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giovedì, Maggio 2, 2024

Antimo Puca sconfigge il Ministero, reintegrato in servizio

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Paolo Mosè | Giustizia è fatta! Sconfitto il Ministero della giustizia! Il giudice del lavoro del tribunale di Napoli ha accolto il ricorso presentato da Antimo Puca, ufficiale giudiziario della sezione distaccata di Ischia che il 1 settembre scorso era stato posto in quiescenza con un provvedimento firmato dal direttore generale. Una decisione in contrasto con il contratto nazionale di lavoro e con delle precise e inderogabili disposizioni di legge che sanciscono che gli ufficiali giudiziari possono rimanere in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età. E che comunque il Puca non aveva raggiunto i quarant’anni di servizio, altro elemento trascurato con una certa leggerezza dai soloni e burocrati del Ministero di via Arenula a Roma.

E’ stata una sentenza coraggiosa, quella emessa dal giudice del lavoro di Napoli per aver sconfessato il Ministero della giustizia che è anche il suo “datore di lavoro” e che era sceso in campo mostrando i muscoli con agguerriti avvocati dello Stato che con forza e altrettanta determinazione avevano chiesto che il ricorso fosse respinto. Una posizione che ha dell’incredibile, se è vero, come è vero, che questo stesso Ministero non più tardi dell’agosto scorso aveva decreto con proprio provvedimento riportato sul sito l’elenco di coloro che erano stati promossi al grado di funzionari. E tra questi, ai primi posti, proprio l’ufficiale giudiziario di Ischia Antimo Puca, contro il quale ha schierato una pattuglia di avvocati con il proposito di non farlo rientrare in servizio, di mantenerlo in pensione. Pur sapendo, lo stesso Ministero della giustizia (sic!) che attualmente l’ufficio Unep di Ischia è in grossa difficoltà per mancanza di personale che possa garantire un servizio efficiente e stabile per le notifiche di tutti quei provvedimenti di competenza nel civile, nel penale e per gli atti prodotti dal Giudice di Pace. Una enormità di carte di ogni genere che oggi ricade quasi esclusivamente sull’unico ufficiale giudiziario rimasto, Dario Rizzotto. Un buon padre di famiglia, un buon datore di lavoro si sarebbe comportato diversamente cercando di far funzionare un ufficio delicato ed importante. Analizzando tutte le possibilità per recuperare un valido collaboratore, che tra l’altro dalla sua annovera una efficienza innata che lo ha portato in tutti questi anni a notificare gli atti ad horas, senza avere mai arretrati. E a “disconoscere” periodi di malattia o la voglia di porsi in ferie.

Si sa che la Pubblica Amministrazione è un qualcosa di asettico, che non ama mai dare lustro a chi lavora, opera con coscienza e dedizione. Come è distratta, al tempo stesso, anche nei confronti di quei dipendenti che non hanno alcuna voglia di fare il proprio dovere, di lavorare per la collettività. Antimo Puca voleva soltanto tornare a lavorare come aveva fatto per oltre trentotto anni, perché c’era la legge che glielo consentiva e perché era stato ritenuto vincitore del concorso a funzionario, i quali possono prestare la propria opera per la Pubblica Amministrazione fino al settantesimo anno.

Il giudice di Napoli ha avuto coraggio perché oltre ad accogliere il ricorso, ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento delle spese. Basta rileggersi queste brevi righe per capire cosa realmente ha inteso sentenziare in nome del popolo italiano il giudice del lavoro: «Accoglie il ricorso per quanto di ragione e, per l’effetto, annullato il provvedimento ministeriale protocollo n. 6/927/05758 del 24 dicembre 2015 e della successiva nota ministeriale n. 127290 del 6 luglio 2017 di conferma del predetto provvedimento del direttore generale del 24 dicembre 2015 di collocamento a riposo dal 1 settembre 2017, dichiara il diritto del ricorrente alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al compimento del settantesimo anno di età e ordina al Ministero convenuto di riammettere in servizio il ricorrente. Condanna il Ministero al pagamento delle spese di lite che liquida complessivamente in euro 2.200 oltre Iva, Cpa e rimborso spese generali».

Una decisione che certamente avrà fatto sobbalzare dalla sedia i tenaci avvocati dello Stato che hanno fatto di tutto per convincere il giudice a rigettare il ricorso. Soffermandosi soprattutto sull’aspetto legato al concorso. Sostenendo la tesi che era pur vero che il Puca risultava essere vincitore e diventato di fatto funzionario, ma che non c’era stato da parte del Ministero della giustizia il decreto che ne sanciva la qualifica e che quindi non si era realizzato questo nuovo rapporto. Una tesi alquanto “allegra”, perché mai il Ministero a questo punto decise a suo tempo di far partecipare quei suoi dipendenti al concorso di funzionario ben sapendo che di lì a poco sarebbero stati posti in quiescenza? Sono i misteri della burocrazia italiana, di coloro che siedono dietro a una scrivania di un ministero; che a volte si rizzelano per poco o nulla. Mentre in questioni più complesse e delicate mostrano una particolare indifferenza, non soppesando quali possono essere i risvolti negativi. Come hanno dimenticato con una certa leggerezza che esiste una norma che è tuttora in vigore e che venne elaborata e licenziata diversi anni fa e precisamente il disposto dell’art. 99 del DPR 1229/59, secondo cui «l’ufficiale giudiziario è collocato a riposo d’ufficio quando abbia compiuto 70 anni di età. L’ufficiale giudiziario che chiede di essere collocato a riposo deve inoltrare istanza per via gerarchica al ministro, il quale provvede con decreto».

E siccome l’ufficiale giudiziario Antimo Puca non ha mai richiesto di fare il pensionato, ma anzi ha chiesto di rimanere in servizio, non era possibile, stando a questa norma, collocarlo a riposo. Ma gli acerrimi avvocati dello Stato hanno cercato di neutralizzare anche questa norma richiamando un altro articolo in cui si osserva che «per la cessazione del servizio si applicano le norme vigenti per il personale civile delle Amministrazioni dello Stato della carriera esecutiva». Il Ministero, tramite i suoi rappresentanti, si è arrampicato sugli specchi, come si suol dire. Riuscendo a tradurre e interpretare a proprio piacere ciò che a loro interessava pur di raggiungere lo scopo di non consentire il rientro nei ranghi del Puca, seppur ben informati della disastrosa situazione che si registra nell’ufficio Unep della sezione distaccata di Ischia. Ma a rendere giustizia, a ricondurre questa vicenda nei giusti binari c’è voluto un giudice a Berlino.

 

2 COMMENTS

  1. Ma gentile Mosè quale giustizia è stata fatta. Quella della convenienza dell’amicizia. Lottiamo per il lavoro ai giovani. Largo ai giovani. E poi si ricorre al giudice del lavoro per lavorare fino a settanta anni.

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