È un venerdì mattina come tanti nel porto di Livorno. Il sole si alza lento sull’orizzonte, le banchine si risvegliano tra i suoni metallici delle gru e il via vai dei rimorchiatori. Il mare è calmo, quasi a voler accompagnare con delicatezza l’arrivo della Moby Fantasy, la maestosa ammiraglia della flotta Moby Lines. Una nave che unisce ogni giorno le sponde del Tirreno, trasportando passeggeri, sogni e storie.
Ma oggi, a bordo, c’è qualcosa di diverso. Qualcosa che non si legge nei registri di bordo, né nei piani di navigazione. Qualcosa che si percepisce nei sorrisi, negli sguardi, nei toni delle voci. A bordo sale, come da prassi, il pilota del porto. Si tratta di Fabio Pagano, professionista esperto, figura conosciuta nei principali scali italiani, ma soprattutto noto nel mondo marittimo per il suo impegno culturale. Pagano, infatti, non è solo un pilota: è anche il promotore del Convegno Nazionale sul Lavoro Marittimo, un appuntamento annuale che si svolge proprio a Procida, l’isola da cui proviene e che porta nel cuore come una bussola.
Il convegno, ormai giunto a una nuova edizione, rappresenta un momento di confronto tra professionisti del settore, istituzioni, accademici e giovani che si affacciano al mondo della navigazione. È un evento che testimonia quanto Procida, pur essendo una piccola isola di appena 4 km², continui ad essere una culla di cultura marittima, un vivaio di comandanti, ufficiali, marinai, tecnici e piloti. Una realtà dove il mare non è solo paesaggio, ma identità, lavoro e memoria collettiva.
Quando Fabio Pagano mette piede sul ponte della Moby Fantasy, ad accoglierlo trova il comandante Antonio Scotto di Ciccariello, anche lui procidano. I due si stringono la mano con un sorriso che va oltre il protocollo: c’è il calore di chi condivide lo stesso orizzonte d’origine e lo stesso destino legato al mare. Nel giro di pochi minuti, il ponte si anima con la presenza del resto dell’equipaggio: Giacomo Piro, primo ufficiale; Michele De Girolamo, secondo ufficiale; Gianluca Di Martino e Daniele Casalnuovo, entrambi allievi di coperta. Poi arriva anche Francesco Gamba, il marinaio.
E in quel momento, qualcosa cambia nell’aria. I saluti diventano racconti, le battute si intrecciano con accenti familiari, il lavoro si trasforma — quasi senza volerlo — in un ritrovo. Un incontro che ha il sapore delle domeniche mattina a Piazza dei Martiri, nel cuore di Procida, dove ci si incontra per un caffè, per una chiacchiera, per sapere chi è partito e chi è tornato.
Perché sì, tutti i presenti a bordo sono di Procida. Una coincidenza? Forse. Ma anche un segnale chiaro di quanto l’isola continui ad avere un ruolo centrale nel mondo marittimo. Non è raro incontrare procidani nei porti di tutto il mondo, sulle navi commerciali, nei cantieri, nelle sale macchina o nei ponti di comando. Ma vederli tutti insieme, sulla stessa nave, nello stesso giorno, è un’immagine che colpisce, che emoziona.
È un piccolo miracolo quotidiano che racconta molto più di una semplice manovra portuale. Racconta di un’isola che non ha mai perso il suo legame con il mare. Di famiglie che da generazioni tramandano tradizioni marinaresche. Di scuole nautiche che formano giovani pronti a salpare. Di un senso di appartenenza che non si dissolve con la distanza, ma che anzi si rafforza tra le onde.
Procida, in questo, è unica. Non è solo un luogo fisico, ma una comunità diffusa, che si riconosce ovunque. Basta una voce, un cognome, un gesto. E in un attimo, anche a centinaia di chilometri dall’isola, ci si sente a casa. Come è successo oggi a bordo della Moby Fantasy, dove il ponte di comando si è trasformato in un piccolo teatro della memoria collettiva, dove il lavoro quotidiano si è intrecciato con le radici.
Il mare, che spesso divide, oggi ha unito. Ha cucito insieme storie, competenze, generazioni. Ha fatto sì che, per un attimo, una nave passeggeri diventasse un frammento galleggiante di Procida, un luogo dove la tradizione incontra la modernità, dove il lavoro si fa cultura, e dove l’identità si fa comunità.
E mentre la Moby Fantasy completa la manovra e si avvicina alla banchina, nell’aria resta qualcosa. Un’eco di parole, di dialetti, di risate. Un segno che, anche tra radar, comandi digitali e mappe elettroniche, il cuore della navigazione resta umano, profondamente umano. E spesso, profondamente procidano.