si debba pervenire alla conclusione, condivisa, che l’attività retribuita con i compensi di cui trattasi sia stata svolta oltre l’orario di lavoro ordinario, circostanza, peraltro, nemmeno contestata dal Comune, che ai giudizi civili partecipava quale amministrazione danneggiata. Pertanto, nella fattispecie deve ritenersi carente la prova della colpa grave e della antigiuridicità della condotta degli appellanti». Sentenziando: «Per tali ragioni gli appellanti Di Maio, Spataro, Russo, Monti, Migliaccio, Regine, Colella, Rocco, Rando e Castaldi devono essere prosciolti dalla domanda attrice con riferimento a tale voce di danno».

IL “PROGETTO PHOENIX”. Diversa la valutazione in ordine ad altre due posizioni che la Corte di Appello, condivide il giudizio espresso dal primo giudicante: «Quanto alla seconda voce di danno, relativa al c.d. “progetto Phoenix”, il Collegio non può che ribadire il giudizio già espresso dai primi giudici con riguardo alla responsabilità dei signori Amalfitano e Rando, che nelle qualità di dirigente Coordinatore del Progetto e di Responsabile del Settore finanziario del Comune, con decreti n. 21 del 30.04.2003 e n. 40 del 18.08.2005 avevano provveduto a liquidarsi la complessiva somma di euro 13.730,39 l’Amalfitano, ed euro 4.020,76 il Rando (condanna poi limitata ad euro 2.583,53 ciascuno), in violazione dell’art. 1O del CCL del 1 aprile 1999, che con l’attribuzione della indennità di posizione remunerava tutti i compiti e le funzioni ad essi assegnati. Osserva il Collegio che il Progetto “Phoenix” non si sottraeva, al pari di un qualunque altro progetto di produttività (come invece è accaduto per il progetto collegato alle concessioni in sanatoria) al principio di onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti. Tale regola costituisce principio generale dell’ordinamento.  con specifico riguardo alla disciplina del rapporto di lavoro dirigenziale alle dipendenze della pubblica amministrazione, in relazione al quale la retribuzione di risultato è idonea a ricomprendere tutte le prestazioni lavorative svolte dal dirigente pubblico». E aggiunge subito dopo la Corte: «Trattandosi di un principio generale dell’ordinamento giuridico, gli appellanti non avrebbero potuto derogarlo. Va quindi confermata la responsabilità dei signori Amalfitano e Rando in ordine alle somme percepite a titolo di retribuzione per il “Progetto Phoenix”, per il .danno quantificato in euro 2.583,53 ciascuno, maggiorato di rivalutazione dalla data dell’illecito, oltre interessi. In tali limiti l’appello del sig. Rando viene parzialmente accolto, mentre va rigettato l’appello del sig. Amalfitano». Accolto al cinquanta per cento, invece, l’appello del vice segretario comunale: «Per tali ragioni la responsabilità del dr. Castaldi per la voce di danno relativa a tali compensi indebiti deve essere confermata, nella misura di euro 4.814,00, oltre rivalutazione ed interessi. In tali limiti l’appello del sig. Castaldi viene parzialmente accolto».

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