Non sono solito lasciarmi abbindolare dal populismo di opportunità, nemmeno quando condisce il discorso d’insediamento del Presidente della Repubblica Italiana, giunto finanche a menzionare Monica Vitti e, per l’ennesima volta, David Sassoli, pur di raggranellare ben cinquantacinque applausi e una quindicina di standing ovation.
Resto però colpito dal suo forte richiamo verso la riforma della giustizia e, nello specifico, nel passaggio che Mattarella, forte e chiaro, ha dedicato alla credibilità, all’equità e all’imparzialità del sistema giudiziario e della magistratura. Considerazioni talmente mirate, le sue, da rendere necessario un intervento stile excusatio non petita accusatio manifesta dal presidente dell’Associazione Magistrati, precipitatosi a chiarire che la categoria è già in linea con il monito del Presidente, nel rispetto di quanto previsto dalla Costituzione. Come dire: nulla di nuovo rispetto a quel che facciamo già. Bella faccia tosta!
Ci vorrà ben poco a capire fino a che punto, a un anno dalle elezioni politiche e con una maggioranza di governo solo apparentemente coesa, il buon proposito del rieletto inquilino del Quirinale possa trovare il conforto di quella stessa politica che lo ha costretto a replicare la manfrina di Napolitano. Così come capiremo presto quanti saranno realmente disposti a mettere in discussione i privilegi intoccabili e i metodi inaccettabili di una casta che oggi, grazie al “collega” Palamara, sono stati messi a nudo anche agli occhi dei più faziosi o distratti.
Resta la speranza di tanti semplici cittadini come me di assistere, finalmente, a un processo di cambiamento che non tenga più conto di certi schemi e che inchiodi finalmente chi è chiamato a giudicare alla nobile funzione cui è deputato. Al pari di quanto sarebbe splendido quanto auspicabile porre i giusti paletti alla selezione del personale politico, prima di consentire ad uno scappato di casa qualsiasi di varcare la soglia del Parlamento.
