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venerdì, Maggio 3, 2024

Indebita percezione del reddito di cittadinanza, non c’è danno erariale

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La sentenza della Corte dei Conti nel giudizio nei confronti di una ischitana. Indebita percezione del reddito di cittadinanza, non c’è danno erariale. La donna era stata incolpata per aver fornito dati incompleti in ordine alla sussistenza dei requisiti non indicando compiutamente i redditi del nucleo familiare. Ma per il collegio la giurisdizione spetta al giudice ordinario in quanto anche se le risorse percepite sono pubbliche, non si configura una gestione programmata da parte del privato

E’ di stretta attualità la questione dell’indebita percezione del reddito di cittadinanza, dopo l’assoluzione di 18 stranieri nel processo penale. Una residente di Ischia, invece, se l’è cavata al momento dinanzi alla Corte dei Conti, che ha dichiarato la sua incompetenza. Ma dovrà risponderne al giudice ordinario, come stabilito dal collegio. Rischiando una imputazione per truffa ai danni dello Stato, anche se ovviamente non si possono prevedere gli esiti del procedimento penale.

Per la Guardia di Finanza e la Procura contabile, la donna rientrava nella categoria dei “furbetti” del reddito di cittadinanza. Un’accusa nel cui merito la Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania presieduta da Paolo Novelli non è entrata, limitandosi a chiudere con un nulla di fatto il giudizio di responsabilità erariale promosso dalla Procura regionale. Non potendosi ravvisare tale responsabilità nei confronti di un soggetto che non è incaricato della gestione di risorse pubbliche, ma le avrebbe solo indebitamente percepite.

La sentenza ad ogni modo descrive i fatti, compresi gli addebiti contestati all’ischitana, citata in giudizio con la richiesta di condanna «al risarcimento dei danni erariali quantificati nella complessiva somma di 9.200, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali a decorrere dalla data del 30.7.2022, in conseguenza della prospettata indebita percezione del reddito di cittadinanza a seguito della violazione degli obblighi prescritti dal Decreto legge n. 4 del 28.1.2019, convertito nella legge n. 26 del 28.03.2019».

LE INDAGINI DELLA GUARDIA DI FINANZA

Era stata proprio la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli a dare origine al giudizio di responsabilità erariale a febbraio 2023, segnalando «che in base alle indagini svolte dalla Guardia di Finanza la convenuta aveva indotto in errore l’Inps in ordine alla sussistenza dei requisiti per l’accesso alla provvidenza, atteso che aveva omesso di indicare correttamente il proprio patrimonio immobiliare (corretta valorizzazione del patrimonio immobiliare posseduto e redditi da locazione d’immobili per l’importo lordo di euro 5.128,00), nonché di inserire fra i componenti del nucleo familiare il padre, titolare di reddito (redditi da lavoro dipendente nel 2019 e da pensione nel 2020 e 2021) e di immobili. In particolare, con l’istanza del 25.1.2021 tesa alla concessione del reddito di cittadinanza la convenuta non rappresentava i suddetti dati e quindi la reale situazione in ordine allo stato di famiglia e al proprio patrimonio immobiliare percependo il beneficio in assenza dei requisiti prescritti». Tutte circostanze da esaminarsi appunto in sede penale.

La Procura della Corte dei Conti a questo punto «contestava il danno erariale di euro 9.200,00 pari a diciotto mensilità indebitamente percepite del reddito di cittadinanza». L’incolpata veniva invitata a dedurre avverso le contestazioni formulate, ma non inoltrava alcuna deduzione. Anzi, ne è stata anche dichiarata la contumacia non essendosi costituita in giudizio.

IL DIFETTO DI GIURISDIZIONE

La questione che ha portato al nulla di fatto è appunto il difetto di giurisdizione. Nella sentenza infatti viene innanzitutto riportato: «La controversia in esame ha ad oggetto un’ipotesi di danno erariale derivante dalla percezione del c.d. reddito di cittadinanza concesso sulla base di dichiarazioni mendaci. Ebbene, il Collegio ritiene che la vicenda debba essere pregiudizialmente esaminata sotto il profilo della corretta perimetrazione dei confini di cognizione intercorrenti tra il Giudice ordinario e il Giudice contabile in subiecta materia».

Specificando che «tale questione viene sollevata d’ufficio non sussistendo l’obbligo di provocare sul punto il preventivo contraddittorio delle parti, atteso che la norma che prevede la nullità della sentenza nel caso di omessa indicazione alle parti del tema rilevato in via officiosa dal Giudice, disciplina una regola preordinata a impedire una decisione c.d. a sorpresa (o della “terza via”) e trova applicazione esclusivamente in relazioni alle questioni di fatto o miste di fatto e di diritto, con esclusione di quelle di puro diritto e, segnatamente, di natura meramente processuale, per definizione ed implicitamente ricomprese (come quelle attinenti alla sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione)».

Per la verità una sentenza citata della sezione centrale d’Appello del 2022 affermava appunto la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di reddito di cittadinanza. Ma il collegio al contrario ha ritenuto di confermare «il consolidato orientamento di questa Sezione che considera in tale ambito sussistente la giurisdizione del Giudice ordinario e non del Giudice contabile, come affermato sia nel 2020 e nel 2021 con una serie di sentenze, sia di recente con le sentenze che qui si intende richiamare anche ai fini della motivazione della presente sentenza».

NESSUN RAPPORTO DI SERVIZIO

Nel motivare tale decisione il collegio segue un filo logico: «Dirimente in tal senso depone la mancanza del c.d. rapporto di servizio tra il percettore del reddito di cittadinanza e l’amministrazione erogatrice del beneficio. Al riguardo la ormai consolidata giurisprudenza della Cassazione afferma che, per fondare la giurisdizione contabile, il requisito del rapporto di servizio tra Amministrazione danneggiata e soggetto danneggiante va valutato in senso ampio, sussistendo ogni qualvolta un soggetto, pubblico o privato, sia vincolato alla “gestione di pubblico denaro” secondo un “programma imposto dalla pubblica amministrazione”. L’esistenza di un rapporto di servizio è stata, quindi, affermata ogni qual volta si instauri una relazione funzionale con la pubblica amministrazione caratterizzata dall’inserimento del soggetto privato esterno nell’iter procedimentale della pubblica amministrazione come compartecipe dell’attività a fini pubblici, “essendo sufficiente la compartecipazione del soggetto all’attività dell’amministrazione pubblica ed essendo altresì irrilevante che tale soggetto sia una persona fisica o una persona giuridica, pubblica o privata”».

Ma la sentenza entra nel dettaglio per spiegare quale deve essere il ruolo del privato: «In sostanza il rapporto di servizio è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il privato estraneo alla Pubblica Amministrazione risulti assoggettato all’osservanza di un programma amministrativo, con inserimento funzionalmente nell’iter procedimentale pubblicistico e con il compito di porre in essere, in luogo della stessa Amministrazione, un’attività tesa al perseguimento di una specifica finalità di interesse generale. Devono pertanto sussistere contestualmente tre requisiti: a) la provenienza pubblica delle risorse erogate; b) un vincolo funzionale di destinazione delle stesse a un puntuale scopo pubblicistico con annessa attività gestoria; c) un obbligo di attivazione e rendicontazione a carico del percipiente in relazione alle somme ricevute».

LA NATURA DEL REDDITO DI CITTADINANZA

Di conseguenza «la natura pubblicistica del denaro non risulta sufficiente per radicare la giurisdizione contabile, essendo anche necessaria la gestione delle risorse pubbliche secondo un determinato programma imposto dalla Pubblica Amministrazione, nonché che il soggetto sia anche investito del compito di porre in essere le attività in vece dell’Amministrazione».

E qui la Corte dei Conti “analizza” il reddito di cittadinanza: «Ciò premesso l’art. 1 del Decreto legge 28.1.2019 n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni) definisce il reddito di cittadinanza “quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro. Il Rdc costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili”.

Gli articoli successivi del DL individuano poi la platea di beneficiari, l’entità del beneficio e gli obblighi e le condizioni (patto per il lavoro e patto per l’inclusione) per il mantenimento della provvidenza».

SUSSIDIO PUBBLICO

Arrivando all’ovvia conclusione: «Ebbene, anche se il legislatore fornisce una definizione ampia della misura in oggetto, la stessa assume una conformazione in via prioritaria di carattere assistenziale, non conferendo al destinatario alcuna gestione di risorse pubbliche, essendo le stesse prive di vincolo di destinazione.

Come precisato dalle pronunce di questa Sezione in materia, il reddito di cittadinanza è qualificabile come pubblico sussidio in quanto volto al supporto economico dei ceti meno abbienti, mentre la finalità di inserimento al lavoro “resta un obiettivo esterno di politica legislativa, che si aggiunge a quello di contrasto alla povertà e al disagio sociale che connota la suddetta misura economica, per esplicita ammissione degli stessi ideatori”. Tale assunto è rafforzato dal fatto che manca il vincolo di destinazione delle risorse pubbliche nonché l’obbligo di rendicontazione, configurandosi così più un aiuto o sostegno di carattere provvisorio in attesa dell’inserimento nel mondo del lavoro».

Pertanto: «Quanto affermato porta a escludere l’esistenza tra la convenuta e la Pubblica amministrazione di un collegamento funzionale per la realizzazione di un pubblico interesse, in quanto il privato non risulta compartecipe fattivo di un programma di attività definito dalla Pa per la realizzazione di detto interesse».

Inevitabile la sentenza che “non decide” sulla responsabilità dell’ischitana, demandando ad altro giudicante il compito: «Tale conclusione, quindi, conduce a ritenere che nel caso in esame non possa essere ritenuta sussistere la giurisdizione della Corte dei Conti, e pertanto il Collegio declina la giurisdizione in favore del Giudice ordinario innanzi al quale la causa deve essere riassunta».

Misura assistenziale

«… la stessa assume una conformazione in via prioritaria di carattere assistenziale, non conferendo al destinatario alcuna gestione di risorse pubbliche, essendo le stesse prive di vincolo di destinazione»

Il danno

La Procura della Corte dei Conti contestava il danno erariale di 9.200 euro pari a 18 mensilità indebitamente percepite

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