martedì, Maggio 13, 2025

Si accanisce contro la sanatoria ai vicini a Barano, ma perde due volte

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Il Consiglio di Stato rigetta l’appello e conferma la sentenza del Tar. Il confinante sosteneva che il condono rilasciato dal Comune di Barano fosse illegittimo perché le opere erano state ultimate oltre il termine previsto e realizzate in zona sottoposta a vincoli. Contestava anche le conclusioni a cui era giunto il verificatore nominato dal Tribunale. Tutte le censure sono state giudicate infondate

Ha tentato invano di far annullare la sanatoria rilasciata ai vicini dal Comune di Barano, con la “speranza” di ottenere la demolizione degli abusi. Ma gli è andata male due volte, sia dinanzi al Tar che per ultima al Consiglio di Stato. E dovrà anche pagare oltre 4.000 euro per le spese di lite in favore dei “nemici” dopo l’ultima sentenza.

Il cittadino difeso dall’avv. Giuseppe Di Meglio, mentre le controparti erano rappresentate dall’avv. Bruno Molinaro, sperava nella riforma della sentenza di primo grado risalente al 2021. Ma niente da fare.
Il caso – simile a tanti, troppi altri – è “semplice”. L’appellante, proprietario di immobile limitrofo, ha impugnato gli atti con cui il Comune di Barano aveva rilasciato a favore dei vicini il permesso a costruire in sanatoria del 2017 per le opere oggetto dell’istanza di condono edilizio del 27.2.1995, presentata ai sensi della L. 724/94 (secondo condono) per la «… realizzazione di un fabbricato su un livello da adibire a civile abitazione, sito in Barano d’Ischia alla via Angelo Migliaccio».

Per il confinante, le opere sanate «sarebbero state ultimate in data successiva al 31 dicembre 1993, dal che conseguirebbe la violazione dell’art. 39 l. n. 724/94. In secondo luogo, egli ha dedotto la violazione degli artt. 35 l. n. 47/85 e 31 d.P.R. n. 380/01, nonché la violazione delle norme in tema di accertamento di compatibilità paesaggistica, stante l’insistenza del manufatto in zona vincolata».
Solo in primo grado il Comune di Barano si era costituito in giudizio, ma comunque ha visto avallata la legittimità del titolo edilizio rilasciato.

Come detto, già il Tar aveva rigettato il ricorso. Di qui l’appello, con il quale sono state riproposte le medesime censure già vagliate dal Tribunale. Una circostanza che viene rilevata dal Consiglio di Stato.
Innanzitutto, però, i giudici “scartano” una circostanza ritenuta non dirimente, premettendo che «nessun rilievo assume, ai fini in esame, l’ordinanza della Corte di Cassazione del 2024, che ha rigettato la richiesta di revoca dell’ingiunzione a demolire dedotta dagli odierni controinteressati. Ciò in quanto trattasi di ordinanza avente contenuto diverso da quello di cui all’art. 652 c.p.p. (non trattandosi di sentenza di assoluzione, e men che meno di sentenza resa all’esito del dibattimento) e che per tali ragioni non fa dunque stato nel presente giudizio».

CHIESTA LA NOMINA DI UN NUOVO VERIFICATORE
Entrando nel merito, la sentenza rileva appunto che «l’appellante si è limitato a riproporre in sede di gravame le medesime censure articolate nel ricorso di primo grado, senza aggiungervi particolari elementi di novità». E nessuna novità si è registrata anche nella decisione di secondo grado…
Come sovente accade in questi casi, il Tar aveva disposto delle verifiche prima di pronunciarsi nel merito. E le conclusioni a cui era giunto il verificatore sono state contestate nell’appello. Evidenziando di aver invano richiesto al Tribunale di nominare un nuovo verificatore.

Per il collegio, però, «le conclusioni cui è giunto il verificatore sono del tutto coerenti con le obiettive risultanze documentali, e possono pertanto essere condivise anche in questa sede. Viceversa, la richiesta dell’appellante di nomina di altro verificatore va disattesa, in quanto mirante a confutare l’operato di quest’ultimo sulla base di valutazioni del tutto soggettive, come tali prive di riscontro con l’obiettiva realtà documentale». Un “accanimento” dovuto al forte contenzioso con i confinanti.

Il Consiglio di Stato analizza nei dettagli la verifica eseguita, riportando quanto emerso: «Al 31.12.1993 era presente il manufatto di circa 96.50 mq, con muratura in celloblock e solaio di copertura. Tale accertamento è sostanzialmente sovrapponibile a quello operato dai tecnici comunali, e culminato con l’ordinanza comunale n. 125/92, con la quale è stata ingiunta la demolizione del “… manufatto di circa 96.00 mq” che vede “… il completamento nella muratura di celloblok nonché del gettito del solaio di copertura in c.a.”. Trattasi pertanto di dimensioni pressoché identiche, la qual cosa esclude gli sconfinamenti e/o aggiunte ipotizzati dall’odierno appellante».

Inoltre «tali circostanze sono ulteriormente confermate dall’esame delle aerofotogrammetrie (rilievi del 25.10.1991 e 25.11.1991), da cui – a differenza di quanto sostenuto dall’appellante – emerge un manufatto avente la medesima consistenza di quello oggetto dell’istanza di condono; viceversa, gli ulteriori elementi che hanno formato oggetto della successiva ordinanza di demolizione n. 295/96 – e sui quali si intrattiene diffusamente parte appellante – sono estranei alla domanda di condono. Per tali ragioni, reputa il Collegio che, se abusi vi sono stati, essi vanno retrodatati a data antecedente il 31.12.1993, e pertanto non rilevano ai fini della valutazione di legittimità del rilasciato titolo in sanatoria».

LA DISCIPLINA VINCOLISTICA
Una ulteriore “accusa” mossa ai confinanti era relativa al termine di pagamento delle oblazioni previste. Invece i giudici attestano che «risulta rispettata la tempistica sancita dall’art. 39 co. 5 l. n. 724/94, essendo la prima rata versata entro il 31.12.1994, e le successive entro il 14.12.1995. Per tali ragioni, non colgono nel segno le argomentazioni di parte appellante, in quanto frutto di valutazioni squisitamente soggettive, come tale del tutto sganciate dalla obiettiva realtà documentale».

Per vincere questa “guerra” il cittadino aveva invocato anche i vincoli a cui è assoggettato il territorio isolano in generale e di Barano nel caso specifico. Ma anche in questo caso «la disposta verificazione ha anzitutto consentito di accertare che la località in cui sorge il manufatto oggetto di condono risulta inserita nel contesto urbano, giusta DCC n. 29/1967. Per tali ragioni, non trova applicazione la normativa sulle distanze dettata dal d.m. n. 1444/68 (distanza dalla strada di almeno 20 metri), trattandosi di previsione applicabile unicamente alle strade situate al di fuori della cinta urbana. Pertanto, anche sotto tale profilo le contestazioni di parte appellante non colgono nel segno, e vanno dunque disattese, essendo assunte sulla base di un tertium comparationis (l’applicabilità delle previsioni del citato d.m. n. 1444/68) del tutto inconferente nella fattispecie in esame».

Le “frustate” proseguono, sempre in relazione alla disciplina vincolistica e richiamando la corretta verificazione eseguita. Questa ha accertato che «il Comune di Barano d’Ischia è stato sottoposto a vincolo paesaggistico con d.m. 19.6.1958 e successivamente con d.m. 8.2.1999; nel PTP il territorio dell’Isola di Ischia è stato suddiviso in tre zone: di protezione integrale (P.I.), di protezione integrale con restauro paesistico ambientale (P.I.R.), di recupero urbanistico edilizio e restauro paesistico ambientale (R.U.A); il manufatto oggetto dell’istanza di condono ricade in zona R.U.A, con conseguente applicazione della previsione di cui all’art. 19 del PTP, secondo cui: “Nelle aree dove si addensano le opere abusivamente eseguite, il parere di cui all’art. 32 della legge n.47/85 verrà reso in conformità alle prescrizioni contenute in un piano di dettaglio da redigersi entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente piano a cura del Ministero per i BB.CC.AA. e con il supporto degli Uffici Tecnici dei Comuni interessati. Detto piano è finalizzato ad una valutazione specifica della compatibilità delle opere abusivamente realizzate con il grado di compromissione ambientale della relativa area”».
Ebbene, a luglio del 2001 il Comune di Barano, la Soprintendenza e la Regione Campania avevano sottoscritto apposito protocollo di Intesa che prescriveva la redazione di un “Piano per la valutazione della compatibilità paesistica degli interventi edilizi abusivi eseguiti nel territorio del Comune di Barano di Ischia oggetto di istanze di condono presentate ai sensi della L.47/85 e 724/94”. «Tale Piano – si legge nella sentenza – detta criteri e direttive per la formulazione del parere di cui all’art. 32 della L.47/85».

LA COMPATIBILITA’ PAESISTICA DEGLI ABUSI
Il Consiglio di Stato riporta i casi in cui il Piano stabilisce la non sanabilità dell’immobile, ovvero «se costituisce edificio di altezza eccedente i tre piani fuori terra; costituisce sopraelevazione di edifici già eccedenti il limite sopra fissato, ovvero comportanti essi l’eccedenza dello stesso limite; costituisce intervento di copertura a tetto con falde di qualsiasi pendenza, ovvero di sopraelevazione a mezzo di coperture a tetto con falde di qualsiasi pendenza; costituisce intervento che abbia prodotto alterazione non reversibile dell’assetto e dell’andamento naturale del suolo con pregiudizio per la salvaguardia delle aree agricole residuali e delle pratiche colturali tradizionali e non suscettibili di riparazione mediante interventi di mitigazione e riqualificazione».

Purtroppo per l’appellante, le opere realizzate dai vicini non rientrano in nessuno di questi casi. Ed infatti il collegio evidenzia che «nella fattispecie in esame, il manufatto in esame non presenta alcuna delle citate caratteristiche tipologiche, né incontra gli ulteriori limiti previsti dal suddetto Piano, con la conseguenza che esso costituiva oggetto di legittimo rilascio di provvedimento di condono».
Anche l’ultima contestazione non ha incontrato maggiore fortuna. Infatti «tali conclusioni non risultano smentite dall’ulteriore censura di parte appellante, secondo cui l’immobile sarebbe in contrasto con il piano di riqualificazione specifica dell’area interessata dall’abuso, atteso che la disposta verificazione ha consentito di accertare che il manufatto ricade in frazione di Buonpane, rispetto alla quale non era dunque richiesto alcun progetto di riqualificazione dell’area».

L’ultimo passaggio è un “de profundis” per le velleità di colpire i confinanti: «Per tali ragioni, è evidente l’infondatezza di tutte le censure di parte appellante – le quali determinano, a valle, l’infondatezza della richiesta di nomina di nuovo verificatore – le quali muovono da considerazioni di tipo squisitamente soggettivo, in quanto miranti alla rappresentazione di fatti collocantisi ora in contesti visivo/temporali/spaziali diversi da quelli in esame, ora smentiti dalla normativa vincolistica e di Piano rilevante nella fattispecie in esame».
Il rigetto dell’appello, al di là dei contenziosi tra privati, “premia” questa volta l’operato degli uffici comunali di Barano.

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  • Articolo realizzato dalla Redazione Web de Il Dispari Quotidiano. La redazione si occupa dell'analisi e della pubblicazione fedele degli atti e dei documenti ufficiali, garantendo un'informazione precisa, imparziale e trasparente. Ogni contenuto viene riportato senza interpretazioni o valutazioni personali, nel rispetto dell’integrità delle fonti e della veridicità dei fatti.

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