lunedì, Ottobre 7, 2024

Raggi D, speciale. Spalletti e il calcio italiano, non si cerchino alibi

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Nelle ore successive alla riconferma di Spalletti – a mio modo di vedere anche scontata (magari perché al momento pur avendo disponibili tecnici validissimi nessuno ha grande spessore mediatico come forse richiedono i tempi e forse il gioco moderni, vedi Allegri o Ranieri che con lo stesso ruolo non fece benissimo in Grecia) – ho pensato di ripercorrere un attimo alcuni dei momenti salienti della gestione dell’allenatore di Certaldo, dal suo insediamento fino alla figura barbina rimediata nelle quattro gare (tutte) disputate nei quindici giorni all’Europeo di Germania 2024 (non che fossero andate particolarmente meglio le due amichevoli primaverili in USA o le due di inizio giugno).

L’ARRIVO QUASI DI UN MESSIA
Acclamato come quasi fosse un Messia all’indomani del voltafaccia di Mancini, il Ferragosto italiano pallonaro della scorsa estate fu tutto un esaltare le doti del pur bravo Luciano. Un buon palmares e solo pochi mesi prima uno scudetto italiano che quando vinto lontano dall’asse Milano-Torino val sempre qualcosa in più, parevano essere il buon viatico alla sua esperienza sulla più prestigiosa panchina azzurra. Nel box di fianco ho ripreso alcune delle frasi, tra le tantissime, che il mondo del calcio riservò a quella “chiamata alle armi”.
Pur comprendendo l’amarezza per la scelta di Mancini di dimettersi e prendere altre strade in Arabia Saudita, quel che non riesco a far mio è la capacità di definire un tecnico che non ha mai lavorato con le Rappresentative come “l’uomo giusto” prima ancora di averlo visto all’opera in un determinato contesto. Un contesto ovviamente del tutto nuovo per lui che era abituato (e forse lo è ancora) a lavorare quotidianamente nei club. Una battuta del genere io non avrei mai pensato di accreditarla internamente al sistema ma a qualche tifoso al bar.

DAL PARTICOLARE AL GENERALE E NON VICEVERSA
Ho personalmente lavorato con le Rappresentative federali e conosco profondamente il differente approccio che c’è tra quel tipo di impegno e quello di fatto quotidiano con i club dove si parte dal generale per arrivare al particolare (consolidato day by day) mentre, per converso, nei momenti rari in cui si riuniscono le squadre federali si assume come consolidato il particolare e da questo si arriva al generale curando altre peculiarità come i dettagli per una palla inattiva, il punto o la zona di attacco palla, una determinata uscita e così via.

I giovani che arrivano in Nazionale, per sintetizzare, dovrebbero essere in grado di applicare rapidamente sistemi e moduli (che sono le applicazioni dinamiche dei sistemi) perché i riferimenti e i principi di base nonché l’affinamento ed il consolidamento della pura gestualità tecnica e/o di tecnica applicata sono già abbondantemente lavorate nei Club di appartenenza.
L’atteggiamento piuttosto supponente di Spalletti fin dal suo primo giorno in azzurro l’ho quindi trovato evidentemente poco opportuno perché fino ad allora non si era mai calato in quel ruolo che, giova ricordarlo, fu interpretato in maniera diametralmente opposta dall’eleganza di Bearzot, Vicini e Maldini che fu l’ultimo in ordine di tempo ad identificare un rimpianto “selezionatore” di trafila federale che oggi parrebbe non andar più di moda (ci si ricorda di Valcareggi-Bearzot-Vicini-Maldini?).

TROPPE SCUSE: IL CAMPIONATO FINITO TROPPO PRESTO
Chiedere scusa, come poi alla fine ha fatto anche nella conferenza stampa del giorno dopo, scortato da Gravina, serve per me assai poco. Alla luce di una continuità vomitevole di prestazioni offerta in giusto quindici giorni e quattro gare con una “operazione Germania” che ha contato anche due amichevoli (tristissime anche quelle, per carità) e un romitaggio iniziato il 31 maggio, non si può non riflettere su alcune lamentele di Spalletti che, a tratti, son parse come quelle oramai rese celebri nelle boutade dopogara di Mazzarri. Il più triste degli arrampicamenti sugli specchi che non è certo agire da uomini per chi ha sempre dichiarato “uomini forti, destini forti e uomini deboli, destini deboli”.

IL CAMPIONATO ITALIANO
Il campionato italiano non è più un campionato scarsissimo e lo dimostrano anche e soprattutto i risultati delle squadre italiane impegnate nelle competizioni continentali tra finali vinte e perse (il prossimo anno la Champion’s avrà al via cinque team italiani). Una volta i selezionatori si lamentavano quando il massimo torneo di casa nostra arrivava a non esprimere un vincitore con tempi maggiormente anticipati rispetto all’impegno della nazionale perché temevano infortuni e alterazioni d’onda lunga nei rapporti nello spogliatoio tra i componenti appartenenti ai club in lotta per la vittoria finale mentre stranamente Spalletti ha questa volta preferito puntare il dito, tra gli altri, sul fatto che i giocatori avevano mollato troppo presto a causa del dominio Inter. Il tecnico ha però dimenticato più di un fattore: la partecipazione ad un torneo con la maglia della Nazionale ha un valore enorme per un giovane proprio perché si riflette su quello del suo contratto e vale molto per le Società più o meno per lo stesso motivo. Nessuno ha piacere a fare brutte figure e soprattutto, son poi stati quelli della nazionale italiana ad andare “a filo di gas” mentre tutti gli altri calciatori “italiani”che sono rimbalzati nelle loro rispettive rappresentative nazionali negli altri gironi stanno correndo tantissimo e meglio. Quelli dell’Inter, a quanto pare, sarebbero stati messi nel mirino eppure, per dirne uno a caso, questa pigrizia o stanchezza non sembrerebbe coinvolgere neanche Lautaro Martinez che nella sua Argentina, dall’altra parte del globo, in Coppa America, sta facendo sfracelli.

TROPPE SCUSE: I GIOVANI NON GIOCANO
Sulla questione sempre attuale che vede i club italiani non particolarmente inclini a dare fiducia ai giovani mi andrebbe di dissentire: oramai si vede anche in Italia che le cose stanno cambiando (anche se spesso per mano di tecnici stranieri, vedi Mihajlovic con Donnarumma, Mourinho con Calafiori e Bove, Juric con Bongiorno e così via). Le buone affermazioni delle nazionali giovanili restano circoscritte alle fasce d’età in cui si realizzano e, per quanto sempre meglio vincerli questi tornei piuttosto che perderli, è anche vero che molto raramente quei giocatorini riescono a confermarsi ad alti livelli quando sono in età da essere inglobati nelle prime squadre. Nessun allenatore è tanto folle da non consentire ad un ragazzo bravo di giocare. Mi piace qui ricordare che della squadra dell’Inter campione d’Europa Next Generation (l’unica italiana finora a riuscirci), in A gioca solo Duncan mentre degli italiani di quella squadra Di Gennaro è oggi il terzo portiere della prima squadra mentre gli altri si sono pressoché se non ampiamente persi.

Anche Mancini i giovani li faceva giocare e li andava a cercare in giro per il mondo ma, soprattutto, non so chi si voglia abbindolare quando Spalletti dice che tornerà a lavorare puntando sul ringiovanimento della rosa: questa sua nazionale è stata la più giovane degli ultimi tempi! Mancini nel 2021 l’Europeo lo ha vinto con un’età media di 27,7, Prandelli arrivò in finale e l’età media di quella selezione fu di 28 anni mentre Lippi vinse un Mondiale nel 2006 con una squadra che aveva un’età media di 28,72. Secondo quanto riporta calciodangolo.com a firma di Matteo Zinani il 12 giugno scorso, la rosa dell’Italia di Spalletti è la quinta più giovane del torneo con una età media di 26,9 (la più anzianotta è la Germania).

LA VERITÀ SONO LE OLIMPIADI
Personalmente ritengo che l’unico modo per comprendere se il movimento nazionale sia effettivamente a buon punto con i giovani è l’Olimpiade, non solo parteciparvi ma arrivare almeno ad una semifinale. Là si capiscono molte cose, perché l’età ed il collocamento di quel tipo di calciatore ce li inquadra nella fascia d’età fino ai 23 anni (ossia i calciatori in uscita dal ciclo U-21). L’ultima medaglia fu un bronzo nel 2004 (e poi nel 2006 arrivò il Mondiale) mentre l’ultima “semplice” partecipazione fu nel 2008. La nostra U-21 che ne rappresenterebbe la base naturale sono anni che fa solo brutte figure a livello continentale deludendo le attese e mancando i pass a cinque cerchi.

TROPPE SCUSE: LE SQUADRE SI DEVONO ESPRIMERE
Quindi, se è vero che i giovani sono il futuro e che nei giovani si deve saper investire, è anche vero che questi non devono esser soltanto bravi ma anche inseriti in squadre che sappiano giocare e che sappiano avere una identità: in dieci mesi di Italia, Spalletti non ci ha fatto vedere nulla di tutto ciò. Nessuna idea, nessuna certezza, nessuna vittoria anche casuale contro una squadra posizionata più in alto nel ranking UEFA, nessuna identità di gioco e – peggio – quasi nessuna identità ed orgoglio d’appartenenza oltre le fumose dichiarazioni nelle conferenze stampa pre-gara. Basta rendersi conto di come gli azzurri si comportano all’inno nazionale: occhi chiusi e mano sul petto manco stessero prendendo il treno per il fronte non appena le telecamere li passano in carrellata salvo poi aver gambe molli che fa molto contrasto su come, ad esempio, i ragazzotti della Spagna ridacchiavano spavaldi e facevano l’occhiolino nella medesima camera e negli stessi attimi in cui riecheggiava la Marcia Reale (attribuita a Churchill: «Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio») . Le furie rosse sapevano cosa e come farlo, noi no e forse in quegli occhi chiusi cercavamo l’ispirazione.

Spalletti ha giocato quattordici partite alla guida della Nazionale A (e non dieci come aveva dichiarato a caldo nel dopo Svizzera) raccogliendo 1,5 reti fatte a partita di media ma subendone quasi una a match (0,92, con un solo clean-sheet nelle ultime cinque gare) ed il suo bilancio non è poi fantasmagorico, 6v 4n 4p mentre Mancini – che mai stimerò per le scorciatoie sulle abilitazioni di inizio carriera – ha stracciato record inarrivabili a livello mondiale.

TROPPE SCUSE: SI SAPPIA OSSERVARE IL CAMPIONATO
Sic rebus stantibus, come nei club, i giocatori devono arrivare in Nazionale sapendo di avere certezze e che tutti lavorano per farsi trovare pronti anche se però ci sono delle gerarchie da rispettare e non da improvvisare: si è passati dall’1-3-kaos all’1-4-fate voi all’1-5-può darsi con troppa facilità e, soprattutto completamente scarichi a livello organico, ma com’è possibile? Io non penso che da noi non ci sia talento o che non ci sia più talento (ricordiamoci comunque che il campione nasce campione, non lo diventa) ma si deve anche dare al talento la possibilità di esprimersi guidandolo e non umiliandolo come nelle recenti conferenze stampa hanno fatto proprio Spalletti e Gravina citando Mbappè ed altri campioni avversari. Inoltre, i nostri ragazzi non è detto che debbano per forza giocare in Italia, se bravi e ricercati è giusto che vadano ad esprimersi anche all’estero come accade oggi per tutti quelli che in Italia arrivano, crescono, migliorano e poi ci buttano fuori a livello di nazionale.

SPALLETTI RAPPRESENTANTE DEI TECNICI ITALIANI?
Così mi viene un dubbio: se la Nazionale A è per noi tutti la squadra delle squadre, il suo selezionatore è per i tecnici italiani il “tecnico dei tecnici”? Lo dico perché ho personalmente sempre apprezzato il calcio di Spalletti per quanto, all’inizio della sua proposta in piazze importanti, nella prima Roma, nel suo 1-4-2-3-1 ho creduto di rivedere molto delle meravigliose idee dell’esordiente ed entusiasta Mario Somma, ma oggi non posso sentirmi rappresentato da un collega che in conferenza stampa e con lo scudo della FIGC in petto si permette di offendere urbi et orbi giornalisti di ogni nazione, rispondendo in maniera piccata, infastidita e risentita a chicchessia e ostentando una saccenza che a mio modo di vedere non si adatta al ruolo ed al contesto. Ecco, questo Spalletti – lo ripeto – non mi rappresenta: io stesso ho una foto sui miei profili social che mi ritrae con indosso una tuta della FIGC in un momento del 2016 durante la frequenza del corso centrale a Coverciano per il conseguimento della licenza Uefa A.

Da allora, con l’abilitazione da tecnico della Federazione che amo e per lo sport che amo, io quella tuta non l’ho mai più indossata perché di questo calcio e di questa FIGC sono appunto profondamente innamorato e rispettoso quindi riconosco che un tifoso ha il dovere di indossare un qualsiasi prodotto ufficiale della nostra nazionale ma non posso certo farlo io che, restandone tifoso, non sono un dirigente FIGC, un tecnico FIGC, un impiegato FIGC o un calciatore delle sue Rappresentative. Questo, Spalletti, si chiama amore e rispetto della nostra storia calcistica, della nostra tradizione e della nostra maglia. Questo, Spalletti, si chiama rispetto dei colleghi di tutta Italia impegnati su campi polverosi in Penisola o nel mondo a caccia della luce che può anche non arrivare mai. Questo, Spalletti, significherebbe capacità (e necessità) di rivedere qualcosa di sé stessi nell’approccio e nella comunicazione perché a livelli così alti non si è più espressione tecnica di un club (ammesso e non concesso, citaz.) ma di un intero movimento.
Avanti Spalletti, facci capire rapidamente se possiamo ritenerci ancora italiani e Ferrari o se in fondo la Panda sei tu.

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