sabato, Luglio 27, 2024

Fallimento “La Torre” Irene Iacono rinuncia a una parte del credito

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L’Ente è stato ammesso al passivo per oltre 1 milione, ma non come creditore privilegiato. Dall’altro è stato citato in giudizio per presunte responsabilità rispetto alla formazione del passivo fallimentare. Un “abbuono” di 292mila euro per sperare in un giudizio favorevole del tribunale

Ugo De Rosa | La cattiva gestione delle società partecipate, che molto spesso le conduce al fallimento, continua a pesare per anni sui Comuni, invischiati nei conseguenti contenziosi. E’ il caso anche di Serrara Fontana per il fallimento, sentenziato nel 2015, de “La Torre in liquidazione”, la società che un tempo si occupava del servizio di nettezza urbana. Per il quale l’Ente era stato citato in giudizio dal Fallimento dinanzi al Tribunale di Napoli Sezione specializzata in materia di impresa per presunte responsabilità rispetto alla formazione del passivo fallimentare.
Ebbene, proprio nell’ambito di questo contenzioso, l’Ente ha deciso di rinunciare a una parte del credito vantato nei confronti de “La Torre”, che ammonta a 1.263.529,64 euro, per i quali il Comune è stato ammesso al passivo. Di questo milione e passa, 292.601,88 euro avrebbero potuto essere compensati nel corso del giudizio per il fallimento, ma la compensazione venne rigettata per prescrizione. Crediti peraltro non facilmente esigibili.

Nella delibera di Giunta che approva la rinuncia si ripercorre il contenzioso che non vede esente da responsabilità il Comune: «Il Fallimento, dopo aver fornito indicazioni sulla attività della fallita società, partecipata integralmente dal Comune comparente, e dopo avere fornito indicazioni, contestate dal Comune, sulle vicende societarie, assumeva che, a fronte di un passivo accertato pari ad euro 2.951.980,41, il fallimento avrebbe realizzato attivo per euro 504.971,28 e denunziava chela vita della società sarebbe stata caratterizzata da molteplici fatti di mala gestio produttivi di danno scaturenti da: sottrazione di liquidità riferita all’ex amministratore; ritardata dichiarazione di fallimento della società; perdita di crediti, maturati nell’esercizio 2016, per i quali non sarebbero stati posti in essere atti interrottivi e che, dunque, si sarebbero prescritti. Tale ultimo addebito in particolare riguarderebbe anche un credito della società verso il Comune che si sarebbe prescritto, avendo il Tribunale accolto tale eccezione nell’ambito del giudizio attivato dal Comune a fronte del rigetto della istanza di ammissione al passivo in sede di verifica. Più nel particolare il Fallimento inseriva tra le voci di danno l’importo di euro 292.601,88 per la prescrizione dei crediti vantati nei confronti del Comune».

Il difensore di fiducia dell’Ente nei due giudizi, l’avv. Luca Parrella, ha consigliato ripetutamente la rinuncia al credito di 292.601,88, «oltre che per ragioni di correttezza sostanziale, anche al fine di eliminare in radice qualsivoglia problematica ricollegata a tale vicenda, evitando in tal modo che, nella denegata ipotesi di accoglimento della tesi attorea, il Comune fosse condannato al pagamento della somma richiesta nel giudizio pendente innanzi al Tribunale per le imprese, a fronte di una corrispondente ammissione al passivo in chirografo (nel giudizio fallimentare)».

Il punto è che comunque l’Ente non incasserebbe quella somma. Nella delibera si precisa infatti che «Dato atto che dalla lettura del parere si evince che la rinunzia alla predetta porzione di credito è una operazione contabilmente neutra in quanto, come evidenziato più volte dal curatore nel corso delle trattative bonarie per la definizione della controversia, la rinunzia all’intero credito insinuato facente capo al Comune non era di interesse per la procedura in quanto non è prevedibile alcun soddisfo per i creditori chirografari (non privilegiati, ndr) insinuati al passivo; ne consegue che la scrittura riguarda un credito privo di valore di realizzo».
Ritenendo di allinearsi al parere del legale: «Ritenuto inoltre che la rinunzia al credito suddetto risponde a ragioni di correttezza sostanziale e processuale, e che la stessa non equivale ad ammissione di responsabilità alcuna…». E «più nel particolare che la predetta rinunzia se da un lato, come detto, non rappresenta una operazione contabilmente svantaggiosa per l’Ente, dall’altro gli consente di improntare la propria azione processuale al canone della buona fede valutabile positivamente dal giudice del Tribunale per la Impresa».
Rinuncia formalizzata, dunque. Per il resto, i contenziosi vanno avanti e chissà quando si chiuderanno…

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