C’è un momento dell’anno, a Ischia come in tutte le principali località di mare, che non coincide con nessuna data ufficiale, ma che segna con decisione l’inizio dell’estate. Non è il 21 giugno, non è la fine della scuola e nemmeno la prima zanzara che ti ronza nell’orecchio alle tre di notte. No. È il primo tuffo in mare. Perché il primo tuffo stagionale è un’esperienza mistica, quasi iniziatica, che ogni anno riesce a coglierci impreparati, come se fosse sempre la prima volta. Ci si presenta in spiaggia o in barca belli baldanzosi, magari in una giornata di sole tiepido ma con il vento che fa il suo dovere nel ricordare che no, non è ancora estate piena. Però ormai si è lì, armati di costume, asciugamano, crema solare con SPF discutibile e quella incrollabile convinzione che “se c’è il sole, si può fare”.
Arrivi davanti al mare e lo guardi. Lui ti guarda. È una sfida tra titani: tu, con la tua pelle color mozzarella e le ginocchia già pronte a cedere, e lui, con quell’acqua cristallina che inganna, perché sembra un invito, ma in realtà è una trappola gelida travestita da sogno balneare. Metti un piede in acqua e… panico. Il tuo sistema nervoso invia segnali d’allarme a tutte le cellule del corpo. “Ma sei matto?”, ti urla l’alluce. Le gambe si rifiutano di andare avanti, tua moglie già in acqua ti guarda e ti grida: “Vieni, non è fredda!” – ma mente, ovviamente (anche perché, nel mio caso, lei è mezza tedesca e io no), con la spavalderia di chi ha già superato la crisi ipotermica iniziale e ora nuota fingendo noncuranza, mentre magari il suo corpo grida vendetta.
Ma penso per un attimo a chi, per forza di cose, trova la giusta determinazione per tuffarsi: venuto fino a qui, trovato parcheggio in una zona improbabile, pagato un biglietto d’aliscafo quanto un volo di sola andata e non low cost… non può certo tirarsi indietro. Così inizia la danza dell’acclimatazione: passettini lenti, schizzi strategici, rotazioni del busto per simulare disinvoltura. Intanto il bagnasciuga regala piccole onde assassine che ti colpiscono alle ginocchia, poi ai fianchi, passando per l’impatto più brutale che è quello di pancia e basso ventre. Ogni centimetro guadagnato è un piccolo passo, un enorme trauma per la termoregolazione corporea. Poi… succede. Con un atto di coraggio (o di disperazione), ti butti. Un tuffo. Un’immersione completa. Una crisi d’identità. Il cervello si resetta. Il respiro si blocca. Il cuore ti chiede spiegazioni. Ma quando riemergi, tra schizzi e denti che battono come maracas, succede qualcosa di magico: ti abitui. La pelle inizia a smettere di protestare, il corpo riconosce il mare come ambiente amico, e tu, finalmente, galleggi. Galleggi nel senso fisico e simbolico del termine. Hai superato la barriera della paura, dell’incredulità, della temperatura che ricordava una doccia in alta montagna, e ora sei parte del paesaggio. Sei un bagnante. Un essere estivo. Un animale acquatico.E lì, mentre ti lasci cullare dalle onde e guardi il cielo che ti sorride, lo capisci: l’estate è cominciata. Anche se il calendario dice che manca ancora un po’, anche se continui a sentirti addosso un vago odore di piumone e cappuccino caldo, anche se alla sera porti ancora con te il centogrammi “perché non si sa mai”. Il primo tuffo ha fatto il suo lavoro: ha ufficializzato la stagione. Il mare ha dato il suo benvenuto. E tu, uscendo dall’acqua con passo fiero e bagnato, pensi solo una cosa: “Domani ci ritorno. O forse no?”. Ma alla fine, quel che conta è averla avuta vinta, magari immortalando quel momento da braveheart di casa nostra facendoti scattare una foto da condividere sui social, attendendo il commento dell’amico invidioso rimasto a casa per la prima comunione del figlio del vicino.
Buona vita al mare, residente o turista che tu sia, amico lettore!