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venerdì, Aprile 19, 2024

Viaggio nella storia del Pio Ponte dei Marinai

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Leo Pugliese | Ventisette anni. Fa. Esisteva ancora la Cecoslovacchia, Totò Riina era libero, Pacciani pure, Federico Fellini ritirava l’oscar alla carriera e Lorena Leonor Gallo Bobbitt, evirava il marito, John Wayne Bobbitt. La DC era ancora “il partito” e l’unione Europea non esisteva. Era Aprile e la commissione amministratrice del Monte dei Marinai procedette all’elezione – per schede segrete – (art.14 Capo III dello statuto del Pio Monte dei Marinai) del Presidente dell’ente. La curia napoletana non riconobbe quelle elezioni per “vizi di forma” e cavilli giuridici, commissariando nuovamente il Monte dei Marinai e affidandolo al Cap. Giosuè. Florentino. A sua volta sollevato e sostituito su indicazione del decano Mons. Ambrosino. Da allora ha inizio l’odissea che ha portato il Pio Monte dei Marinai a non avere una gestione amministrativa “statutaria” ma avvalersi di gestioni commissariali che ancora oggi, dopo quasi 30 anni resistono.
Riavvolgere il nastro su una delle istituzioni che ha fatto la storia di Procida – così come abbiamo fatto per l’Albano Francescano – significa rafforzare il legame con quel passato che la nostra isola e i nostri uomini seppero interpretare. Costretti come siamo negli ultimi anni a scrivere solo di macerie, piagnistei e pochezze di ogni genere.
Quattrocento anni fa, forse prima istituzione al mondo a farlo, armatori e marittimi isolani fondarono un “sodalizio di mutuo soccorso” al fine di aiutare le famiglie di quanti di loro si fossero trovati in difficoltà. In una prima stesura la garanzia era riservata solo per gli appartenenti alla Marina di Sancio Cattolico, escludendo di fatto le altre marine o le altre località isolane. “Limosine e medicine ai marinai poveri e alle loro famiglie conceder doti di Duc. 30 pari a lire 127.50 per quelli che cadevano schiavi dei barbari e pirati”. Di più: lo statuto prevedeva l’edificazione ad onore della Pietà, di San Giovanni Battista e di San Leonardo, affinché in essa si potesse celebrare il culto divino.
Un cambiamento significativo avvenne due secoli dopo nella stesura dello statuto della Pia Opera e che è ancora quello vigente. Novità fu l’ingresso all’interno della gestione e amministrazione della Curia Napoletana. Allora chiamata Deputazione Provinciale clericale. Fino a quel momento l’associazione era assoggettata alle leggi che regolavano i luoghi pii laicali, sottoposta alla sorveglianza del Consiglio degli Ospizi. Alla tutela della Deputazione Provinciale si affiancò quella dell’Autorità Governativa in forza della legge 3 dell’agosto 1862.
In quei due secoli il Monte dei Marinai – come si legge dagli atti – non aveva più “progredito” in “ricchezza e prosperità” così si ritenne che per salvarlo e preservarlo bisognasse riformare lo statuto così da interpretare meglio le esigenze del momento. La prefettura invitò – dunque – l’allora consiglio comunale di Procida a dar seguito a quella domanda di cambiamento che si ravvisava opportuna ai sensi degli art. 2e e 24 della legge sulle Opere Pie.
L’intento principale era dare al Pio Monte dei Marinai la più larga partecipazione nella scelta degli amministratori, riformando quei capitoli dell’antica regola della fondazione del 12 aprile 1617, non più attuabili. Nel particolare i motivi furono due: Uno perché erano venuti meno o quasi gli obblighi statutari originali e nell’altro si ravvisava la necessità di adeguare e modificare ( allontanandosi il meno possibile dalle volontà dei soci fondatori) l’accesso al credito e alle opere di beneficenza che il Monte dei Marinai poteva elargire. Tutto ciò sempre sotto la costante e “paterna” direzione della Curia Arcivescovile Napoletana.
Curia che anche ai giorni nostri di fatto tiene “commissariato” l’ente. Oggi il Pio Monte dei Marinai è retto da un governo e da un resposnabile Gianfranco Wurzburger , che con un proficuo lavoro da anni gestisce l’amministrazione dell’ente cercando di assolvere ai compiti statutari potendosi avvalere della rendita economica di ben ventinove cespiti che in parte viene utilizzata per le opere di straordinaria manutenzione degli immobili, una parte va all’assistenza alle famiglie indigenti e bisognose e un restante parte va alla Curia Napoletana.
Da qualche verbale e qualche “memoria” si parla di un numero molto superiore di immobili di proprietà dell’ente. Ottanta, cento, il numero che si legge e che si sente, ma risalire anche a forme di alienazioni pare sia cosa difficile e soprattutto nella ricerca degli atti. Resta l’amara considerazione – come per l’Albano Francescano – di qualcosa che nel tempo ha perso o sta perdendo la ragione – forse – della sua esistenza. Non è sommando una serie di colpe o responsabilità che potremmo giustificare anni di purgatorio del Monte dei Marinai. Non è, e non sarà mai l’aspetto tecnico giuridico – che non ci compete – quello che metteremo davanti ai nostri figli, ai ns. nipoti e alle future generazioni. Una l’abbiamo alle spalle quella degli ultimi vent’anni che ha gestito il tutto. Bene o male. Per la prossima, ma soprattutto per il presente chiediamo che si possa chiudere con un passato che ha lasciato ferite, in un clima di incomprensioni e che finalmente si possa guardare avanti dando voce agli associati ( se ci sono ) e dare rappresentanza alla marineria isolana ed eleggere un organo di guida rappresentativo dello statuto.

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