Gaetano Di Meglio | Il sillogismo sentenza favorevole, come sosteneva il sostituto procuratore Gennaro Varone, e i week-end presso la struttura alberghiera San Montano di proprietà della famiglia De Siano non ha retto all’esito del processo che si è svolto a Roma con il rito abbreviato e che ha visto la pronuncia della sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste da parte del GUP, la dott.ssa Rosalba Liso. Un abbreviato che si è svolto in ogni caso con un pieno ed esaustivo confronto tra accusa e difesa, che ha consentito a quest’ultima di demolire l’impianto accusatorio come si verifica in un processo con rito ordinario.
Il giudice romano ha accolto tutte le testi difensive e ha chiuso una parantesi giudiziaria collegata agli altri procedimenti che vedono coinvolto l’ex giudice della sezione distaccata di Ischia Alberto Capuano. Uno spin off, per dirla con i termini delle serie tv, che non avrebbe mai dovuto prendere il via.
Il processo si è chiuso con la formula “perché il fatto non sussiste” e il giudice Alberto Capuano, l’imprenditore alberghiero ischitano Michele De Siano e il direttore di uno degli hotel di quest’ultimo, Maurizio Orlacchio, sono stati assolti dall’accusa di corruzione in atti giudiziari.
Una vittoria totale per il collegio difensivo composto dagli avvocati Cristiano Rossetti e Angelo Nanni per Orlacchio e De Siano, e dal prof. Furgiuele e dall’avv. Sorge per Capuano.
Gli inquirenti sostenevano che il giudice Capuano avesse emesso una sentenza favorevole all’imputato De Siano e favorito il testimone Orlacchio non trasmettendo gli atti alla Procura per un procedimento a suo carico in cambio di alcuni brevi soggiorni alberghieri. «La difesa – spiega il collegio difensivo – ha dimostrato la totale infondatezza di tale contestazione per la quale il pubblico ministero aveva chiesto la condanna per Capuano ed Orlacchio alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione con la sospensione condizionale».
La difesa, inoltre, ha dimostrato sia che non c’è stata nessuna pronuncia a favore di De Siano, perché lo stesso all’epoca era stato condannato dallo stesso Capuano per un caso legato agli scarichi dell’hotel e, nel caso di Orlacchio, invece, l’ex giudice di Ischia non poteva e non doveva trasmettere gli atti in Procura nei suoi confronti non sussistendo alcun presupposto di reato giacché Orlacchio aveva preso parte al processo nella qualità di “testimone assistito”.
Già dall’udienza preliminare che si svolse diversi anni or sono si intuì, infatti, che la mole di documenti presentati dal collegio difensivo aveva sminato l’accusa.
LA STORIA
L’accusa sosteneva, erroneamente, che il processo a carico di Michele De Siano che si era celebrato ad Ischia e di cui Capuano era stato giudice, avesse avuto una gestione a favore dei componenti della famiglia De Siano. All’esito del processo si è stabilito che quel procedimento penale aveva visto Michele De Siano e la madre essere destinatari di una condanna penale e di una sonora sanzione pecuniaria con pagamento di decine di migliaia di euro. Una sentenza che, nel corso del suo cammino, fu anche annullata dalla Suprema Corte di Cassazione perché definita “troppo esosa” e che fu rimessa all’attenzione di altro giudicante con l’obbligo di rivedere al ribasso le sanzioni pecuniarie
IL PROCESSO PER GLI SCARICHI
L’imputato De Siano era finito alla sbarra per la famosa vicenda che prendeva spunto da una indagine condotta dalla procura della Repubblica di Napoli a seguito di accertamenti eseguiti dal Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, che si interessarono soprattutto di come le diverse strutture alberghiere presenti a Lacco Ameno smaltissero le acque delle piscine, che per legge hanno l’obbligo di una depurazione con dei passaggi in alcuni filtri; fanghi delle terme che ogni struttura alberghiera possiede e le docce che i clienti utilizzavano dopo essere stati ben plasmati nel fango sulle parti del corpo. Un’azione molto tecnica e che vide un dibattimento molto serrato, particolare, anche per la presenza, guarda un po’, del pubblico ministero delle indagini, che raramente compare durante le udienze con i monocratici. Quello stesso pubblico ministero chiese anche la condanna detentiva per l’ex senatore della Repubblica Domenico De Siano, il quale era stato per un periodo abbastanza breve legale rappresentante della società che detiene il pacchetto di controllo dell’hotel San Montano. Per poi rinunciare a tale incombenza societaria trasferendo i poteri nelle mani della madre. Un lasso temporale abbastanza striminzito, da non giustificare la condanna. Sulla quale il giudice Capuano ha svolto una serie di considerazioni nel deposito delle motivazioni.
LE ACCUSE
L’accusa più complessa di corruzione in atti giudiziari, oggi completamente smontata, era quella in capo al solo Capuano e si legava proprio sulla sentenza del presunto inquinamento prodotto dagli alberghi del gruppo De Siano: «Perché, in qualità di giudice monocratico del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, avendo esercitato le sue funzioni giurisdizionali nel procedimento penale a carico di De Siano Domenico, De Siano Michele e Castagna Lucia, avente ad oggetto lo smaltimento dei fanghi dell’Hotel San Montano Resort spa di Lacco Ameno in Ischia, conclusosi con sentenza di assoluzione il 1 dicembre 2017 per il primo e con la condanna alla sola pena dell’ammenda per gli altri due imputati (scarico in pubblica fognatura di acque reflue) riceveva: 1) l’utilità per sé, i propri familiari e i propri ospiti, dell’alloggio, ristorazione e servizi gratuiti presso il medesimo hotel (nelle date: 9-11 giugno 2018; 20-23 giugno 2019 e 28-30 giugno 2019), concessigli da De Siano Michele (amministratore unico della Dear srl – socio unico della San Montano srl, nonché gestore dell’hotel) e da Orlacchio Maurizio (direttore dell’hotel); tanto in corrispettivo della suddetta pronuncia in favore e, quanto all’Orlacchio, in corrispettivo della mancata trasmissione degli atti dell’ufficio del pubblico ministero, benché nel corso dell’udienza del 2 dicembre 2016 avesse il giudice Capuano ravvisato indizi di reità nella deposizione del teste Orlacchio; 2) promessa di assunzione (da esso Capuano sollecitata) del proprio cognato Salvati Raffaele nella predetta struttura alberghiera».
La seconda accusa naufragata nel processo di ieri mattina, di corruzione in atti giudiziari e istigazione alla corruzione, è tutta addebitata al duo Michele De Siano e Maurizio Orlacchio. Costoro nelle rispettive qualità avrebbero offerto dei week-end gratuiti al Capuano e ai suoi familiari e tale magnanimità sarebbe legata, secondo la Procura, a quella famosa sentenza, peraltro di condanna per due dei tre De Siano: «Perché, in concorso tra di loro e nelle loro su esposte qualità, rispettivamente di proprietario-gestore e di direttore dell’Hotel San Montano, offrivano gratuitamente le suddette utilità quale corrispettivo della favorevole sentenza ottenuta».
IL CASO “CASSAZIONE”
Sulla decisione del giudice Liso, tuttavia, crediamo abbia avuto il suo ruolo anche la pronuncia della Corte di Cassazione di cui vi abbiamo già anticipato. La Suprema Corte, valutando la sentenza di condanna emessa da Capuano nei confronti di De Siano, emette anche un giudizio proprio sull’operato dell’ex giudice Ischia. Un giudicante troppo severo rispetto a ciò che disciplinano le norme. Scrive per l’appunto il supremo giudice: «… unificati dal vincolo della continuazione, quanto a Castagna Lucia – perché quale legale rappresentante dell’Albergo San Montano scaricava nella pubblica fognatura le acque reflue industriali provenienti dal predetto albergo in assenza di autorizzazione – e, quanto a De Siano Michele, – perché quale amministratore unico della DMF s.p.a., titolare della gestione dell’albergo La Reginella, scaricava nella pubblica fognatura le acque reflue industriali provenienti dal predetto albergo in assenza di autorizzazione nonché, nelle medesime qualità di rappresentante legale della DMF s.p.a., titolare della gestione dell’albergo Villa Svizzera, smaltiva illecitamente rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi». «Sotto tale aspetto la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alle condotte di scarico delle acque termali, perché il fatto non è previsto dalla legge, e con riguardo ai soli capi b) e g), per i quali è intervenuta condanna anche per reati riguardanti la gestione di acque termali, alla luce della contestazione ivi riportata facente espresso riferimento allo scarico di “reflui provenienti dagli stabilimenti idropinici ed idrotermali”».
Entrando nel merito: «Quanto alle prime, deve ribadirsi come esse non risultino assimilate alle acque domestiche. Si è in proposito evidenziato, con riguardo a tali due ultimi testi normativi, come essi abbiano espressamente escluso – pur nell’ambito della determinazione di caratteristiche di reflui “equivalenti” alle acque domestiche – le acque “di contro-lavaggio dei filtri non preventivamente trattate”. Operando al di fuori di un’astratta ipotesi di assimilazione alle acque domestiche (in ogni caso richiedente oltre al previo trattamento ulteriori condizioni in termini dì rispetto di parametri e di riversamento in adeguati impianti di depurazione), tali ultimi reflui, provenendo da impianti, quali quelli collocati negli alberghi termali in contestazione, “in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento” devono qualificarsi come di tipo industriale, con rilevanza penale del mancato rispetto del regime autorizzatorio di riferimento».