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lunedì, Aprile 29, 2024

Violentato un bimbo di 9 anni, il suo aggressore ne ha appena 12

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E’ una storia triste, di quelle che molti non si immaginerebbero che possano accadere. Eppure tutto ciò si è consumato, manco a dirlo, a Forio. Entrambi i protagonisti sono tuttora minorenni. I fatti risalgono all’aprile del 2014. Il più grande, di appena 12 anni all’epoca, era accusato nientemeno che di violenza sessuale. La vittima all’epoca aveva appena compiuto 9 anni. E’ questo che emerge da una indagine che è stata condotta dalla procura della Repubblica presso il tribunale dei minori, che di fronte all’evidenza dell’età è stata costretta ad alzare le mani. E dopo una lunga meditazione durata due anni, ha chiesto all’ufficio del giudice per le indagini preliminari sentenza di non luogo a procedere trattandosi di minore non imputabile. Si era proceduto, infatti, nei confronti del dodicenne che si era macchiato di un gravissimo episodio. Tutto “esploso” in quel rapporto di amicizia, di rapporti quotidiani che sono diventati violenze, soprusi e imposizione del proprio volere utilizzando le maniere forti nei confronti di un coetaneo molto più piccolo.

E il giudice per le indagini preliminari ha tenuto a bagnomaria la richiesta. Valutandola con altrettanta attenzione, verificandone i contenuti, trovando qualche possibilità che potesse in qualche modo incidere su una scelta che andasse quantomeno a lanciare un avvertimento al giovanissimo indagato che nel frattempo tra un mese raggiungerà il diciassettesimo anno. Un percorso correttivo, per fargli capire che quel suo episodio è grave e che non debba ripetersi. Perché dalla contestazione che è stata fatta dal sostituto procuratore delle indagini si accusa il giovane R.A. di aver costretto il suo amico di 9 anni ad abbassarsi i pantaloni e tentando di penetrarlo analmente e costringeva la vittima a subire atti sessuali. Questa in sintesi l’accusa che si poggia sulla ricostruzione dei fatti. Dinanzi a questo quadro ben delineato il giudice per le indagini preliminari non ha trovato alcun appiglio, uniformandosi alle richieste avanzate nei confronti del giovane. Anche se nella sentenza emanata di non luogo a procedere ha voluto evidenziare che vi sono elementi su cui non si può discutere. E ritenuto che non può porsi in dubbio la responsabilità del minore in ordine ai fatti in contestazione alla luce delle emergenze degli atti di indagine, come risulta in particolare dalla comunicazione di notizia di reato e le dichiarazioni di testimoni, e sulla base che l’indagato è minore degli anni 14, non vi può essere altra soluzione se non quella di non procedere, proprio per l’età di R.A. Il codice, infatti, prevede la non imputabilità in casi del genere.

 

IL RACCONTO DELLA VITTIMA

Nessuno può opporsi a questa decisione, perché nei procedimenti penali dinanzi al tribunale dei minori non esiste la possibilità di costituirsi parte civile.

Ma cosa è accaduto per ritenere che da ciò che è stato acquisito nella fase delle indagini preliminari, c’è la certezza che il bambino abbia voluto porre in essere un’azione violenta di natura sessuale nei confronti di un altrettanto minore così piccolo?

Tutto è avvalorato dalle indagini che sono state condotte dai militari dell’Arma dei carabinieri che si sono dovuti occupare di questa ennesima situazione sgradevole. Operando con molta discrezione e cercando di essere cauti nel ricostruire l’episodio e soprattutto nell’esprimersi all’inizio dell’inchiesta sulle possibili responsabilità di R.A. In questi casi si procede con cautela. E l’intervento del pubblico ministero, che è intervenuto dopo la prima segnalazione, ha consentito di avere quel supporto necessario per chiarire l’accaduto. Utilizzando psicologi esperti e assistenti sociali si è quindi proceduto ad ascoltare il bambino di 9 anni, colui che traumaticamente è stato costretto a dover subire queste attenzioni discutibili e del tutto ingiustificate. Con la solita professionalità si è passati, come evidenziano gli atti, ad un incontro graduale per cercare di mettere a proprio agio il bimbo diventato vittima. Passando da un racconto di fatti piacevoli e lentamente, tra un gioco e l’altro, gli psicologi hanno condotto, insieme agli investigatori, il piccolo verso quell’amicizia che poi è diventata un incubo. Come lo ha conosciuto, quali sono stati i rapporti avuti, se giocassero e in quali ore della giornata. Un discorso lento per arrivare precisamente alla fatidica giornata del 2 aprile del 2014. Quando si sarebbe consumata l’aggressione. Il piccolo avrebbe ricordato, in modo frammentario, ciò che accadde quel giorno. E proprio come un gioco si era visto l’amico spingersi più in là del dovuto. Nell’abbassarsi i pantaloni e cercando il contatto fisico con lui. E lo avrebbe fatto utilizzando maniere “spicce”, come se volesse imporre la sua volontà.

 

LE RICHIESTE DI AIUTO

Il ragazzo in un primo momento non avrebbe capito immediatamente quale fosse la finalità. Pensando più ad un gioco che ad un fatto reale ed anche pericoloso. Ma quando ha visto il compagno di tanti giorni di divertimento passare alle vie di fatto, avrebbe avuto uno scatto di ribellione. Non riuscendo nell’intento di divincolarsi da quella morsa sempre più ferrea in modo da non farlo scappare via, di mantenerlo ristretto in quel luogo angusto e diventato triste, malevolo. Una brutta storia, raccontata a tratti, senza forzare mai la mano. Il piccolo ha ammesso, ad un certo punto, che quel suo presunto amico era andato oltre. Era riuscito con altrettanta determinazione ad abbassargli i pantaloni, ad afferrarlo da tergo. Mostrando i suoi genitali. Eccitandosi. Come si fa a capire tutto ciò? E’ il mistero della mente umana, per alcuni studiosi di comportamenti, anche dei più piccoli.

Di fronte a questa scena il ragazzino ha spiegato che ad un certo punto non ha avuto altro che gridare con tutte le sue forze per richiamare l’attenzione di qualcuno che accorresse in suo soccorso. Che trovasse un’anima buona che gli evitasse un’esperienza traumatica, che avrebbe ricordato all’infinito. Grida alle quali l’aggressore avrebbe tentato di rimediare. Con richiami fermi, di starsene tranquillo e sereno. Con il tentativo di bloccargli la bocca. Ma il ragazzino, di fronte alla disperazione, avrebbe continuato a resistere fino a quando i veri soccorritori sono sopraggiunti ed hanno posto fine a questo sconcio. Trovandosi come protagonisti due minorenni che avevano una differenza di età di appena tre anni. Le grida, i richiami, le richieste di spiegazione di ciò che stava accadendo hanno trovato risposte diverse. E tutto annotato, dichiarato dai testimoni nella fase delle indagini preliminari. Il più grande avrebbe riferito che era un gioco, uno sfottò, più che altro una burla. Un modo come un altro per passare diversamente le ore di libertà. Dall’altro, invece, il ragazzino di 9 anni a puntare il dito verso colui che riteneva un amico, uno di cui potersi fidare. Accusandolo di averlo costretto ad abbassare i pantaloni, a volere il contatto fisico. Che storia è? E’ una storia vera, e lo dimostrano gli atti della procura della Repubblica presso il tribunale dei minori.

 

LA VERSIONE DEL DODICENNE

Tutto questo non è passato inosservato, non si è voluto porre la classica pietra sopra la storia, il rapporto intercorso tra i minori. Si è voluto andare a fondo per cercare di ricondurre il presunto aggressore sulla retta via, e per farlo era necessario raccontare tutto ai carabinieri. E da questi ai magistrati, specializzati nel perseguire i reati commessi dai più piccoli fino a che non compiono la maggiore età. I testimoni che hanno visto quella scena, hanno recepito i racconti dei due protagonisti, hanno dovuto raccontare nel “segreto” di una camera messa a disposizione dagli investigatori che ciò che hanno visto e ricordato. Un racconto che è stato ripetuto successivamente, arricchendolo di particolari, di fronte ad un magistrato togato, alla presenza di medici specialisti. Coloro che ricostruiscono cosa possa essere realmente successo nei comportamenti e nella mente di coloro che ne sono stati i protagonisti. E’ stato comunque alla fine un lavoro positivo per un certo aspetto, mentre dall’altro non si è arrivati ad alcuna conclusione. Tutto è rimasto così come era nato. Non si è potuto procedere nei confronti di chicchessia. Perché nei casi specifici la legge è chiara e perentoria. Chi si comporta in un certo modo e commette reati anche di una tale gravità, può essere perseguito soltanto se ha un’età superiore ai 14 anni. L’attore protagonista in negativo, invece, aveva qualche anno in meno. Per la verità 12 anni e cinque mesi. Troppo poco per poter iniziare qualche azione legata prettamente al penale. Ma nei suoi confronti, lo stesso la magistratura ha svolto qualche iniziativa. Più di natura psicologica, tendenzialmente per intimorirlo, per fargli capire che se avesse continuato in questo stesso percorso sbagliato, in futuro ne avrebbe subito le conseguenze. Anche di natura penale. Perché quella sua azione era sbagliata, ingiustificabile sotto l’aspetto etico civilistico. E null’altro. Anche lui è stato in qualche modo ascoltato. Con tutte le garanzie previste dalla legge. Alla presenza dei genitori, che sono trasecolati di fronte a ciò che veniva imputato al figlio. Non avendo capito che il loro pargolo stesse elaborando nella sua mente un’azione di tale portata. Era per loro inimmaginabile.

Non interrogatorio, ma una vera e propria chiacchierata, fatta in un ambiente particolare e distensivo per metterlo a suo agio. Da non farlo sentire come un “incriminato”, di trovarsi di fronte a degli investigatori e magistrati che intendono punirlo con delle domande specifiche su ciò che è avvenuto il 2 aprile del 2014. In questo caso colui che di fatto diventava indagato, perché così prescrive la legge, ha tentato di dare una spiegazione al suo comportamento. Del perché si fosse abbassato i pantaloni, avrebbe tentato un approccio sessuale (come è ben evidenziato nel capo d’imputazione), avrebbe dato delle risposte non significative. Dando l’impressione che volesse dare più una giustificazione dettata dal momento, dalla inconsapevolezza che quella sua azione fosse veramente a scopo sessuale. Perché il suo intendimento non era quello di far del male al proprio amico più piccolo, ma ad un gioco che era stato inventato in quel momento e man mano lo ha trasformato in un’azione di bullismo, di sfottò. Nulla di premeditato. Tutto è avvenuto naturalmente, senza che fosse studiato o voluto. E si è scusato con tutti e soprattutto con il suo amico di 9 anni. Che in questa fase di indagini non ha più incontrato. Ma ha voluto anche ricordare i momenti piacevoli trascorsi.

Il sipario su questa storia è calato. Definitivamente. Con la sentenza emessa dal giudice per le indagini preliminari che ha dichiarato il non luogo a procedere trattandosi di minore non imputabile.

 

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