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venerdì, Maggio 3, 2024

La Regione sospende i lavori, ma sbaglia le particelle catastali! E’ stata necessaria una sentenza del Consiglio di Stato per ristabilire la verità

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Il provvedimento adottato per interventi privi di collaudo realizzati a Ischia in zona sismica era indirizzato al proprietario di un’altra area. Nemmeno il Tar si era reso conto dell’errore, respingendo il primo ricorso. In appello è stata esaminata la documentazione depositata dall’interessato e l’ordinanza annullata

La Regione Campania nove anni fa aveva sospeso dei lavori edili in corso nel comune di Ischia per la realizzazione di un capannone, in quanto eseguite senza collaudo in zona sismica. Peccato però che nel redigere il provvedimento indirizzato al proprietario dell’area e al responsabile dell’abuso, gli uffici regionali avessero sbagliato l’individuazione delle particelle catastali. Notificando quindi l’atto a un cittadino che non era in realtà proprietario di quel terreno. Un errore che non era stato riscontrato nemmeno dal Tar Campania, a cui pure l’interessato era ricorso. Ma ora il Consiglio di Stato ha fatto chiarezza, annullando quel provvedimento.

Il ricorso in appello chiedeva appunto la riforma della sentenza emessa dai primi giudici nel 2021, che non aveva accolto la richiesta di annullamento dell’ordinanza della Regione Campania, Direzione Generale LL.PP. e Protezione Civile, U.O.D. Genio Civile Napoli, protocollo, notificata il 27 novembre 2015 e di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero consequenziale. In entrambi i gradi di giudizio la Regione si è costituita, ma inutilmente, alla luce dell’errore marchiano.

I FATTI

Nella sentenza il Consiglio di Stato ricostruisce la vicenda: «La Regione aveva adottato il provvedimento per esigenze cautelari tese a scongiurare i rischi, per l’incolumità pubblica, connessi all’esistenza di opere edili, non collaudate, ed eseguite in zona sismica. La nota contestata – indirizzata al proprietario e all’autore dell’abuso – aveva come riferimento un “capannone di 280 mq, copertura di 300 mq ed a manufatti vari”, ricadenti sulle “particelle 1415 e 1416 del foglio 8 del Comune di Ischia”. Con essa si ordinava: a) la sospensione immediata dei lavori in ordine ai predetti fabbricati; b) di procedere alla nomina del collaudatore; c) di trasmettere entro 90 giorni la certificazione comunale attestante il ripristino dello stato dei luoghi qualora il manufatto sia stato demolito a seguito di ordinanza comunale di demolizione; d) di presentare entro 45 giorni dalla data di notifica il progetto esecutivo dei lavori in argomento, evidenziando le opere già eseguite e quelle che eventualmente si rendessero necessarie per rendere il manufatto conforme alle norme tecniche vigenti nelle zone sismiche».

LA SENTENZA DEL TAR

Nella sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale “legittimava” quel provvedimento errato ritenendo che «non era in contestazione che le opere oggetto del provvedimento si trovano in zona sismica; le deduzioni sull’erroneità dei presupposti erano infondate, in quanto la tesi che le opere non erano realizzate su aree di sua proprietà era una mera asserzione. Non aveva fornito alcuna obiettiva evidenza a comprova, ma si era solo riservato nel ricorso introduttivo di produrre una perizia asseverata al fine di comprovare le sopra indicate circostanze, ma tale perizia non era stata depositata».

Aggiungendo che «gli estremi del verbale sono chiaramente indicati nel provvedimento impugnato ed il ricorrente non aveva allegato di aver effettuato infruttuosamente richieste di accesso agli atti, sicché il Tar riteneva che nessuna acquisizione documentale possa essere disposta, non avendo fornito sul punto almeno un principio di prova».

Il Tar inoltre aveva ritenuto «che i poteri specifici di vigilanza assegnati alla Regione per la prevenzione del rischio sismico erano esercitati correttamente, non avendo il ricorrente adempiuto all’obbligo di denuncia dei lavori intrapresi in zona sismica e non avendola corredata di tutti i documenti indicati. Il provvedimento gravato aveva come unico e sufficiente presupposto l’avvio di lavori edili in zona sismica non denunciati e per i quali non erano stati effettuati tutti gli adempimenti previsti dalla norma».

Di conseguenza venivano giudicate infondate anche «le censure della omessa comunicazione di avvio del procedimento (in quanto incompatibile con una misura cautelare di natura vincolata) e quella di difetto di motivazione (trovando nel provvedimento le pertinenti disposizioni normative oltre ai presupposti di fatto), oltre a quella dell’incompetenza dell’amministrazione regionale».

LA PERIZIA DI PARTE

Pronuncia appellata deducendo «l’erroneità della sentenza nella parte in cui non riteneva provata l’incongruenza tra gli immobili indicati nel provvedimento impugnato e quelli insistenti sulle particelle del catasto del Comune di Ischia».

La Regione, pur costituitasi in giudizio, ha sostenuto «genericamente l’infondatezza dell’appello e non replicando nulla di preciso alle specifiche censure dedotte», rilevano i giudici di secondo grado.

L’appello è stato ritenuto fondato, anche alla luce degli atti depositati dal ricorrente: «Come emerge dal fascicolo cartaceo del Tar Campania (che l’ha digitalizzato il 26.2.2024 e depositato sul PAT), la perizia di parte del 20.2.2016, menzionata dal ricorrente nel ricorso di primo grado, è stata depositata regolarmente ed era quindi versata in giudizio a tutti gli effetti».

Anche il Tar è incorso in una “svista”, dunque. Prosegue la sentenza: «Da tale documentazione, corredata dalle visure telematiche del catasto fabbricati e del catasto terreni (sia visura storica che quella del 2016), risulta: le particelle indicate nel provvedimento (1415 e 1416 del foglio 8 del Comune di Ischia) non sono presenti in mappa; dalla visura storica emerge che al catasto fabbricati le particelle 1415 e 1416 sono state soppresse in quanto duplicano un’unità intestata ad altri. Dalla visura delle particelle 1415 e 1416 al foglio 7, emergono: piano terra (dunque un fabbricato di civile abitazione); piano terra (ovvero un deposito)».

Dunque «Come ha affermato il perito – col quale il Collegio concorda per la sua stridente logicità, confermata anche dalla documentazione ufficiale – l’ordinanza regionale non fa riferimento ai fabbricati di proprietà del ricorrente, in quanto le opere descritte nell’atto gravato sono localizzate in particelle diverse e hanno diversa natura e consistenza di quelle di proprietà dell’appellante».

Il collegio della Sesta Sezione giunge a questo punto all’ovvia conclusione: «Da ciò discende l’evidente difetto di istruttoria nel provvedimento, che il Tar non ha esaminato, anche se la documentazione era versata in giudizio.

Per le ragioni sopra esposte l’appello deve essere accolto, con assorbimento delle altre censure dedotte, e, per l’effetto, va annullato il provvedimento della Regione». Che ovviamente è stata anche condannata al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio, ovvero 5.500 euro complessivi. Una sommatoria di errori palesi e sicuramente evitabili, ma alla fine giustizia è fatta.

Tutto sbagliato

«… l’ordinanza regionale non fa riferimento ai fabbricati di proprietà del ricorrente, in quanto le opere descritte nell’atto gravato sono localizzate in particelle diverse e hanno diversa natura e consistenza di quelle di proprietà dell’appellante»

Le particelle

Le particelle indicate nel provvedimento (1415 e 1416 del foglio 8) non sono presenti in mappa. Dalla visura delle particelle 1415 e 1416 al foglio 7, emergono: piano terra (dunque un fabbricato di civile abitazione); piano terra (ovvero un deposito)

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