Nel calcio italiano quel che continua a non funzionare non è certo l’adozione del VAR che, vivaddio, sta punendo tantissimi errori marchiani e, spesso, tutt’altro che involontari, quelli che per decenni hanno avvantaggiato e penalizzato sempre a senso unico. Sono i comportamenti, le interpretazioni e la gestione della tecnologia da parte della classe arbitrale a risultare un problema serio. E a quanto pare, nessuno ha intenzione di migliorarle, perché è chiaro a tutti che chi di dovere perderebbe anche quella benché minima possibilità rimastagli per “orientare” certe decisioni.

Nessuno avrebbe potuto discutere, ad esempio, l’annullamento del gol dell’Atalanta durante la sfida contro la Roma di sabato scorso, se la motivazione addotta dall’arbitro dopo l’intervento della sala VAR fosse stata quella del netto fuorigioco di Palomino e non del suo tocco finale, di fatto inesistente. Così come nessuno avrebbe potuto discutere il fallo netto ed evidente di Giroud su Juan Jesus durante Milan-Napoli di domenica sera, anziché il fuorigioco (comunque influente) dello stesso giocatore francese che ha provocato l’annullamento del gol del pareggio rossonero.

Se è chiaro che certa stampa non può proprio fare a meno di ignorare anche i più evidenti riscontri post-partita pur di sostenere tesi ad usum delphini, ci si aspetterebbe quanto meno che dopo l’ennesimo episodio dubbio qualcuno ponesse pubblicamente il problema che qualcosa proprio non va. Oppure, che chi come lo stesso presidente del Napoli normalmente non le manda a dire, cominciasse ad opporsi coi fatti e non con i proclami in stile “meglio che non parlo perché ne ho le p…e piene” all’operato di una burocrazia calcistica che fa acqua da ogni parte e che, ove mai l’Italia non dovesse qualificarsi neppure ai prossimi mondiali, dovrebbe autoestinguersi senza lasciare più alcuna traccia di sé. E invece, eccoli tutti proni a non disturbare questo o quel conducente per chissà quale prezioso motivo.