giovedì, Ottobre 10, 2024

Teatro. Intervista a Bruno Di Donato, regista di Settaneme

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bruno di donatoBruno Di Donato, artista ebolitano classe ’79, è un artista poliedrico, è infatti, autore, regista e attore teatrale, ma anche cantante, musicista e patron della Compagnia di Teatro del Bianconiglio.
Come nasce l’idea di “Settaneme”, dove sei andato a prendere le storie che compongono il testo?
I racconti sono popolari, cultura folkloristica, sono i racconti che mi faceva la mia bisnonna. Sono il credo di un tempo andato, tra romanticismo e superstizione, un sincretismo religioso di fede e credenze: il tradizionale racconto da braciere che, ahimè, si sta spegnendo. Così ho sentito l’esigenza di raccogliere questi racconti, di imprimerli in una narrazione unica, un grido disperato, un canto che invita la gente a non dimenticare, a riscoprirsi nelle proprie origini ma soprattutto nelle proprie tradizioni. Così nasce Settàneme.

Si vede che c’è ricerca esoterica, un certo amore per il mistero, è uno spettacolo che si presta a diverse chiavi di lettura, e anche tu come autore hai giocato su diversi registri, una precisa scelta?
Sono cresciuto a pane e Dylan Dog, il livello narrativo di alcuni fumetti italiani, in particolare quelli della Bonelli (casa editrice di Dylan Dog) e sorprendente e altamente culturale. Se si considera poi il teatro come ancestrale rito esoterico allora il cerchio si chiude. Settàneme trasborda di riferimenti magici perché è una favola campana. La nostra regione è talmente magica, incantata, che ogni posto ha una storia da raccontare, ogni pietra conserva una memoria antica fatta di allegorie e mistero. La chiave di lettura olistica è una caratteristica dello spettacolo, il pubblico deve essere invogliato alla ricerca, al viaggio, alla scoperta.

Perché un musical, che tipo di lavoro di ricerca musicale hai svolto, c’è anche un gran lavoro relativo alla lingua, perché queste scelte, anche a costo, forse di apparire “poco comprensibili”?
Considero l’opera musicale e la musica campana, in particolare quella napoletana, per intenderci, alla base della cultura musicale universale. Uno spettacolo che tratta del folklore, di superstizioni, non può prescindere dalla componente musicale che è fondamentale nella nostra cultura, dove tutto è musica, dove tutto è teatro. Uno spettacolo che racconta delle proprie tradizioni deve essere inscenato a ritmo di tammorre e castagnole. Per restare in tema, Settàneme è una danza esorcistica quanto una tammurriata. Il testo, se pur in vernacolo, mi ha permesso di vincere il premio nazionale per autori Parole in Scena organizzato a Messina, è stato selezionato a Lucca nel Teatro dei Rassicurati, all’Ora di Teatro, è stato apprezzato dal grande drammaturgo Luigi Lunari che proviene dal profondo nord… L’essere “poco comprensibile” lo rende affascinante perché mantiene l’alone di mistero. Ritornando a quanto detto prima, proprio la scelta di restare legato a terminologie tipicamente della mia terra, a storie della mia città, permette di incuriosire il pubblico di Settàneme, di invitarli a visitare i luoghi ad incontrare i fantasmi delle storie, evolvendosi a non essere più pubblico ma essi stessi protagonisti di una storia senza fine, eterna, come dovrebbe essere l’anima.

E’ uno spettacolo molto performativo, come hai lavorato con i tuoi attori? Parlaci un po’ di loro.
Ho la fortuna di “giocare” al teatro con dei compagni di viaggio eccezionali. Ho scelto gli attori del cast in base alla loro fascinazione. Sono devoto adepto del metodo Stanislavskij, quindi abbiamo lavorato tanto sul vissuto dei personaggi, sull’immaginazione, sul non reale, perché la maggior parte delle fonti, come dicevo, sono leggende. Abbiamo fatto lunghe passeggiate, visitando i luoghi, per azzardare un po’ di poesia, abbiamo studiato le ombre del passato e il loro odore. Due di loro, Umberto Del Priore e Serena Urti, si sono aggiudicati anche una nomination al FITALIA 2015. La bellezza evocativa di Settàneme è tangibile, è visibile, grazie anche alla forza del cast: una strega salernitana, una janara (unico caso storico documentato con atti di un processo voluto dall’Inquisizione) interpretata da Angela Matonti; una popolana che aiutava la gente malata a trapassare (antica eutanasia) fatta rivivere da Lucia Lanzara; Sara Rocco, una povera contadina vittima della superstizione, una mannara, che aveva avuto, a detta di arcaiche credenze, la sfortuna di essere nata la notte di Natale e per questo condannata a trasformarsi in bestia nel giorno della natività di Cristo; Daniela Della Rocca dà voce all’anima di una vergine medievale, uccisa dai fratelli, murata viva, per gelosia. Nella mia Eboli è ancora visitabile il palazzo e la finestra della camera da letto di questa sfortunata e malinconica ragazza, ma tanto… sono solo leggende.

Parlaci della tua formazione e della compagnia di Teatro del Bianconiglio, come nasce, quali sono i progetti, i premi?
La mia formazione ideale è il 3-5-2 con il trequartista di appoggio alle due punte…(perdonatemi mi sono lasciato prendere la mano, torno serio). Sono un cantante, almeno lo sono stato, fondai un gruppo rock, gli Yres, abbiamo fatto cose anche molto importanti, soprattutto gratificanti, vincendo nel 2005 il Festival di Sanremo Rock, pubblicando un disco e suonando un po’ in giro su grandi palchi, aprendo i concerti di artisti più famosi di noi. Il teatro, essendo io campano doc, l’ho sempre conosciuto, in famiglia abbiamo sempre rispettato il sacro rito di riunirci a tavola, la sera della vigilia di Natal, a guardare “Natale in casa Cupiello” di De Filippo. A diciannove anni frequentai una compagnia ebolitana, quando poi l’esigenza di storie più lunghe, che non potevano essere contenute in un testo di una canzone, si è tramutata in necessità di scrivere, mi sono cimentato nella narrativa teatrale. Prima ho lavorato con varie compagnie, mettendo in scena qualche spettacolo e musical, ho frequentato stage di formazione tenuti da attori e registi che considero validi. Ho frequentato la facoltà di lettere moderne con indirizzo artistico all’Università di Salerno e non mi sono mai laureato, ho studiato da indipendente scegliendo i miei maestri. La Compagnia di Teatro del Bianconiglio ha tre anni e mi inorgoglisce all’inverosimile, nasce dall’esigenza di creare una teatralità unica e di gruppo, per questo abbiamo come comandamento di portare in scena opere esclusivamente inedite ed è questo il nostro progetto. In tre anni abbiamo fatto abbastanza, mettendo in scena cinque spettacoli, entrando in un cartellone artistico nazionale, quello del Teatro Italia. Poi c’è Settàneme, che si è aggiudicato un bel po’ di riconoscimenti: il premio come miglior allestimento scenografico al Campania Felix 2014, il premio Schegge di Teatro 2015, è stato selezionato all’Ora di Teatro di Lucca. Ha vinto il premio nazionale per autori teatrali Parole in Scena 2015 e poi come ciliegina sulla torta è arrivato il premio FITALIA 2015 come miglior spettacolo. Per il resto stiamo in aspettativa di altre notizie che non vi dico perché sono superstizioso.

Dicci il motivo per cui gli ischitani dovrebbero vedere Settaneme, come incuriosirli.
Perché il ricordo, il racconto, vi renderanno eterni. Perché sarete poi voi a raccontare di questa favola, delle vostre favole, continuando quella coda che si congiungerà alla testa del serpente. Ma poi soprattutto perché è uno spettacolo magico, esoterico, un rito propiziatorio che esaudisce ogni desiderio, che realizza ogni sogno, che porta bene, quindi venite a vederlo con in tasca un fogliettino (meglio ancora utilizzare il biglietto) dove avrete l’accortezza di scrivere un vostro desiderio e quello si realizzerà! (e qui sparisco avvolto da una nuvola di zolfo e scoppiettio di fiamme…ok ci sono ricascato…) Si sa sono solo leggende.

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