Il mare, a volte, restituisce ciò che ha preso. Non lo fa con le mani, ma con i cuori, con le storie che riaffiorano come relitti di memoria. È arrivata così sull’isola ieri, Katty Quintana Correa, assieme al compagno e figlia di Carlos Quintana Correa, l’unico marinaio cileno a bordo della Marina di Equa, la nave mercantile affondata nel Golfo di Biscaglia il 29 dicembre 1981 con tutto il suo equipaggio.
Katty aveva solo quattro anni quando vide suo padre per l’ultima volta. Vivevano a Viña del Mar, in Cile, e i suoi ricordi sono pochi, ma vividi come fotografie sbiadite che il cuore non dimentica. «Papá mi portava a mangiare un panino la sera. Era il nostro momento», racconta con la voce rotta dall’emozione. Poi, il vuoto.
Carlos, antifascista militante, era fuggito dal regime di Pinochet. La sua fuga lo portò attraverso l’America Latina fino in Europa, dove trovò rifugio in Belgio e poi in Germania da dove telefonava alle figlie prima di imbarcarsi sulla Marina D’Equa , ignaro che sarebbe stato il suo ultimo viaggio.
Sua moglie, rimasta in Cile, non seppe nulla per i primi due anni. Il silenzio fu totale. Forse sapeva qualcosa la nonna. Poi la voce di quella tragedia arrivò anche a Viña del Mar, come un’onda lunga e crudele. Ma fu solo dopo la morte della madre che Katty e le sue sorelle iniziarono davvero a cercare la verità, a ricostruire quel destino spezzato.

Nel weekend scorso, Katty ha camminato per le strade di Meta di Sorrento, dove Carlos è ricordato una lapide commemorativa e poi giunta ieri a Procida, ospite della famiglia di Pietro Cibelli, uno dei tre procidani morti nel naufragio. Un incontro che ha avuto il sapore del destino, un abbraccio tra figli che il mare aveva separato ma la memoria ha riunito.
L’incontro è avvenuto in punta di piedi, tra emozione e commozione. Due storie diverse, eppure simili. Due vite segnate dalla stessa data, dallo stesso dolore. La figlia di Carlos ha camminato per le strade di Procida, ha guardato il mare che guarda l’orizzonte e ha sentito, forse, l’eco di un padre mai conosciuto davvero. È stata accolta come una di casa. Perché il mare divide, ma la memoria unisce.
Procida ha così riaperto le sue braccia, non solo come comunità ferita, ma come terra di umanità, come porto della memoria. E il nome di Carlos Quintana Correa, che per anni è rimasto una nota a margine nella tragedia della Marina Di Equa, ieri è tornato a vivere, a essere pronunciato, ricordato, onorato.
Perché la memoria non affonda. Resta a galla, si aggrappa ai cuori, risale la corrente del tempo. E quando arriva a riva, insegna che nessun dolore è straniero, che nessun nome è davvero perduto.
Perché il dolore non ha passaporto, e la memoria è un dovere che unisce i popoli. La storia di Carlos, per anni dimenticata ai margini di una tragedia tutta italiana, oggi torna alla luce grazie alla forza di una figlia che ha attraversato un oceano per ritrovare un pezzetto di sé.
Nel silenzio della zona della Lingua, guardando l’orizzonte, Katty per lunghi tratti della nostra chiacchierata ha posato uno sguardo che era anche quello di suo padre. E forse, in quel momento, le onde hanno smesso di fare rumore, per ascoltare.










