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mercoledì, Maggio 1, 2024

Edoardo De Angelis all’Ischia Film Festival, tra cinema e luoghi

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Edoardo De Angelis è, senza ombra di dubbio, uno dei registi italiani più interessanti del momento. Il suo “Perez” ha strabiliato pubblico e critica, “Indivisibili” anche. Lo abbiamo incontrato in una ventosa serata dell’Ischia Film Festival, al Castello Aragonese, e ci ha raccontato il suo rapporto con le location, con la musica e con l’anima dei territori.

Molto colpito dalla location, il regista Edoardo De Angelis, premiato per la sua pellicola “Perez” due anni fa, è tornato all’Ischia Film Festival con la sua ultima opera, “Indivisibili”, molto amata anche da John Turturro.
Nella creazione di un film vi è importanza nella scelta delle location e del rilancio dei territori attraverso il cineturismo? Lei, da campano, ha mostrato aree della nostra terra quasi inedite…
“Io i luoghi dove ambiento i film non li definisco mai location, mi sembra una definizione legata alla loro funzione. Il termine “luogo” o “terra” evoca maggiormente la realtà dei posto, io li tratto ala stregua dei personaggi principali. L’ho fatto con Perez ed Indivisibili e negli anni questa idea si affina e la trovo coerente con i sentimenti che voglio comunicare e ciò che voglio raccontare. Se i film o le opere d’arte in generale danno un di più a quanto le terre abbiano già in precedenza, non lo so. Sicuramente nella migliore delle ipotesi possono svelare un aspetto latente, testimoniare un aspetto della terra sepolto, qualcosa che magari resta nascosto. Luoghi belli ma feriti, ma come le persone che amiamo, anche per i luoghi vi è lo stesso ragionamento: noi non amiamo meno le ferite quanto gli aspetti più belli, le ferite raccontano la storia di un luogo come di una persona.”

L’Ischia Film Festival è una manifestazione particolare, che sottolinea proprio questo aspetto.
“In questo Festival c’è da sempre l’idea di focalizzarsi suoi luoghi che sono molto importanti. Poi ciò che accade dopo un film non lo possiamo prevedere. Per anni si è migrato verso le Regioni con le film commission più ricche, io sono stato sempre contrario a questa diaspora: le storie devono essere raccontate dove nascono, devono appartenere in tutto e per tutto alla terra che le ha generate. Ogni regione deve dotarsi di una film commission e io non mi sono mai spostato dalla Campania anche quando non vi era un euro di contributo. Ora abbiamo una legge, e a breve ne avremo un bando. Questo mi rende fiero di essere in una regione in cui finalmente la legge ha deciso di mettersi al passo con l’arte.”

Turturro ha avuto parole molto entusiaste per “Indivisibili” e trova analogie di fondo tra New York e Napoli, ma in Napoli vede un prevalere del senso di rassegnazione…
“I complimenti mi lusingano, ho incontrato John Turturro in occasione della proiezione di Indivisibili al Lincoln Center, un incontro molto intenso è un grande artista che ha detto tanto nel settore del cinema e nella serialità di qualità. Riguardo al senso di rassegnazione dei napoletani… è quasi impossibile negare questa definizione, ma è anche impossibile accettarla totalmente. Qualunque cosa ci richiami allo stereotipo, Napoli è al tempo stesso vera e falsa, una città perennemente in bilico tra rivoluzione e rassegnazione, immobilità e movimento frenetico, desolazione e armonia, bruttezza e bellezza.”

Elementi che emergono anche nei luoghi. In Indivisibili hai raccontato le periferie. Nascono da lì le storie più affascinanti? O dalle città, come in Perez?
“Non so, ho un problema cognitivo…. Sono sprovvisto di senso dell’orientamento e nei film mi piace creare un microcosmo riconoscibile dove persino io non mi perdo. Il Centro direzionale è un microcosmo come Castel Volturno, sai sempre dove ti trovi. La dialettica tra periferia e centro è sempre in perenne movimento. La periferia tende verso il centro perché desidera conquistarlo, il centro ha bisogno della periferia perché ha bisogno, di tanto in tanto ha bisogno di un po’ di fame per assaporare nuovi sapori.”

Prossimi progetti, abbiamo letto che tratterai il tema della riconciliazione…
“Non svelo nulla, vi è un lavoro in corso, sempre ambientato a Castel Volturno. Non ne parlo perché è in continua evoluzione. Castel Volturno è il nostro magma creativo, è veramente la cartina di tornasole dei nostri sentimenti, la sua bellezza ferita è il luogo ideale per raccontare le nostre storie e perché le storie trovino occhi e orecchie.”

Quale è l’aspetto più difficile da raccontare?
“E’ pretendere di comprendere la città e raccontarla, è impossibile per me. Non ho mai desiderato raccontare Napoli, mi accontento di viverci ed è già una fonte di stimoli numerosi e contrastanti.”
Lei è un napoletano di ritorno…
“No, io ovunque vado dico che “sono nato qua”. In effetti sono nato a Ponticelli, cresciuto a Caserta, a Roma e Portici. Sono un po’ mischiato. L’identità non è legata a dove si nasce e basta. Un aspetto sicuro di questa città è il suo essere crogiolo. Forse sono cittadino napoletano perché sono un crogiuolo o cloaca, dipende dai giorni.”

E il connubio con Avitabile?
“Lavoriamo insieme anche alle storie. Non scrive solo le musiche, in realtà dà i suoni che servono alle mie storie.”

Segui serie tv?
“E’ una forma di racconto che mi affascina, c’è molto più spazio per raccontare i personaggi ed è sicuramente un mio desiderio che realizzerò non so se immediatamente o fra un po’. Ma vorrei cimentarmi. Ho adorato “The Young Pope” e “The night of”, una serie molto vicina ad una sensibilità che ho cercato di approcciare in “Perez”, un personaggio che ha avuto un passato decente e un presente triste, capace di dire al suo assistito “life your life”. Trova una forma di forza in un quotidiano apparentemente disperato ed è interpretato in maniera magistrale da Turturro.”

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