sabato, Luglio 27, 2024

Il Tar impone al Zì Carmela di liberare via Mons. Schioppa

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Rigettato il ricorso contro il provvedimento di sgombero adottato dal Comune di Forio. Le opere abusive occupano un’area demaniale da oltre 30 anni nella disponibilità degli Elia senza alcun pagamento del canone, ma per i giudici l’Ente comunale poteva esercitare in qualsiasi momento il potere di autotutela possessoria, considerato che non era intervenuta alcuna sdemanializzazione. Ritenute infondate anche le altre censure

Gaetano Di Meglio | Si è chiuso dinanzi al Tar Campania il contenzioso tra il Comune di Forio e il Zì Carmela che vedeva al centro l’occupazione di una parte della stradina comunale via Mons. Schioppa con opere abusive. Non è certamente il primo caso di beni demaniali “contesi”, su cui vengono chiamati a pronunciarsi i giudici amministrativi.

E il collegio della Settima Sezione ha dato ragione all’Ente, respingendo il ricorso presentato dalla “Hotel Zi Carmela di Elia Anna Maria & C.”.
L’atto impugnato innanzi ai giudici amministrativi dagli avvocati Ivan Colella e Maria Petrone, difensori degli Elia, è il provvedimento del 18 novembre 2016, notificato il 23 dicembre dello stesso anno, «con il quale il responsabile del Settore Ragioneria, Tributi e Personale del Comune di Forio, dopo aver richiamato il rapporto tecnico del 14 ottobre 2016, a mente del quale “la parte della stradina comunale risulta occupata da manufatti vari per circa mq 60,00, costituenti locali annessi sia alla cucina dell’albergo che alla cucina del ristorante omonimo, costituiti per lo più da muratura e copertura in zinco coibentato. Poco distante, sempre su area pubblica, risulta altro casellino in muratura e copertura in zinco di mq. 5,00 circa, adibito a deposito”, ha ingiunto alla ricorrente, quale legale rappresentante della “Hotel Zi Carmela di Elia Anna Maria & C. s.a.s.”, di ripristinare l’originario stato dei luoghi».
Il Comune si è costituito in giudizio rappresentato dall’avv. Ferdinando Scotto.

IL RICORSO
Il ricorso, oltre che sulla violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, era basato sulla tesi che «l’atto sarebbe affetto da incompetenza, in quanto, ai sensi dell’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001, avrebbe dovuto essere emanato dal responsabile dell’ufficio tecnico, trattandosi di provvedimento sanzionatorio attinente alla materia edilizia ed essendo detto responsabile l’unico in grado, per competenza, conoscenze tecniche e professionalità, di assicurare la rispondenza dell’attività edilizia alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, nonché ad emanare provvedimenti interdittivi e cautelari».
Difendendo inoltre il “possesso” della porzione di stradina in quanto «l’area asseritamente di proprietà comunale è, invero, da lungo tempo nella esclusiva disponibilità materiale e giuridica della ricorrente che la occupa, con strutture e fabbricati di proprietà esclusiva della “Hotel Zi Carmela di Elia Anna Maria & C. s.a.s.” da oltre un trentennio, senza che l’amministrazione comunale abbia mai prima d’ora contestato alla deducente e ai suoi danti causa una occupazione abusiva di un’area ritenuta – solo ora – parte integrante della funzione viaria della rete stradale; né alla ricorrente è mai stato richiesto, in oltre un trentennio, il pagamento del canone di occupazione abusiva».

Il Comune, da parte sua, ha difeso il provvedimento adottato contestando i vizi riportati nel ricorso, «rimarcando, in particolare, che lo sgombero dell’area dai manufatti abusivi sarebbe stato disposto dal competente dirigente comunale, in ragione dell’occupazione sine titulo di area di natura demaniale – peraltro con opere in muratura realizzate in violazione dell’art. 17 regolamento sull’occupazione suolo pubblico (che consente solo tende apribili e ombrelloni da chiudere alla chiusura dell’attività) – senza che sia stata fornita prova dell’asserita sdemanializzazione; inoltre, alla ricorrente sarebbe stata data tempestiva comunicazione di avvio del procedimento, per cui non ne sarebbe derivato alcun pregiudizio per le invocate garanzie di partecipazione».

TRANSAZIONE IN ALTO MARE
Il collegio ha inteso chiudere il contenzioso respingendo la richiesta delle parti di rinviare la decisione per consentire una eventuale transazione. Nella sentenza si rileva infatti «che non si ravvisano ragioni di gravità tali da giustificare il differimento richiesto dalle parti, a fronte di un’udienza di merito da tempo fissata nell’ambito del programma straordinario per la riduzione dell’arretrato ed essendo stato già eccezionalmente concesso alle parti un congruo rinvio alla scorsa udienza del 9 febbraio 2023. Rileva peraltro il Collegio che, allo stato, risultando la causa matura per la decisione, l’ulteriore procrastinazione del giudizio colliderebbe con il principio di ragionevole durata del processo costituzionalmente tutelato, non essendovi alcuna prova in ordine al solo auspicato bonario componimento della vicenda contenziosa, non risultando la relativa procedura essere giunta a uno stato avanzato né tantomeno conclusivo».

Analizzato nel merito il ricorso, i giudici lo hanno ritenuto infondato.
Partendo dalla prima censura, che lamentava «l’incompetenza del responsabile del Settore ragioneria, tributi e personale, in quanto, nell’ingiungere il ripristino dello stato dei luoghi, l’atto impugnato si tradurrebbe oggettivamente in un vero e proprio provvedimento sanzionatorio di natura edilizia, di competenza del responsabile dell’ufficio tecnico comunale».

LA COMPETENZA DEL DIRIGENTE
Il Tar ha definito tale motivo «fuori centro». Spiegando che «invero, come ben rilevato dalla difesa comunale, l’atto nella odierna sede controverso costituisce esercizio del potere di autotutela possessoria in via amministrativa che, come rilevato dalla pacifica giurisprudenza, costituisce rimedio di natura concorrente rispetto a quello discendente dalla proposizione dell’azione giudiziaria, atteso che la norma citata appresta entrambi i rimedi, senza alcuna preclusione dell’uno rispetto all’altro.

Tale potere, peraltro, risulta legittimamente esercitato dal dirigente preposto allo specifico settore, rinvenendosi la fonte del relativo potere nell’art. 107 co. 2 TUEL e rilevando l’intervento dell’UTC ai soli fini della esecuzione dell’ordine di sgombero dell’area pubblica, nonché ai fini della sottesa verifica della incompatibilità, sotto il profilo tecnico, delle opere realizzate con il regolamento comunale sull’occupazione suolo pubblico».
Scendendo maggiormente nel dettaglio: «Tale potere, che può essere esercitato non solo nei casi in cui l’occupazione abusiva riguardi un immobile di natura demaniale ma anche quando lo stesso appartenga al patrimonio indisponibile, risponde al preciso scopo di consentire il ripristino della legalità violata, per un tutela effettiva del pubblico interesse al corretto utilizzo dei beni pubblici.
Nella specie, dunque, il contestato potere di autotutela esecutiva risulta legittimamente esercitato da parte del dirigente comunale preposto alla cura dell’interesse tutelato, al fine di assicurare lo sgombero delle aree appartenenti al demanio comunale e, come visto, da tempo oggetto di abusiva occupazione di suolo pubblico, in assenza di titolo legittimante».

USUCAPIONE NON CONSENTITA
Quanto al lungo periodo in cui la disponibilità dell’area è in capo “gratuitamente” al Zì Carmela, i giudici hanno ritenuto il motivo infondato: «La ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato non terrebbe in alcuna considerazione l’affidamento ingenerato nella ricorrente in ragione del lungo tempo trascorso, essendo l’area nella propria esclusiva disponibilità da oltre un trentennio, senza che sia stata mai contestata la natura demaniale dell’area».
Per respingere tale tesi, il Tar ricorre a una premessa: «Sul punto va preliminarmente ribadito che in materia di beni demaniali sussiste il principio generale secondo cui tali beni, in quanto non alienabili, non risultano neppure usucapibili. Infatti, secondo il codice civile i beni demaniali sono soggetti ad un vincolo di destinazione, e, come tali, non possono essere oggetto di usucapione, poiché sono destinati ad un pubblico servizio e quindi non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano. La limitazione di suddetto principio è rappresentata dall’istituto della sdemanializzazione, secondo cui un determinato bene può sempre perdere la sua natura demaniale e passare alla categoria di bene patrimoniale, a cui si applica il regime ordinario dei beni privati. Tale trasferimento può essere operato mediante atto ad hoc o per facta concludentia che attestino il venir meno dell’interesse pubblico da parte della Amministrazione (cosiddetta sdemanializzazione tacita); con la precisazione, in tale ultimo caso, che è esclusivo onere dell’interessato fornire prova dell’esistenza di contrarie consuetudini, convenzioni o diritti acquisiti».

Nel caso specifico, «Poiché, come è evidente, non può un’occupazione di una strada comunale, la cui genesi si rivela non conforme a norma, creare alcuna aspettativa di tutela dell’affidamento del privato sulla conservazione dello status quo, alcun rilievo riveste il tempo trascorso, a prescindere da quali siano le cause che abbiano potuto determinare l’inattività per lungo tempo degli organi preposti alla emanazione degli strumenti di tutela del bene, sottratto illecitamente all’uso pubblico».

PROCEDURA CORRETTA
Il Comune ha tutto il diritto di rientrare nella disponibilità della porzione di strada: «L’autotutela possessoria, dunque, in tali casi ben può essere esercitata, come nella specie, anche a distanza di tempo dalla modifica della situazione di fatto, attesa la sua finalità di soddisfacimento della necessità di recupero, in favore della collettività, della disponibilità di un bene demaniale sottratto sine titulo all’uso pubblico, per destinarlo ad uso privato.
Difatti, a fronte della presunzione della natura demaniale della strada comunale in questione, alcuna prova idonea è stata fornita dalla ricorrente, atta a superare la tesi di parte in ordine alla avvenuta sdemanializzazione».
Del resto l’ufficio preposto aveva motivato il rigetto della istanza di annullamento presentata dalla società ricorrente. Si legge infatti in sentenza: «Peraltro, all’esito della preannunciata valutazione dell’istanza di annullamento del provvedimento impugnato, presentata dalla ricorrente, il Settore Patrimonio del comune ha ulteriormente verificato e attestato, all’esito di specifico approfondimento istruttorio, la natura demaniale dell’area, come risulta dalla documentazione in atti, che, peraltro, nemmeno è stato fatto oggetto di ulteriori rilievi censori».

Quanto al rilascio di un permesso a costruire in sanatoria risalente al 2006, questo interessava altre opere e non quelle che occupano la stradina: «Va anche soggiunto che alcuna illegittimità del provvedimento impugnato per contraddittorietà con precedenti manifestazioni della P.A., può dedursi, come sostiene parte ricorrente, dal rilascio di permesso di costruire in sanatoria in favore della ricorrente (del 2006), atteso che, come risulta documentato, il titolo in questione non riguarda le opere in questa sede contestate, ossia opere in ampliamento poste in essere in violazione dell’art. 17 del Regolamento Comunale per l’occupazione di suolo pubblico approvato con delibera consiliare n. 36/2010».

Nel ricorso si contestava infine che «il provvedimento non sarebbe stato preceduto da una valida comunicazione di avvio del procedimento». Una censura infondata, in quanto «va precisato che l’impugnato provvedimento risulta incontestatamente adottato a seguito della nota del 14 ottobre 2016, con la quale il Comando P.M. ha trasmesso la relazione informativa degli estremi della notizia di reato del 11.10.2016, prevedendo espressamente che “la presente nota vale anche come avvio del procedimento”, di talché la censura è smentita in fatto prima che in diritto, essendo stata consentita alla ricorrente la possibilità di fornire il proprio apporto di utilità all’azione amministrativa, consentendole di presentare memorie e documenti ritenuti rilevanti, in linea con i principi di partecipazione e leale collaborazione tra cittadini e amministrazione».

L’esito del procedimento, in ogni caso, non sarebbe cambiato: «A tanto va poi soggiunto che in ogni caso la partecipazione del privato, a fronte della natura demaniale della strada oggetto di occupazione sine titulo, anche all’esito della valutazione di infondatezza dei motivi prospettati, risulta ininfluente, dato che l’esito del procedimento non avrebbe potuto essere diverso, con conseguente preclusione della possibilità di annullamento dell’atto».
Di qui il rigetto totale del ricorso e la conferma che le opere che occupano l’area demaniale dovranno essere demolite. In virtù della soccombenza, la società “Hotel Zi Carmela di Elia Anna Maria & C. s.a.s.” è stata condanna al pagamento delle spese di lite in favore del Comune, calcolate in 1.500 euro.

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