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domenica, Maggio 5, 2024

Liberazione. Liberiamoci dal “fascismo” del paese dei balocchi

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LUCIANO CASTALDI | Sarà davvero una festa, il 25 aprile, – ha scritto ieri su La Verità Marcello Veneziani- quando avverrà sul serio la Liberazione dal fascismo. Definitiva, irreversibile, generale. A ottant’anni meno uno dalla sua fine, sogno una cosa che finora c’è stata negata: la negazione di questa gogna permanente”. Io aggiungerei: sarà finalmente festa quando inizieremo a far tesoro della lezione del grande Pier Paolo Pasolini (altro che Scurati…) contro le nuove, e certamente più pervasive e subdole forme di “fascismo”: il dominio della tecnica, la dismisura titanica, la cronolatria, la mercificazione del mondo e della vita, la profanazione del tempo e dello spazio, la “insettificazione” dell’uomo ridotto a puro istinto, a mezzo: un uomo fatto a pezzi, considerato un pezzo… Pasolini, già negli anni Sessanta del secolo scorso, denunciava quel “sistema dei consumi” responsabile dell’omologazione culturale del paese. Un potere cioè che non più ha bisogno di imporre camicie nere e fez, perché è stato capace di conquistare, plasmare, modificare le coscienze e le anime con la dolce carezza della anestetizzazione di massa.

Ne abbiamo avuto prova durante la pandemia: tutti obbedienti, tutti proni ai dettami del medicalmente e scientificamente corretto. Tutti pronti a dare addosso ai coraggiosi, ai medici, agli scienziati non allineati con l’OMS (cioè con le case farmaceutiche e i loro finanziatori), non a caso definiti, proprio come negli anni bui, “depravati”, “irresponsabili”, “disfattisti, “nemici della salute pubblica” e della “razza” umana… Ecco, oggi ci troviamo dinanzi ad una nuova forma di totalitarismo “morbido” che non più ha bisogno dei campi di concentramento, dei “confino” o dei gulag per mettere a tacere i dissenzienti e i disobbedienti: basta spegnere il microfono, trattarli da pazzi, metterli in ridicolo (eh… ma “allora sei un negazionista”, un “terrapiattista”).

La patologizzazione del dissenso: manco Hitler riuscì a fare meglio. Sarà allora festa quando libereremo il lavoro dalle nuove forme di alienazione, di insicurezza, instabilità, precarietà. Sarà finalmente festa, quando libereremo il tempo libero dalla logica edonistica e mercantilista dei “festini”, degli “eppiauar” che durano 24 ore, del divertimento obbligatorio. Sarà festa di liberazione quando i nostri paesi, abbandoneranno la logica da “paese dei balocchi” e torneranno a santificare il tempo, a sacralizzare lo spazio, a mettere al centro della piazza i vecchi, il gioco, il sole, il canto. Singolare come Forio, emblema a noi vicino della “balocchizzazione” contemporanea abbia scelto il giovedì quale giorno della settimana da consacrare al “divertimento obbligatorio”. Ricordate? Nel Paese dei Balocchi “non ci sono scuole, non vi sono maestri, non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola, e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica”.

Sarà allora finalmente festa quando torneremo, per dirla con Walter Benjamin, a “Uscire di casa come se si giungesse da un luogo lontano; scoprire il mondo in cui già si vive; cominciare la giornata come se si sbarcasse da una nave proveniente da Singapore e non si fosse mai visto il proprio zerbino né le persone sul pianerottolo (…) è questo che rivela l’umanità esistente, finora ignorata”.

Credo proprio che tanta della frustrazione che ci prende, che ammorba le nostre vite e che intristisce i nostri figli, sia dovuta proprio a questo diabolico veleno. Liberiamoci allora dal “fascismo” che ci impone nuove maschere e mascherine, sieri e fiele e che ci inDUCE a (non) pensare tutti allo stesso modo, a bere tutti gli stessi drink, a vedere tutti le stesse serie tv, a mangiare tutti le stesse cose, vestire tutti con la stessa volgarità. Liberiamoci dalla costrizione di voler apparire a tutti i costi “adatti”, “vincenti”, “efficienti”, euforici, brilli, fatti e sfatti.

Liberiamoci dagli inganni e dalle trappole dei tanti gatti, volpi e volpini che incontriamo quotidianamente lungo il nostro cammino. Torniamo alla grazia dell’inazione, della contemplazione, persino dell’ozio. Torniamo agli sguardi innamorati davanti ai nostri orizzonti. Torniamo a guardare con stupore e commozione al cielo dei nostri paesi che prima del crepuscolo si fa rosso perché è in quei precisi istanti, sempre unici, sempre originali, che il sole espande la sua emorragia d’amore. Non siamo burattini. Ed è proprio nella consapevolezza dei nostri limiti e della nostra fragilità che ha sede la nostra forza. Una forza che non teme il pianto perché si apre alla luce della verità, alla autentica libertà , alla eterna bellezza.

1 COMMENT

  1. Il problema di questi tempi non è tanto un paventato “totalitarismo”, quanto il bisogno che ogni persona ha di dare una opinione su fatti di cui non si cura di avere una preparazione adeguata, surrogando percorsi decennali di formazione con bignami presi dai social media. Di fronte a questa mania di voler affermare qualunque punto di vista come valido si può cercare di ragionare, si può cercare di spiegare, ma all’ennesima corbelleria l’unica reazione possibile è quella di smettere il dialogo, suscitando l’accusa di “bavaglio”. Tra l’altro rimane sempre il dubbio che molte teorie alternative siano al soldo di qualche agenda precisa. Poi se vogliamo ancora dare voce a chi dice che la terra sia piatta…

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