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martedì, Aprile 30, 2024

Raggi D. Tempi “Acerbi” per la questione razzismo

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Si tratta di una sorta di scriminante (“nella scriminante”) sportiva, piuttosto imbarazzante ma comprensibile. Art. 28 c.1 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC: “Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”.

Ho volontariamente evitato di commentare a caldo la vicenda che ha visto coinvolti i calciatori di Inter e Napoli nel posticipo della gara di domenica 17 marzo scorso perché ritenevo i tempi “Acerbi” ma, ora che è disponibile anche la decisione del Giudice Sportivo, si può senza dubbio affrontare rapidamente la cogente tematica provando a fornire un contributo che si spera utile a chi ama il calcio e ne sa cogliere più e preziosi aspetti e valori, capaci quindi di travalicare lo stesso terreno di gioco.
Per poterlo fare è primariamente doveroso spogliarsi dei panni del tifoso, viceversa qualsiasi tentativo di offrire un apporto degno di tal nome verrebbe compresso e disinnescato miseramente.

VERITÀ FATTUALI E VERITÀ PROCESSUALI
Come già nella giustizia ordinaria, anche nello sport esistono ovviamente verità fattuali e verità processuali con le seconde che, pressoché all’infinito, cercano di sovrapporsi alle prime, sempre più che mai complicatissime da sostenere e dimostrare in quei termini: se Mario ruba una mela dall’albero che è nel giardino di Giulio (presunta verità fattuale), al processo si cercherà di ricostruire la vicenda al meglio, magari con il supporto di immagini, testimonianze, prove indirette, generiche e/o specifiche così che alla fine se ne potrà dedurre nella sentenza del Giudice una congrua ricostruzione che ha portato ad una determinata statuizione. Poi magari si scoprirà anche che la mela era stata presa per fame. Insomma, il tutto è da affrontare in maniera molto prudente.


Quel che è successo tra Acerbi e Jesus resta un fatto di campo e, in quanto tale, poteva essere trattato unicamente dal giudice sportivo in quanto “giustizia tecnica” (i fatti di campo di “giustizia tecnica” rappresentano un indifferente ai sensi dell’Ordinamento Statale, giova ricordarlo) così che anche un legittimo ricorso al giudice ordinario da parte di Jesus – di cui s’è pure sentito in questi giorni, ex art. 24 della Costituzione ed in forza della legittima facoltà dei soggetti di tutelare propri diritti soggettivi ed interessi legittimi presso la giustizia statale – parrebbe priva dei necessari fondamenti probatori.


COSA SANZIONARE
Nella vicenda Acerbi-Jesus la problematica è nata da quanto stabilito dall’art. 28 c.1 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC secondo cui “Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”. Secondo il disposto del c. 2 dello stesso art. 28, la pena è afflittiva nei confronti di un calciatore che se ne rende colpevole così da togliergli un paio delle cose a cui più tiene, soldi e possibilità di giocare. Il Codice, tuttavia, pur affermando che si tratta di “ogni condotta”, non chiarisce se la percezione di “offesa, denigrazione o insulto” spetta ad un soggetto giudicante, deve esser colta nelle intenzioni e nel comportamento di chi la propone o ancora deve basarsi sulla sensibilità del soggetto che ne è destinatario.

Non è una sottigliezza di poco conto perché nell’adrenalina e nelle fasi concitate di gara, qualsiasi dire potrebbe essere frainteso così che non sempre, se percepita chiaramente dagli ufficiali di gara o dai commissari di campo (e in questo caso neanche è accaduto), una determinata condotta viene effettivamente refertata perché ritenuta chiaramente e realmente assorbente al disposto del Codice. Si tratta di una sorta di scriminante (“nella scriminante”) sportiva, piuttosto imbarazzante ma comprensibile, che tende a contenere la percezione esterna che si potrebbe avere su “sbotti” figli appunto di cose di gara (e che di solito restano all’interno del terreno di gioco). Il calcio non è infatti solo quel che si vede davanti ad un asettico monitor televisivo: Renzo Ulivieri ebbe una volta modo di dire in proposito che “In tv si vede un altro sport, mica il calcio. La tv è un preservativo: annulla e mistifica”.

IL GIUDICE SPORTIVO
Nel caso de quo è utile rilevare che l’azione del Giudice Sportivo (art. 66 c. 1 lettera a)) si è svolta “d’ufficio e sulla base delle risultanze dei documenti ufficiali”, cosa che impedisce a Jesus di proporre reclamo alla Corte Sportiva d’Appello (sarebbe stato possibile se ai sensi della lettera b) del medesimo articolo fosse stato lui a proporre il ricorso di primo grado).
Nella sua azione, Mastrandrea, uomo del sistema ma anche esperto, competente e capace di trovare ogni prudente possibilità deflativa che sappia portare alla retta via senza per questo usare ghigliottine chiassose e clamorose o platealmente rendersi autore di una “Piazzale Loreto del calcio”, ha fatto capire che gli eventuali Acerbi della situazione saranno in futuro sempre più soli, isolati, costretti a mormore/sussurrare i presunti epiteti razzisti quasi implodendoli all’interno della propria coscienza perché più nessuno è disposto ad accettarli. A suo modo, ha cercato di isolare chi eventualmente ritiene di perseguire in una condotta non più percorribile, non più accettabile e non più sostenibile.

LA DECISIONE
Resta il fatto che per qualsiasi ordinamento, da quello statuale a quello settoriale sportivo, se non v’è un riscontro oggettivo non si può procedere ad alcuna azione sanzionatoria, e questo è correttissimo. Siamo in uno Stato di diritto e tale è anche l’ordinamento sportivo per quanto la giustizia sportiva tenda ad invertire l’onere della prova. È per questo che “senza dunque il supporto di alcun riscontro probatorio esterno, che sia audio, video e finanche testimoniale” si è giunti a questo tamquam non esset, tanto più che chi il campo lo ha vissuto sa perfettamente che “la sequenza dei fatti in campo (…) è sicuramente compatibile con l’espressione di offese rivolte (…) dal calciatore interista, e non disconosciute nel loro tenore offensivo e minaccioso dal medesimo “offendente”, il cui contenuto discriminatorio però, (…) risulta essere stato percepito dal solo calciatore “offeso””. A me, ad esempio, e ai miei compagni di squadra nelle categorie minori in cui ci siamo cimentati è capitato infinità di volte.

CRITICITÀ
A mio modo di vedere, la criticità maggiore che sembrerebbe venire in rilievo è tecnica ed è legata al fatto che un soggetto che avrebbe potuto proporre ricorso alla decisione del G.S. “sembrerebbe” essere proprio il Presidente Federale secondo quanto dispone l’articolo 49 del CGS/FIGC al c. 3 (“Sono inoltre, legittimati a proporre ricorso o reclamo: il Presidente Federale (…)”) nell’incipit del CAPO IV del Codice, rubricato come NORME GENERALI SUL PROCEDIMENTO e come poi richiamato invece altresì espressamente proprio dall’art. 102 (“Reclamo del Presidente Federale”) al c. 1 con un chiarissimo “Il Presidente federale può impugnare le decisioni adottate dal Giudice Sportivo Nazionale (…) quando ritenga che queste siano inadeguate o illegittime”. Strano allora questo silenzio del Presidente Gravina che ha sempre denotato sensibilità sui temi dell’inclusione, della tolleranza, della lotta al razzismo. Lo stesso Presidente, del resto, lo ricordiamo protagonista di un’azione di forza nel caso di Lukaku (quando ancora all’Inter) successivamente alla semifinale d’andata di Coppa Italia contro la Juventus del 2023/24: concesse infatti la grazia al centravanti nerazzurro squalificato per una giornata per aver reagito agli epiteti razzisti della curva bianconera (peraltro con ulteriori ed evidenti criticità nella lettura di questa iniziativa considerato che ai sensi dell’art. 43 del CGS Federale, la grazia stessa può essere concessa solo “se è stata scontata almeno la metà della pena”, cosa che avrebbe obbligato al centravanti belga a restare seduto in panchina per almeno 45’ + 1’ della gara di ritorno, ed invece…).

Chissà che in secondo grado la CSAN non avrebbe minimamente agito in forza dell’art. 4 CGS (quello della lealtà, della probità e della correttezza) proprio basandosi su quel “l’espressione di offese rivolte (…) dal calciatore interista e non disconosciute nel loro tenore offensivo e minaccioso dal medesimo offendente” così da far derivare anche solo qualche giornata di squalifica che avrebbe sollecitato chiunque a riflessioni dovute e doverose.
Qualsiasi cosa sia successa è comunque importante a prescindere che se ne parli e che si colga l’occasione per provare ad essere (davvero) migliori. Sul tema del razzismo, quindi, non posso che esimermi dal ricordare a questo punto le parole sagge di Nelson Mandela secondo cui “Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione, della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio”.

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