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giovedì, Marzo 28, 2024

Progresso e populismo, giovani e anziani

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4WARD di Davide Conte

 

Nell’affrontare il quarto 4WARD del 2017, andrò a colmare una lacuna nelle mie intenzioni narrative, relazionandoVi con ben quattro mesi di ritardo sul tredicesimo rapporto CENSIS sulla comunicazione. Quest’anno non ho avuto modo di partecipare, come solitamente accade, alla sua presentazione in Senato. Sia chiaro: non ho la presunzione che ciascuno di Voi sia interessato ai fenomeni che riguardano il mio principale settore d’interesse professionale, ma sono convinto che da questa ormai rituale pubblicazione, redatta in sinergia con l’Unione della Stampa Cattolica Italiana, si ottenga un contributo di pregiata informazione oggettiva, con notizie di sicuro interesse per chiunque si diverta ad analizzare determinati comportamenti della nostra collettività.

Il digital divide sembra assottigliarsi sempre di più: ormai quasi il 74% degli Italiani utilizza internet, con un aumento di quasi il 3% rispetto al 2015, diventando la quasi totalità (95,9%) per gli under 30. Crescono i detentori di smartphone (quasi il 65% degli Italiani e il 90% degli under 30), diminuiscono quelli di cellulari tradizionali, segno che la necessità di connessione mobile e di servizi ormai all’ordine del giorno come WhatsApp si fa sentire ormai con prepotenza. Lieve ma presente la crescita di e-reader e tablet: +0,7% per i primi e +1,7 per i secondi.

La televisione è sempre il medium più amato dagli Italiani, ancora in aumento nel 2016 e coprente la quasi totalità della popolazione. In aumento la lettura di settimanali e quotidiani on line, ancora in calo di circa il 2% i quotidiani cartacei. Anche le radio godono di ottima salute e si attestano su un’ottima quota di aumento ascolti, sia attraverso gli apparecchi tradizionali, sia attraverso le piattaforme alternative, entrambe le forme con segno positivo.

Al boom dei consumi tecnologici e dell’e-commerce in barba alla crisi, con un aumento che sfiora il 200% dal 2007 al 2015, fa eco il sempre crescente radicamento dei social network in oltre il 50% degli Italiani e quasi il 90% dei giovani under 30, senza per questo trascurare WhatsApp che raggiunge addirittura il 61,3% della popolazione. Il tutto, senza particolari distinzioni di livello d’istruzione e categorie lavorative. Le donne, però, diventano protagoniste dello scenario digitale italiano, sorpassando nel 2016 gli uomini nel molteplice utilizzo del web.

Sono due gli aspetti del rapporto che mi hanno colpito di più e che preferisco riportare pedissequamente dalla sintesi di regioni.it.

I media digitali tra élite e popolo. Le ultime tendenze indicano che gli strumenti della disintermediazione digitale si stanno infilando come cunei nel solco di divaricazione scavato tra élite e popolo, prestandosi all’opera di decostruzione delle diverse forme di autorità costituite, fino a sfociare nelle mutevoli forme del populismo che si stanno diffondendo rapidamente in Italia e in Occidente. Si tratta di una sfiducia nelle classi dirigenti al potere e in istituzioni di lunga durata che oggi si salda alla fede nel potenziale di emancipazione delle comunità attribuito ai processi di disintermediazione resi possibili dalla rete. Si sta così radicando un nuovo mito fondativo della cultura web: la convinzione che il lifelogging, i dispositivi di self-tracking e i servizi di social networking potranno fornire risposte ai bisogni della collettività più efficaci, veloci, trasparenti ed economiche di quanto finora sia stato fatto.

La frattura generazionale: giovani e anziani sempre più lontani. Le distanze tra i consumi mediatici giovanili e quelli degli anziani continuano ad essere rilevantissime. Tra i giovani under 30 la quota di utenti della rete arriva al 95,9%, mentre è ferma al 31,3% tra gli over 65 anni. L’89,4% dei primi usa telefoni smartphone, ma lo fa solo il 16,2% dei secondi. L’89,3% dei giovani è iscritto a Facebook, contro appena il 16,3% degli anziani. Il 73,9% dei giovani usa YouTube, come fa solo l’11,2% degli ultrasessantacinquenni. Oltre la metà dei giovani (il 54,7%) consulta i siti web di informazione, contro appena un anziano su dieci (il 13,8%). Il 37,3% dei primi ascolta la radio attraverso il telefono cellulare, mentre lo fa solo l’1,2% dei secondi. E se un giovane su tre (il 36,3%) ha già un tablet, solo il 7,7% degli anziani lo usa. Su Twitter poi c’è un quarto dei giovani (il 24%) e un marginale 1,7% degli over 65.

In altre parole, sul primo punto, il web sembra risultare addirittura più rassicurante di alcune delle istituzioni tradizionali, un moderno (ma a volte pericoloso) rifugio per chi ne fa una vera e propria risorsa, ma anche un pericoloso schermo dietro cui nascondere paure, incertezze e crisi della personalità. Una ricchissima fonte di “cultura autoreferenziale” che, in quanto tale, tende ad aumentare pericolosamente l’indice di isolamento di molti individui, la cui debolezza diventa foraggio dell’uso smodato della tecnologia, con tutto ciò che ne consegue. Quanto al secondo, invece, dobbiamo prendere atto di vivere in un Paese laddove l’integrazione al progresso di chi è più in avanti con gli anni risulta pressoché impossibile e, di certo, non solo per un problema di mentalità. L’Italia, spesso indicata come una nazione “vecchia”, scopre in questo genere di fenomeni la sua incapacità di mantenere livelli di crescita uniformi in tutte le classi sociali e, soprattutto, per tutte le generazioni che ne compongono la popolazione. Non si tratta, quindi, esclusivamente di “essere portati” per il progresso, ma anche di predisporre quegli accorgimenti formativi a vantaggio di chi non è più giovanissimo, al fine di favorirne l’integrazione in quella comunità digitale tanto ambita ma che per molti –forse troppi- resta ancora un tabù.

Ischia, ovviamente, non è immune da questo genere di fenomeno. Sia il “populismo digitale” (tranquilli, quello tradizionale è tuttora dilagante), sia l’ostilità a diffondere il progresso nelle vecchie generazioni, rappresentano dati di fatto inconfutabili e, con tutta probabilità, insormontabili nel medio termine, anche per colpa della nostra naturale condizione insulare. “Forse non sarà domani, ma vedrai che cambierà”, cantava il compianto Luigi Tenco. Ma ad Ischia, come nel resto d’Italia, vien da chiederci: “Quando?”

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