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venerdì, Maggio 3, 2024

Covid19. Mattia, «io guarito dal Coronavirus»

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Dal primo momento di spavento all’amicizia con gli altri pazienti e gli operatori sanitari. Il timore di aver contagiato altri e il sollievo. Tanta sofferenza, ma affrontata sapendo che «l’amore circola sempre»

Sabato mattina ha lasciato l’Ospedale Rizzoli. Mattia Rotondo è il primo guarito da Covid19 sull’isola d’Ischia. Il primo guarito dal virus che ha messo ko il mondo dopo le cure dell’Ospedale “Anna Rizzoli” di Lacco Ameno. Una sorta di auting, una esposizione mediatica ma imposta più che cercata. Una ribalta che ha un retrogusto amaro perché estorta a fin di bene.

La guarigione di Mattia, per un sistema che funziona male, per una ASL dal doppio volto, per una comunità ipocrita e bigotta è l’occasione per auto infondersi fiducia. Per confermare quello che è l’hashtag del momento: “andrà tutto bene”.

La vera storia di questo caso, però, la racconteremo in un’altra occasione. Oggi facciamo parlare il protagonista.

Mattia Rodondo è un giovane ischitano, 26 anni, che ha deciso di vivere un’esperienza di comunione e condivisione con altri quattro giovani della parrocchia affidata a Don Carlo Candido ad Ischia Ponte. Un’esperienza di intensa condivisione che li vedere condividere la proprio vita presso “Casa Loreto”, una struttura nata proprio con lo scopo di mettere insieme quanti hanno voglia di sperimentare il vangelo in maniera “immersiva”, per usare un termine moderno.

– Mattia, auguri e bentornato a casa! Ci accompagni, per quanto possibile, nel reparto Covid del Rizzoli?

«Non nascondo che all’inizio ho provato un certo spavento perché ho visto gli altri pazienti che indossavano il casco e questa cosa mi ha subito destabilizzato. Quando quelle immagini le vedi in televisione, non ti toccano… poi invece sei tu il protagonista. E inizia a salire la paura. Il primo giorno è stato molto traumatico, nonostante gli infermieri siano stati fin da subito degli amici. Ho trovato, e lo voglio sottolineare, una umanità incredibile, così anche come con i medici e con gli OSS. Quando varchi quella soglia, davvero ti rendi conto che siamo tutti sulla stessa barca. Loro, anche se avevano paura, non la mostravano, davano sicurezza e certezza. Così i medici e gli OSS. Sono state persone eccezionali e sono stati loro che mi hanno aiutato a uscire dalla fase traumatica. Con l’ossigeno terapia, perché ho avuto bisogno dell’ossigeno tramite casco e, forse, quella è stata la cosa più brutta: lì dentro più che darti ossigeno, sembra che ti manchi l’ossigeno, ci si sente un po’ spiazzati. Si capisce che la cosa più banale, che è respirare, non è più banale. Quando c’è l’affanno, la fatica, la “fame di aria” si va in crisi davvero. Anche perché si vuole prendere aria e non ci si riesce… è stato spaventoso. Fortunatamente alle cure, dopo un piccolo peggioramento nei primi giorni, ho risposto bene. La febbre subito mi ha abbandonato, sono stato ricoverato con la febbre a 39 ma già dal giorno successivo la febbre era svanita ed era aumentato un po’ di affanno. In circa 7-8 giorni ho superato la fase critica e ho reagito bene alle terapie antibiotiche.

L’esperienza bellissima che porterò con me sono i legami creati con le persone le quali, anche se bardate e irriconoscibili, hanno trasmesso l’amore più concreto che possa esistere, al di là se avevano o meno una dimensione di fede. Nella concretezza, a Pasqua mi è arrivata la pastiera e l’uovo di Pasqua, una infermiera da casa mi ha portato il casatiello… tante piccole carezze che, nel concreto, mi hanno aiutato molto. Così come tutti gli altri pazienti. Persone splendide davvero».

«DIMENSIONE DI FEDE»

– Avevi contatti con gli altri pazienti?

«Inizialmente, prima dell’arrivo del tampone, ero in isolamento e non potevo vedere nessuno, gli infermieri venivano prima da me, caso sospetto, e poi dagli altri. Appena accertata la positività mi hanno messo in una stanza con altre persone. A dire il vero è stata una cosa piacevole, c’è stato uno scambio di parole e di sentimenti. E’ stato bello perché con queste persone mi sento ancora e mi informano su come stanno. Si sono creati legami, nonostante tutto, e ci siamo dati coraggio l’un con l’altro. Ci siamo aiutati a vicenda».

– E il ritorno a casa?

«Un po’ traumatico. Mi ha segnato stare un mese in ospedale, ma c’è stata tanta gioia e contentezza. Adesso sono a casa mia».

E Don Carlo?

«Lui è stato la mia spalla forte, ci siamo sempre sentiti e abbiamo condiviso tanto. Lui è risultato negativo e di questo sono stato contento».

– Per quanto tempo hai pensato a chi ti ha contagiato e per quanto tempo a chi hai potuto forse contagiare?

«La mia paura più grande è stata quella di non sapere se avevo contagiato qualcuno. Chi mi ha contagiato… non gliene faccio una colpa, se era asintomatico, non lo sapeva. Non è una colpa. La persona che mi ha contagiato è una vittima come me, così come lo sono gli altri. Ecco, una cosa posso dire: preferisco essere stato contagiato io piuttosto che una persona anziana che avrebbe rischiato la vita.».

– Sei a casa da qualche ora. Qual è il tuo bilancio di questa esperienza?

«Ad oggi posso dire di aver vissuto una bella esperienza pur nella sofferenza. Io la vedo nella dimensione di fede, ho vissuto una quaresima e Settimana Santa ad hoc e subito dopo la Pasqua siamo risorti con Lui. Questo è come la vivo dalla mia visione. E per tornare alla domanda di prima, beh, ci ho pensato per un istante a chi potesse essere, ma giusto per curiosità, poi la paura è stata per l’attesa dei risultati di tutte le persone che sono state in contatto con me. Ho avuto un’ansia incredibile perché avevo paura di aver potuto portare il virus ad altri. Fortunatamente ciò non è avvenuto.

Quando vivi questa esperienza, vorresti che nessuno sia costretto ad entrare lì dentro perché comunque è un reparto tutt’altro che semplice. Nonostante la bellezza delle persone che vi lavorano, la sofferenza è tanta».

«CACCIA ALLE STREGHE»

– E di tutto quello che è successo qua fuori? Hai letto qualcosa? Ne hai parlato con qualcuno?

«La permanenza in ospedale, lontano da tutti, non è stata semplice, ma leggere al tempo stesso determinate vicende che si sono venute a creare su vari giornali, veramente è stata ancora di più una sofferenza perché non si è vista più la persona, ma l’audience. La spettacolarizzazione del fatto. Io non ho voluto scrivere nulla, tutto quello che la legge mi imponeva di fare l’ho fatto, le persone con le quali sono entrato in contatto le ho segnalate. A me, personalmente, non piace espormi, dire che sono risultato infetto.

Anche perché ho visto che nell’ultimo periodo è iniziata proprio una corsa a scoprire chi è il contagiato, e questo fa male alla persona che è vittima. Alla fine è una vera caccia alle streghe.

Questa cosa non ha colpito solo me, in ospedale ho avuto contatti anche con altre persone e questa sensazione è stata ribadita anche da altri. Questo mi fa capire che bisognerebbe preservare di più la persona dalle notizie. Perché tanto, poi, ho segnalato chi avrei potuto contagiare agli organi di competenza, così come all’ospedale. Anche perché ci tenevo che alla rete di persone che avevo frequentato venisse fatto un monitoraggio, così come l’ho fatto all’ASL in maniera indiretta, logicamente, perché comunque loro non si sono fatti più sentire né tanto meno io ho avvertito il motivo di chiamarli. Alla fine ho fatto tante chiamate, ma ho ricevuto sempre porte sbattute in faccia.

Veramente mi è dispiaciuto leggere tante di quelle stupidaggini, quando a volte basta il silenzio, specialmente quando si vivono drammi come questo. La paura e l’ansia c’è, è comunque qualcosa di diverso che ti colpisce e in televisione si sentono tante cose, e ancor di più chi vive realmente questo dramma dal di dentro sa cosa significa».

– Ti ha fatto piacere che in un qualche modo sia stato organizzato un appuntamento con televisioni e giornalisti per la tua uscita dall’ospedale?

«Qualcuno lo aveva capito perché sono la prima persona guarita. Il post l’ho scritto perché ormai il mio volto e il mio nome erano pubblici e volevo che vi fosse la mia voce. Della presenza delle telecamere mi aveva avvisato il primario Di Gennaro. Per me Di Gennaro si è comportato benissimo e si è preso cura di me. Ho scritto quel post perchè davvero volevo dire grazie a tutti loro. Per la verità io il momento del saluto lo avrei voluto vivere in modo più intimo ma non è stato possibile. E’ stato bello, però, salutare tutti quanti mi hanno seguito. Nonostante ci sia questo virus, l’amore circola sempre».

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