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giovedì, Aprile 25, 2024

Un’altra demolizione revocata. La Corte di Appello fa “giustizia”

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Paolo Mosè | La Corte di Appello di Napoli ha emesso un nuovo provvedimento che di fatto ha revocato la remissione in ripristino dello stato dei luoghi e quindi la demolizione del manufatto realizzato abusivamente. Accogliendo l’istanza presentata dall’avv. Carmine Bernardo, trovando, questa volta, anche l’assenso della stessa Procura generale.


Il fatto. Accolto il ricorso presentato dall’avv. Carmine Bernardo. I giudici dell’esecuzione hanno sancito che anche il reato paesistico si era prescritto già prima della pronuncia di merito emessa nel 2015. Riprendendo la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato parzialmente incostituzionale il reato paesistico contestato all’imputato


Un contenzioso giudiziario che era nato diversi anni fa con una pronuncia del giudice della sezione distaccata di Ischia che condannava l’imputato ad anni uno di reclusione ed alla demolizione del manufatto.
Con il ricorso in Appello la condanna detentiva risultava essere prescritta, ma gli stessi giudici confermavano in toto l’ordine di demolizione, in ossequio alla violazione paesistica che rendeva tutto più problematico per la difesa trovare un appiglio per sbarrare l’intervento delle ruspe.
Con la sentenza della Corte Costituzionale questa tipologia di contestazione penale è diventato un reato contravvenzionale che si prescrive in quattro anni e mezzo. E al momento della pronuncia di secondo grado la prescrizione si era già consumata. E’ ciò che ha sottolineato l’avv. Bernardo e che ha trovato preciso riscontro nella motivazione dei giudici della IV sezione della Corte napoletana che di fatto ha “blindato” l’intero manufatto. Non c’è più pericolo che si proceda, come sta avvenendo d’altronde in questi ultimi mesi, ad un’azione incisiva del procuratore generale, che ha ordinato senza alcun indugio di abbattere ciò che è stato stabilito dai giudici di merito.

Nella parte conclusiva della decisione si legge: «Revoca la sentenza emessa da questa Corte in data 22 dicembre 2015, in riforma della sentenza emessa il 26 maggio 2011 dal tribunale di Napoli sezione distaccata di Ischia definitiva il 29 febbraio 2016 relativa al reato di cui al capo D) della imputazione, previa riqualificazione dello stesso (in ordine alla contestazione per il reato paesistico così come poi modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale, ndr) perché estinto per prescrizione; revoca l’ordine di remissione in ripristino dello stato dei luoghi».

IL FAMIGERATO ART. 181
Una decisione attesa soprattutto dal proprietario del bene immobile, che è stato per lunghi anni in attesa delle sentenze di primo e secondo grado. Nella speranza di poter salvare ciò che aveva costruito. Non importando più di tanto la condanna che, grazie alle lungaggini dei processi, si è prescritta. E tra il passaggio in giudicato e quest’ultima decisione si è interessata la Corte Costituzionale, che ha a lungo dibattuto sulla legittimità costituzionale del famigerato art. 181 che espressamente fa riferimento ai reati paesaggistici. Ritenendo che parte di questa norma non è in linea con i dettati costituzionali. Un passaggio che la difesa, ed anche successivamente la Procura generale, ha fatto proprio, non avendo altra possibilità quest’ultima che aderire alla richiesta del condannato. Una sentenza della Corte del marzo 2016, in cui ha dichiarato la illegittimità proprio di quell’articolo, che ha consentito di evitare l’abbattimento. Il famoso comma 1 bis della stessa legge nella parte in cui prevede: «a) ricadono su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche sono stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadono su immobili od aree tutelate per legge…».

La stessa Corte Costituzionale dettava anche i limiti sulla sostanziale modificazione, dando delle cubature per rientrare in una sanzione contravvenzionale rispetto a ciò che era stato voluto dal legislatore ed applicato dalla magistratura giudicante. L’immobile in questione rientra in quei parametri, essendo stato realizzato per soddisfare le esigenze abitative dell’allora imputato e dei suoi familiari. Scrive per l’appunto la Corte di Appello che «ritenuto che nel caso in esame la condotta criminosa configuri non già la fattispecie delittuosa (come era stata prevista originariamente dal legislatore, ndr) come contestata, bensì quella contravvenzionale in quanto il reato ambientale è contestato in relazione al fatto che l’area interessata dall’opera abusiva era stata dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento e, d’altro canto, non ricorrono le ipotesi di superamento della soglia volumetrica rispetto alle quali residua la fattispecie delittuosa di cui alla legge presa in esame». Il famoso superamento di una soglia pari a 750 metri cubi.

PENA ILLEGALE
E sentenzia la Corte di Appello di Napoli: «Rilevato che il reato di cui in contestazione, così diversamente qualificato, risulta ormai estinto per prescrizione in quanto, risalendo l’accertamento del fatto al 20 marzo 2009, il termine massimo di prescrizione, pari a cinque anni, è decorso interamente alla data del 20 marzo 2014».
La sentenza di secondo grado è del 22 dicembre 2015 e quindi in quel momento tutto era prescritto. E i giudici chiamati a rivisitare con la sentenza hanno dovuto prendere atto che oggi non vi sono più le condizioni per imporre la demolizione del fabbricato, come era stato previsto originariamente nella sentenza del 2015. E di questo se ne prende carico il collegio: «Ritenuto che debba essere rilevata l’estinzione per prescrizione del reato anzidetto, non essendo a ciò di ostacolo l’intervento giudicato atteso che dalla declaratoria parziale di incostituzionalità della fattispecie anzidetta deriva comunque l’illegalità della pena inflitta, oltre che la maturazione del termine di prescrizione: ciò in aderenza alla giurisprudenza di legittimità secondo cui “il giudice dell’esecuzione, adito con istanza di revoca della sentenza definitiva di condanna, ha il potere-dovere di dichiarare l’estinzione per prescrizione del reato previsto dall’art. 181 comma 1 bis, riqualificato come contravvenzione a seguito della dichiarazione di parziale incostituzionalità di tale disposizione…”».

Ne consegue che il ricorso debba essere accolto in tutte le sue forme e la motivazione è talmente chiara da non essere interpretata. La stessa Cassazione si era già pronunciata nella valutazione di legittimità su decisioni delle varie Corti d’Appello. Il giudice ha quindi il diritto-dovere di intervenire senza alcuna esitazione uniformandosi alla sentenza della Corte Costituzionale. I giudici napoletani lo spiegano in questi due brevissimi passaggi: «Ritenuto pertanto che la sentenza di condanna per il reato paesistico di cui al capo d’imputazione, così diversamente qualificato, debba essere revocata; ritenuto che ne consegue la revoca di tutte le pene accessorie e nella specie dell’ordine di remissione in ripristino».

FERMATE LE RUSPE
In questi ultimi giorni abbiamo riportato due pronunce diverse di sezioni diverse della Corte di Appello di Napoli. Nel primo caso è stata affrontata la questione legittima del condannato che ha chiesto la sospensione della demolizione, che si sarebbe dovuta iniziare il 7 giugno su volere della Procura generale. La Corte in questo caso specifico ha preso atto che vi è stato dall’autorità amministrativa un sostanziale parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione paesistica. Sia da parte del responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Forio che della stessa commissione a cui la pratica è stata sottoposta. E si è in attesa del parere della Sovrintendenza di Napoli.

Quest’ultimo aspetto ha convinto i giudici della esecuzione di secondo grado a bloccare “momentaneamente” le ruspe in attesa della pronuncia definitiva. Se si fosse proceduto all’abbattimento (dice la Corte), si sarebbe arrecato un ingiusto danno irreversibile. E in un passaggio successivo l’estensore della decisione ha anche scritto che vi sono buone probabilità dell’accoglimento dell’autorizzazione paesistica. Su questa pratica c’è stata la netta opposizione del procuratore generale, che ritiene che non vi fossero le condizioni per poter bloccare un iter ormai già concluso con la individuazione finanche della ditta che avrebbe dovuto procedere ad abbattere il fabbricato. Con una perizia del consulente nominato dalla Procura generale che ne ha delineato la totale illegittimità, in quanto le osservazioni difensive ritenevano che fossero del tutto infondate e che comunque lo stesso immobile si presentava in uno stato precario. Tutte le condizioni per non bloccare ciò che aveva stabilito la stessa Corte nella sentenza di merito, che pur dichiarando la prescrizione dei reati lasciava intatta la parte più dolorosa del ripristino dello stato dei luoghi. Su questo capitolo specifico le parti comunque si ritroveranno nuovamente a confronto a settembre e valuteranno ciò che hanno accertato gli organi amministrativi preposti, a cui la Corte ha demandato di relazionare e verificare effettivamente lo stato di “salute” dell’immobile e la sanabilità sotto l’aspetto paesistico.

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