sabato, Luglio 27, 2024

Il Vescovo Villano alla Nazione: “Siamo chiamati ad essere artigiani del bene”

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Ischia parla al mondo. Ieri mattina la Santa Messa presieduta dal Vescovo di Ischia (e anche di Pozzuoli), mons. Carlo Villano, è stata trasmessa in diretta nazionale da Rai Uno e da Rai International. Un evento per la Chiesa di Ischia e per la comunità cattolica isolana. Le parole del Vescovo Villano, che tra poco leggeremo integralmente, sono state un messaggio all’Unione Europea e alla Nazionale. Parole di unità e di solidarietà. Un messaggio di inclusione e non di divisione. Un messaggio di pace e non di guerra. Il programma “A sua Immagine” è iniziato alle ore 10.55 con le immagini aeree del porto di Ischia. Una cartolina della bellezza ischitana di grande impatto. Durante il commento liturgico affidato ad Orazio Coclite, le immagini di copertura della nostra isola hanno mostrato quanto il “creato” ischitano sia bello, turistico ed accogliente. La regia Simone Chiappetta ha mixato, con eleganza, tagli panoramici ad immagini sacre ischitane rendendo una narrazione completa della nostra isola.
La Santa Messa, presieduta dal Mons. Carlo Villano, è stata celebrata anche da Don Marco Trani e Don Luigi Dedonato, rispettivamente moderatore dell’Unità Parrocchiale di Ischia e parroco della Parrocchia di Santa Maria di Portosalvo. Il servizio liturgico è stato prestato dai seminaristi della Diocesi di Ischia mentre i canti sono stati realizzati dal Coro Diocesano diretto dal Maestro Nicola Lauro accompagnai all’organo dal Maestro Giuseppe Iacono.

L’omelia di Mons. Carlo Villano
“Chi è Gesù, chi è quest’uomo che opera prodigi? Che scaccia spiriti immondi?”. Anche noi ci poniamo, oggi, in ascolto di questa Parola e ci lasciamo interpellare da questa domanda che, fin dall’inizio, pervade il vangelo di Marco. Se il male è divisione, la Parola che il Signore questa domenica ci rivolge è, al contrario, un invito a essere uniti nel bene che può essere soltanto causa di unità e mai di divisione. Questo invito alla dimensione dell’unità è un invito a essere uniti con sé stessi, ma anche uniti a vivere con il Signore e tra di noi. Segno della comunione è l’unità; quel segno della presenza del Signore che siamo chiamati a vivere tra di noi, nelle nostre comunità. Questo invito all’unità è presente fin dalla prima lettura dal Libro della Genesi dove percepiamo che questa mancanza di unione con il Signore, con la Sua Parola, diventa motivo di paura, di fatica a trovare pace, con sé stessi e con altri.
In questo dialogo serrato tra Dio e l’uomo, tra Dio e la donna, dove sembra esserci quasi uno scaricabarile di responsabilità, veniamo esortati a un uso responsabile del tempo, delle azioni, della volontà.

Essere dunque responsabili significa, in una prospettiva evangelica, ‘aiutarci a portare i pesi gli uni degli altri’ (Galati 2): nessuno può, in alcun modo, disinteressarsi dell’altro. Assumiamo la responsabilità di accompagnare i passi della vita delle persone. Se l’esperienza del peccato, raccontata oggi nel libro della Genesi, è esperienza di divisioni, di frammentarietà, le parole e l’azione di Gesù, nel brano del vangelo di oggi, al contrario, ci riportano ad un’altra esperienza: questa sì esperienza di vita, di unione e di comunione, di unità.
Oggi, con il dire che l’unico peccato che non sarà perdonato è la bestemmia contro lo Spirito Santo, sembra che Gesù voglia farci essere attenti alla possibilità in noi di non aver lasciato posto alla sua Grazia, quella grazia che ci permette di vivere la comunione e l’unità: riprendendo questa immagine del suo tempo, questa eterna contrapposizione tra il bene e il male, Gesù ci rende consapevoli che il bene si compie nell’uomo e per mezzo dell’uomo nella misura in cui lasciamo posto alla sua Grazia, quando non contiamo solo sulle nostre forze, cosa a cui invece parte del pensiero filosofico del Novecento ha cercato, vanamente, di educarci.

E allora siamo ricondotti alla domanda iniziale: “Chi sei Gesù”; sì, perché porsi questa domanda è entrare in ciò che da senso alla nostra fede, essa ci mette in piedi e ci permette di seguire Gesù nelle grandi domande della vita; questa capacità di porci domande ci fa conoscere meglio il Signore e la sua Parola; una parola che non può essere che performativa, ossia che non ci lascia indifferenti, ma ci inquieta, ci pone continuamente interrogativi; non ci permette di restare seduti a guardare. Seguire Gesù significa porsi quelle domande che alimentano continuamente la nostra fede e ci mettono alla sua stessa sequela. Questa capacità di essere in relazione profonda con sé stessi e con il Signore è “quel rinnovare di giorno in giorno quest’uomo interiore” di cui ci parla Paolo nella seconda Lettera ai cristiani di Corinto.

Ma se siamo chiamati a operare il bene, a essere artigiani del bene, quale è questo criterio secondo cui possiamo discernere il bene e il bene da operare nella nostra vita? Siamo chiamati a discernere, in questo continuo porci domande, cosa è oggi, nella nostra vita, il vero bene, come stare sempre dalla parte del bene. Papa Francesco ci ha ricordato che occorre imparare a discernere per operare il bene: “il discernimento si presenta come un esercizio di intelligenza, e anche di perizia e anche di volontà, per cogliere il momento favorevole. E c’è anche un costo richiesto perché questo discernimento possa diventare operativo”. Operare il discernimento, allora, significa capacità di ascoltare ciò che la Parola provoca nel mio cuore; sì, discernere, dunque, significa saper riconoscere ciò che la Grazia di Dio produce in me: in una vita che vale la pena spendere nell’amore per il prossimo, mai ripiegata su sé stessa e che dia valore solo al mio ego. Il discernimento è il luogo della mia relazione con Dio, dell’accoglienza della Parola e della decisione di seguire, con costanza e volontà, quanto la Parola ha provocato nel mio cuore.

Riflettendoci bene, è l’esatta negazione di quanto ascoltato oggi nel libro della Genesi, dove questo nascondersi allo sguardo di Dio, è un nascondersi al discernimento e, quindi, alla volontà di Dio nella mia e per la mia vita.
Carissimi, in questa ricerca del bene, altro frutto del discernimento è il desiderio di pace: pace con il Signore e con i fratelli e sorelle che stanno vivendo esperienza di desolazione, di distruzione e di guerra: un pensiero particolare allora ai nostri fratelli che vivono ai confini di questa nostra Europa e a coloro che abitano la Terra in cui la Parola si è incarnata: a loro la nostra vicinanza, la nostra preghiera, in quella dimensione di unità e di pace a cui noi tutti siamo chiamati e per cui viviamo.”

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