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venerdì, Aprile 19, 2024

Terreni “edificabili”, il PTP e il salva-salasso. La Cassazione “riscrive” il costo dei terreni

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Per la prima volta viene riconosciuto espressamente che gli accertamenti di valore relativi ai terreni trasferiti debbono necessariamente tener conto delle previsioni restrittive del PIANO PAESISTICO, essendo ininfluenti le diverse previsioni meno restrittive (eventualmente edificatorie) contenute nel piano regolatore comunale

Ugo De Rosa | La Suprema Corte di Cassazione bacchetta pesantemente l’Agenzia delle Entrate e anche le Commissioni tributarie provinciale e regionale. Il tutto grazie al ricorso presentato dagli avvocati Bruno Molinaro e Rocco Marino, quest’ultimo uno dei massimi esperti in materia di diritto tributario. L’ordinanza della Cassazione è destinata a fare giurisprudenza non solo sull’isola d’Ischia, ma sull’intero territorio nazionale. Nodo del contendere, il valore di un terreno definito edificabile dal Piano Regolatore Generale, ma non dal Piano Paesistico. E’ evidente che in caso di inedificabilità, si riduce il valore del bene e dunque anche le imposte da versare, compresi i casi di trasferimenti. Ma c’è voluto l’intervento della Cassazione per confermare questo semplice concetto…

Ed infatti in proposito l’avv. Molinaro sottolinea che «per la prima volta viene riconosciuto espressamente che gli accertamenti di valore relativi ai terreni trasferiti debbono necessariamente tener conto delle previsioni restrittive del Piano Paesistico, essendo ininfluenti le diverse previsioni meno restrittive (eventualmente edificatorie) contenute nel piano regolatore comunale. In altre parole, se vendi un terreno sul quale il PRG prevede la possibilità di edificare (anche eventualmente in minima parte), il Fisco non può addebitarti le maggiori imposte derivanti dalla vocazione edificatoria del fondo, ritenendo che lo stesso abbia un certo valore anche se ne hai dichiarato uno inferiore, dovendo – di contro – tener conto delle previsioni dello strumento sovraordinato, ovvero del PTP che, ad esempio, sullo stesso terreno ha imposto un vincolo di inedificabilità assoluta».

LE SENTENZE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE
Tutto chiaro, come detto. Ma vediamo come si è arrivati a questa importantissima pronuncia, che cassa la sentenza di appello emessa dalla Commissione Tributaria Regionale. Un contribuente baranese aveva impugnato l’avviso di accertamento per maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale relativo all’acquisto di un terreno, per il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato il valore determinandolo in 45 euro al metro quadro. In particolare lamentava «che non può ritenersi la destinazione edificatoria del terreno e che in ogni caso l’ufficio non ha richiamato la relazione di stima con cui ne ha determinato il valore». In primo grado, ovvero dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, il ricorso era stato parzialmente accolto riducendo il valore in 30 euro al metro quadro, «rilevando che il terreno è in zona C del PRG, quindi destinato all’edificazione di costruzione di turistiche residenziali».

L’appello proposto alla Commissione Tributaria regionale era stato respinto «rilevando che la sola astratta possibilità di esercitare lo ius edificandi rende legittimo un diverso apprezzamento valutativo».
Il contribuente e i suoi legali però non si sono dati per vinti, convinti di essere nel giusto. E così è stato. La sezione tributaria civile della Suprema Corte di Cassazione è stata di diverso avviso e a nulla è valsa la costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate.
Solo il primo motivo del ricorso è stato ritenuto infondato, mentre sono stati accolti gli altri tre.

I PIANI PARTICOLAREGGIATI
Nel primo caso il contribuente sosteneva «che la sentenza impugnata è illegittima perché la Commissione regionale ha omesso di esaminare i motivi di gravame introdotti con l’atto di appello, richiamando soltanto la legittimità della decisione di primo grado; di contro con il primo motivo di appello l’odierno ricorrente aveva censurato la decisione di primo grado per avere tralasciato di considerare che la previsione di edificabilità del fondo in oggetto era – ed è tuttora – inefficace poiché è condizionata dal piano regolatore alla formazione di piani particolareggiati esecutivi, che non risultano approvati nel quinquennio successivo alla sua adozione. Deduce che i giudici d’appello si sono disinteressati di tale rilevante questione, malgrado la sua centralità e la sua idoneità a determinare un differente esito della controversia».

In effetti non sono i piani particolareggiati ad impedire l’edificazione, bensì proprio il Piano Paesistico, come i giudici spiegano in seguito. Dunque «la sentenza non può dirsi viziata da omesso esame di questo motivo di appello, perché la CTR ha esaminato il punto della mancanza di un piano esecutivo, rilevando che la destinazione edificatoria, in astratto e non in concreto, è sufficiente a fondare un diverso apprezzamento valutativo; con ciò ritenendo implicitamente irrilevante la mancanza di piano particolareggiato e sufficiente a determinare un maggior valore del terreno (anche se ridotto rispetto a quello determinato dall’ufficio) la destinazione urbanistica del piano regolatore generale». E spiegano: «Così argomentando il giudice d’appello si è peraltro uniformato al principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo il quale l’edificabilità di un’area, ai fini dell’inapplicabilità del sistema di valutazione automatica è desumibile dalla qualificazione attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, anche se non ancora approvato dalla Regione ovvero in mancanza degli strumenti urbanistici attuativi, dovendosi ritenere che l’avviso del procedimento di trasformazione urbanistica sia sufficiente a far lievitare il valore».

CONTA IL PTP
L’aspetto fondamentale, come detto, è ben altro. Ed infatti i giudici arrivano al nocciolo del problema: «Questione diversa è invece la rilevanza del vincolo paesaggistico, di cui ai motivi che seguono».
Con il secondo motivo del ricorso il contribuente lamentava «l’errore del giudice d’appello, per avere omesso di esaminare quella censura nella quale si deduceva la natura non edificatoria del terreno in oggetto derivante direttamente dalle previsioni del piano territoriale paesaggistico dell’isola di Ischia, laddove il terreno è indicato come ricadente in zona in cui è espressamente vietato qualunque intervento edile di trasformazione; detta circostanza oltre che pacifica risulta dimostrata dal certificato di destinazione urbanistica; deduce che questa omissione costituisce oltre che vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo anche violazione di legge».

Con il terzo motivo il ricorrente evidenziava «che la sentenza è erronea nella parte in cui i giudici hanno dato rilevanza esclusiva alle indicazioni del piano regolatore generale e le hanno ritenute idonee a superare dalle prescrizioni del piano territoriale paesaggistico, che impongono la non edificabilità. Invece, i vincoli imposti dal piano territoriale paesaggistico prevalgono sulle previsioni eventualmente meno stringenti dettate dal piano regolatore poiché hanno immediata portata precettiva a carico dei proprietari e impongono vincoli di carattere generale».
Con il quarto motivo si denunciava l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia «e cioè il rigetto privo di motivazione del terzo motivo di appello, con cui l’odierno ricorrente ha dedotto l’illegittimità della sentenza di primo grado sulla eccezione di nullità dell’atto impositivo in quanto l’ufficio ha omesso di allegare e persino di indicare gli estremi delle perizie o transazioni con cui ha eseguito la comparazione valutativa».

ERRORE MARCHIANO
Ebbene, la Cassazione ha accolto secondo e terzo motivo assorbendo il quarto nella valutazione favorevole.
E la spiegazione appare – oggi – ovvia: «La sentenza d’appello è viziata laddove non considera la differenza tra i vincoli specifici di non edificabilità ed i vincoli assoluti imposti dal piano paesaggistico. Mentre i primi possono incidere unicamente sul valore venale dell’immobile, da stimare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie i secondi rendono irrilevante che il terreno sia edificabile secondo il piano regolatore generale; qualora infatti, in base al piano paesaggistico regionale, lo stesso sia soggetto a un vincolo di inedificabilità assoluta, ciò esclude la natura edificabile dell’area.
Il principio è costantemente affermato in tema di ICI, ma trova applicazione anche nel caso dell’imposta di registro, atteso che il requisito oggettivo della natura edificatoria del terreno è il medesimo».
Quest’ultimo passaggio è particolarmente significativo. Se un principio viene ritenuto valido in tema di applicazione dell’Ici, come ha fatto l’Agenzia delle Entrate (e anche le Commissioni tributarie…) a ritenere che non fosse applicabile ad altre imposte? Le solite contraddizioni e interpretazioni distorte della burocrazia italiana…

E dunque «Ne consegue, in accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbito il quarto, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Commissione regionale della Campania in diversa composizione per un nuovo esame, che si atterrà ai principi sopra enunciati verificando l’esistenza di vincoli assoluti derivanti piano paesaggistico».
La CTR dovrà dunque pronunciarsi nuovamente, stavolta in maniera equa, e decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Un caso destinato a fare giurisprudenza, come detto. Resta la considerazione che anche un profano avrebbe facilmente ritenuto il Piano Paesistico prevalente sul Piano Regolatore Generale adottato dal Comune e dunque concluso per la inedificabilità di quel terreno… Ma evidentemente l’Agenzia delle Entrate, tutta protesa a spillare più denaro possibile ai contribuenti, ci ha provato. E anche le Commissioni Tributarie hanno sbagliato. Errori marchiani. Adesso è stata scritta una parola definitiva grazie al ricorso degli avvocati Molinaro e Marino.

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