sabato, Luglio 27, 2024

I ricordi della nostra vita e quella cappella svuotata

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Raffaele Franco Calise | Ho scritto questa poesia nel lontano 1956. Avevo 20 anni, innamoratissimo della mia ragazza Anna Maria Bottino, poi mia moglie, immaginando che altri giovani innamorati come noi ma meno fortunati per qualche ragione si dovessero lasciare. Vorrei dedicare questi pochi versi senza pretese a tutti gli innamorati del mondo che vengono a visitare la nostra bella Isola, che passano per Forio e ammirano questo meraviglioso terrazzo sul mare dove l’amore vince su tutto e su tutti.

LA CHIESA DEL SOCCORSO – A CHIES LU SUCCURS – IL SOGNO
So turnat nata vota ncoppa a Chies lu Succurs,
a stess ora, u stess post addò mi lasciasti tu.
Tagg vist comme in Sogno ca tu stiv affianco a me,
e comme in Sogno ti ho detto “ij ti voglio tantu bene”,
prendendoti per mano, ti ho detto “vieni, guarda stu cielo,
stu mar ca si fann assai chiù bell, quann ci stai tu.
Ma poi mi sono scetat e tu non c’eri più.
U ciel e u mar si sono di colpo sculurit
perché ci manca il sole, perché ci machi tu.
E tutti i giorni
ncoppa a Chies lu Succurs e comm in Sogno ti ripeto
“io ti voglio tanto bene”
ma poi quann mi sveglio tu non ci sei più.

LA CAPPELLA CON GLI EX VOTO
Io e la mia fidanzata Anna Bottino nel 1956 lavoravamo nello stesso albergo. L’unico pomeriggio che avevamo libero partivamo da Porto d’Ischia per Serrara con la nostra Lambretta. Ci fermavamo sul belvedere al Cuotto che guardava la spiaggia di Citara. A quell’epoca non c’era ancora il Poseidon. Sul belvedere c’era un vecchietto, credo si chiamasse Bernardo, seduto fuori una piccola cantina il quale per pochi soldi offriva ai visitatori un piccolo sandwich con la soppressata e un bicchierino di vino “Sorriso”, un vino dolce, il tutto produzione propria compreso il pane. C’era anche un signore disabile che tentava di cantare ma che suonava molto bene la fisarmonica e rallegrava i passanti. Ora gli eredi hanno creato una struttura moderna che ha una splendida vista sugli attuali Poseidon, dove si può mangiare un eccellente coniglio all’Ischitana, famoso in tutta Italia.

Immancabilmente andavamo a fare visita alla Madonna del Soccorso, alla quale eravamo molto devoti. Ci piaceva anche perché nella cappella a sinistra rispetto all’ingresso della Chiesa c’erano tutte le fotografie dei giovani partiti per la guerra. Non c’era una mamma, una sposa, una sorella a Ischia che non avesse un parente in guerra. Tutti venivano dalla Madonna del Soccorso: si chiama così perché la chiesa si trova a picco sul mare per soccorrere chi ne avesse bisogno. Venivano anche da Procida. Tutti ad Ischia venivano dalla Madonna per chiedere di far tornare i loro parenti e portavano doni, oro, collanine, ecc. Venivano anche per ringraziare della grazia ricevuta.

AMARA SORPRESA
Un giorno, non so dire quando, trovammo la cappella chiusa e svuotata di tutte le fotografie e dei cimeli che le persone avevano donato. Tra i vescovi di Ischia che si sono susseguiti nel tempo, non so dire quale ha dato l’ordine di chiusura della cappella, ma non mi sento di escludere nessuno. Penso che l’attuale Vescovo non abbia nessuna responsabilità, perché non c’era. Penso anche che chi ha ordinato la chiusura della cappella l’abbia fatto in buona fede, pensando che i tempi fossero cambiati.

La Chiesa non aveva probabilmente nessun interesse verso la suddetta cappella, ma certamente hanno dato il benestare per chiuderla.
Capisco che l’oro, le collanine ed effetti di valore andavano preservati poiché con i tempi che corrono è meglio essere prudenti, ma le foto potevano restare. Di tutti i giovani partiti per la guerra molti tornarono, molti no e molti tornarono irreversibilmente malati. Sembravano tutti tornati dal Vietnam dei tempi più recenti.
Io avevo mio padre e due miei zii marinai, fratelli di mia madre, e vari parenti in guerra.
Uno dei miei zii tornò illeso perché comandato in una zona lontana dalla guerra. L’altro fu catturato a Pola, allora Istria italiana, e fu liberato dai russi in un campo di concentramento nella Germania poi comunista. Non si è mai ripreso ed è morto vent’anni fa.

LA FOTO DI MIO PADRE
Anche mio padre si trovava in Germania a lavorare, ma non era soldato, con un contratto di sei mesi. Poi tornava a casa e dopo un mese ripartiva. La terza volta non poté prendere il treno per l’Italia. Fabbricava, insieme ad altra gente proveniente da tutti i Paesi (russi, polacchi, zingari, meticci, ecc..), mattoni rossi che servivano ai tedeschi per fare la guerra. Nel 1942/43 la Germania subì i bombardamenti più disastrosi con milioni di morti. Mio padre riuscì a fuggire su un tetto di un treno verso l’Italia. Raccontava a mia madre che ogni volta che passava sotto una galleria pensava che la sua testa saltasse. Non era più lui, era un’altra persona, malato di bronchite, polmonite, ma soprattutto aveva un esaurimento nervoso dal quale non si riprese più e nel 1944 a soli 43 anni morì. Lo Stato italiano non ha voluto riconoscere la sua morte per causa di guerra e così mia madre con quattro figli ritornò dai genitori contadini dove non patimmo più la fame. Mia madre percepiva 90.000 lire di pensione ogni due mesi.
Quella cappella con la foto di mio padre mi è mancata tanto. Avrei voluto chiedere a mio padre tante cose perché lui era sempre lontano a lavorare, avrei voluto capire che persona era, quali erano i suoi sogni, cosa gli piaceva fare. Mi è mancato moltissimo e mi manca ancora: ho dovuto cavarmela da solo e cercare di provvedere alla nostra famiglia. Avrei voluto chiedergli di parlarci dei suoi genitori, dei suoi fratelli, ma soprattutto avrei voluto chiedergli davanti alla Madonna se amava mia madre.

L’IMPORTANZA DEL PASSATO
Per questo chiedo alla Chiesa di riaprire quella cappella con tutti i cimeli, le grazie ricevute e le fotografie, anche se ammuffite e ingiallite dal tempo, per consentire a tutti gli ischitani di andare a ringraziarli per il loro sacrificio, per portargli un fiore, per dire loro una preghiera, ma soprattutto per consentire ai giovani di conoscere il passato, perché senza conoscerlo non si può costruire il futuro, e per consentire anche di riprendere le visite alla Madonna perché il mondo ha bisogno di ritrovare i veri valori della vita.

Ora la Chiesa è chiusa, anche se il portone è sempre aperto. Prima della pandemia il responsabile della Chiesa era il parroco Don Emanuel Monte, mio lontano e caro alunno della scuola alberghiera. Adesso non so chi sia il responsabile, ma so che si organizzano i matrimoni. Tutti si vogliono sposare al Soccorso per la bellezza del luogo, per il panorama meraviglioso ma soprattutto per l’enorme possibilità di parcheggio, non certo per la devozione alla Madonna. Non sono questi e non possono essere questi gli interessi della Chiesa: la religione e la fede sono valori nobili; la religione e la fede è amore che consente alla gente di tutto il mondo di riprendere a vivere ogni giorno.
Questa è la nostra storia, una delle tante: la storia di Anna Maria Bottino e di Raffaele Franco Calise, insieme per sessantacinque anni.

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