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giovedì, Maggio 9, 2024

Viaggio nella storia di Panza d’Ischia, luogo di riposo

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Elena Mazzella | E’ dalla terra di Panza, precisamente da Punta Chiarito oggi importante sito archeologico per la storia d’Italia, che parte la colonizzazione greca dell’isola nell’ VIII secolo a.C..

I greci d’Eubea avvistarono Ischia dal mare e decisero di fondare in questa conca la prima colonia greca d’Occidente, Pithecusa, che si sviluppò poi in tutta l’isola di Ischia, avviandone la coltivazione della vite. In questa zona fu rinvenuta la prima casa greca con le pareti di tufo verde che è possibile osservare presso il museo archeologico di Pithecuasae, dove vi è una fedele ricostruzione. Le prime tracce storiche riferite al nome di Panza, le troviamo nell’Orlando Furioso di L. Ariosto, che in riferimento al mito del gigante Tifeo così scrive nel Canto XXXIII “…lo scoglio ch’a Tifeo si stende su le braccia, sul petto e su la pancia.” Mito a parte, il nome di Panza deriva appunto dal greco, che tradotto significa pausa, ossia riposo. Secondo un’altra ricostruzione storica, si vuole che esso derivi dal nome di un patrizio romano, tale Irzio Panza, che era solito recarsi in questo villaggio ischitano per trascorrere le sue ferie. In ogni caso, sia per i Greci, che per i Romani, Panza significa luogo di riposo.

Terra da sempre esposta ad invasioni piratesche e per questo la popolazione trovava rifugio in case scavate in enormi pietre tufacee. Col crescere della popolazione, furono costruite ben 7 torri, alcune quadrate, per ospitare il maggior numero di abitanti. Ricordiamo in particolar modo l’invasione nel 1544 dell’armata piratesca di Khayr al-Din Barbarossa che sbarcata nella baia della Scannella, invase il paese di Panza bruciando case, campi, violentò donne e catturò uomini e bambini per poi venderli al mercato degli schiavi: “Anno Domini 1544 a dì 25 de junio la armata del Turcho de Barbarossa Capitanio de dicta armata havea abrusciata Proceta ed un Casale de Ischia”.

Nel lontano 1600 questo paesino ischitano a forma di conca situato a 150 mt dal livello del mare, che sorge a mezzogiorno e che si estende ai piedi del torreggiante monte Epomeo, era una enorme riserva di caccia di proprietà del marchese Del Vasto, regnante dell’isola che dimorava sul Castello Aragonese. Egli, insieme a molti signorotti dell’isola e di tutta Italia, si recava a dorso d’asino per partite di caccia in questa immensa boscaglia in cui vivevano daini, starne, pernici, lepri e tortore, tornando a casa carichi di bottino.

Il quotidiano Il Mattino, nel 18 settembre 1954, dedica ampio spazio nella centralissima pagina 5 al paesino in crescita di Panza, che lo definisce un luogo incantato. L’articolo, a firma di Luigi Migliaccio, ne decanta le bellezze, la storia ma soprattutto le qualità degli abitanti: “Il sole dall’oriente ogni giorno si leva dall’argentea coltre che confina col cielo lontano e senza indugio porge il primo sorriso a questo paese incantevole. E i fiori, le piante e gli uccelli sono un sussulto di grande letizia. Ed ecco la vita incomincia, e sotto il sorriso della natura l’operaio coltiva la vigna e canta le più belle canzoni. Due conche d’oro, quella di Campotese e di Casa Polito, sorte nei crateri di due vulcani spenti da oltre 2mila anni, sono come due anfiteatri naturali, che attirano l’attenzione del forestiero. Le sue apriche colline, i suoi boschi, i suoi vigneti e i suoi vini prelibati di 17 gradi che vanno sotto il nome di Montecorvo, sono veramente qualcosa che incanta e invita al soggiorno in permanenza. I nativi di questo paese sono dal sangue caldo superiore a quelli del Nord, ma non sono apprezzati perché essi sono modesti e amanti del lavoro”.

L’autore del bellissimo inno a Panza continua a tracciarne la storia, e ci riporta alla fine del regno del marchese Del Vasto, nel 1750, quando questa enorme distesa di boscaglia di svariati ettari divenne di un solo proprietario, Pezzillo, il cui dominio durò circa cento anni fino a quando la sua unica figlia andò in sposa al conte Giacomo Piromallo di Montebello. Il Conte bonificò subito l’enorme distesa, fece tagliare gli alberi e vi avviò la coltivazione della vite dando così inizio alla colonizzazione. Nell’articolo sopra citato leggiamo un fatto assai interessante, che vi riportiamo fedelmente: “per trasformare questa boscaglia in vigneti, uliveti, case e strade, furono adoperati molti detenuti di quella era, residenti in Ischia Ponte, così come per la trasformazione del lago in porto in Ischia. Cento anni son trascorsi dacchè questo paese, a 5 km da Forio e a 3 km dalla stupenda e silenziosa S.Angelo, è stato trasformato e che di già, se non tutte, molte attrattive possiede. Nuove case, nuovi negozi, nuove strade asfaltate, rendono più dolce il soggiorno, in questo paese di pace e tranquillità assoluta. Fra le tante altre personalità degne da menzionare, annotiamo Anita Garibaldi, figlia del grande condottiero, che attratta per la salubrità dell’aria, per il suo clima eccellente, per la calma e le sue ottime qualità gastronomiche, venne costì con il suo seguito, con un numero di 10 carrozzelle, e si fermò alla trattoria Leopoldo. Dal terrazzo di questa osservò il panorama che si estende fino alla plaga meravigliosa di S. Angelo che domina con la sua torre una delle maggiori bellezze dell’isola. Consumò il suo pranzo, volle pregustare la specialità locale, il coniglio alla cacciatora, e il vino Lacrima Christi. Dopo aver pregustato suddette specialità, Anita si rivolse all’oste e con tono pacato ed affettuoso disse – se fossi regina, ti darei la corona – “.

Specialità gastronomiche che abbiamo potuto assaggiare la scorsa domenica, durante la Notte Bianca della Vendemmia organizzata dal Comune di Forio e dalla Pro Loco Panza d’Ischia sotto la direzione artistica di Gaetano Maschio. La manifestazione ha concluso la lunga settimana di appuntamenti di “Andar per Cantine”, evento radicato da ormai undici anni e che promuove alcune delle cantine più antiche dell’isola scavate nella roccia tufacea, con l’intento di far rivivere e riscoprire a ischitani e forestieri la nostra storia custode delle nostre radici. Abbiamo assistito a scene di vita contadina che si perdono nella notte dei tempi, abbiamo ascoltato l’antico dialetto panzese caratterizzato dalla presenza di numerosi voci di chiara origine greca, latina, francese, spagnola e portoghese, abbiamo visto cuocere il famoso coniglio alla cacciatora direttamente su brace ardente in tegame di coccio, abbiamo assaggiato il famoso e genuino nettare d’uva di cui Nestore si inebriava dalla sua bella coppa, ma soprattutto abbiamo sentito il richiamo delle nostre radici.

Siamo stati proiettati nel nostro passato che si è rapportato al presente, per far sì che il futuro sia migliore.

Fonti: Emeroteca Premio Ischia Giuseppe Valentino

Il mattino – 19 settembre 1954

Panza ieri e oggi – Pro Loco.

Storia dell’isola d’ Ischia – G.D’Ascia

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