venerdì, Giugno 20, 2025

Quando il pregiudizio prende il volante: da Toto Wolff ai cori interisti | #4WD

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Ci risiamo. Ancora una volta, l’Italia si ritrova vittima di quel mix di stereotipo e superficialità che spesso si traveste da battuta ma finisce per rivelare molto più di quanto vorrebbe. L’ultima uscita è firmata Toto Wolff, team principal Mercedes, che per commentare le manovre di Max Verstappen in pista ha pensato bene di chiamare in causa i tassisti di Roma e Napoli, accusandoli di “impazzire nel traffico”. Secondo Wolff, lo stile di guida del pilota olandese assomiglierebbe al modo in cui certi tassisti si muovono nelle nostre metropoli meridionali: frenetico, aggressivo, irregolare. Come se evocare Roma e Napoli in una frase bastasse per evocare disordine, caos e irrazionalità.

Sarebbe stato forse più elegante tacere, o al massimo usare metafore meno stantie. Ma no: meglio rifugiarsi in quel patrimonio inesauribile di cliché che da decenni accompagna lo sguardo straniero su alcune città italiane, specialmente del Sud. È la solita retorica che riduce intere culture a comportamenti folkloristici, dimenticando che dietro ogni volante ci sono uomini e donne che lavorano, affrontano una viabilità spesso drammatica, e svolgono il loro mestiere con un impegno che meriterebbe rispetto, non caricature.

L’uscita di Wolff è grave non solo perché alimenta uno stereotipo stanco e offensivo, ma anche perché viene da un personaggio pubblico, influente, nel cuore di uno sport globale come la Formula 1. Un ambiente che dovrebbe educare al rispetto, alla disciplina, al merito, e non giocare al tiro al bersaglio con l’immagine di due città che, pur con le loro complessità, rappresentano eccellenze mondiali in cultura, arte e umanità.

E se volessimo restare sul terreno scivoloso dei luoghi comuni, potremmo anche allargare lo sguardo. Basta tornare con la memoria alla recente finale di Champions League: Inter–PSG. Prima ancora di scendere in campo (e di prenderne cinque dai parigini), una parte dei tifosi nerazzurri si era distinta più per l’invettiva anti-napoletana che per il sostegno alla propria squadra. Invece di sventolare con orgoglio i propri colori, hanno preferito percorrere le strade di Monaco di Baviera con cori che nulla avevano a che fare con il calcio e tutto con il veleno sociale che troppo spesso intossica gli stadi italiani.

Due facce della stessa medaglia: da un lato l’ironia pelosa di chi, come Wolff, crede di poter trasformare un tratto culturale in una macchietta, dall’altro l’ossessione identitaria di chi pensa che per affermare se stesso debba per forza negare l’altro, denigrarlo, ridicolizzarlo. In entrambi i casi, Napoli e i napoletani diventano bersagli facili, valvole di sfogo, comodi capri espiatori di una frustrazione che nulla ha a che fare con la verità o il merito.Il paradosso è che nel momento stesso in cui si tenta di ridurre queste città a un cliché, si conferma – in negativo – la loro centralità nel dibattito culturale e sportivo europeo. Perché se Roma e Napoli fossero davvero irrilevanti, non ci sarebbe bisogno di evocarle. Invece lo si fa, eccome. Anche solo per riderci sopra – male.La verità è che l’Italia merita di più. Merita che i suoi professionisti, dal tassista al tifoso, vengano trattati con dignità. Merita che chi guida una scuderia di Formula 1 rifletta due volte prima di scivolare su battute qualunquiste. E merita soprattutto che chi tifa una squadra gloriosa come l’Inter lo faccia con passione sportiva e non con slogan da curva bassa, figli di un’Italia vecchia, spaccata, che non ha mai imparato a guardarsi con rispetto.In fondo, il problema non è il traffico di Napoli o di Roma o la stupidità di questo personaggio o quella tifoseria: il vero traffico da smaltire è quello di pregiudizi che continuano a rallentare l’Europa dell’inclusione e della civiltà. 

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