“Mangiate quello che volete a Pasqua, il sacrificio non è nello stomaco, ma nel cuore. Si astengono dal mangiare carne, ma non parlano con i loro fratelli o familiari, non vanno a trovare i loro genitori o li pesa curare, non condividono il loro cibo con i bisognosi, vietano ai loro figli di vedere il loro papà, vietano ai nonni di vedere i loro nipoti, criticano la vita degli altri, picchiano la moglie, ecc.. Un buon arrosto o uno stufato di carne non ti renderà una persona cattiva, come nemmeno un filetto di pesce ti renderà santo. Meglio cercare di avere una relazione più profonda con Dio attraverso un trattamento migliore con il prossimo. Siamo meno superbi e più umili di cuore.”
Vengo fuori da una settimana particolarmente provante e, grazie a Dio, non certo per motivi di salute. Tuttavia le parole di Papa Francesco, concettualmente sane se non fosse per il suo solito eccesso di qualunquismo tipicamente gesuita nel parlare troppo spesso alla pancia delle persone, avrebbero dovuto toccarmi oltre il dovuto, considerato che sono uno di quelli che osserva sia il digiuno del Mercoledì delle Ceneri sia quello del Venerdì Santo e, nei venerdì di quaresima, evito di mangiare carne. Specialmente nel Venerdì Santo, la pratica del digiuno è un modo come un altro per comprendere e rispettare il sacrificio di Gesù fatto uomo, vivendolo con la giusta intensità spirituale accompagnata alla più elementare (ma non per questo agevole) delle privazioni. Concordo: non saranno certo un paio di giorni l’anno di sola acqua a salvare un uomo dalle sue colpe, rendendolo un buon cristiano. Ma perché calpestare impietosamente una pratica comunque scomoda ma che, per quelli come me, rappresenta una manifestazione di grande rispetto e, per certi versi, di concentrazione verso una giornata che per noi cattolici va ben oltre il simbolismo e le apparenze?
Non va dimenticato, oltretutto, che oggigiorno andare d’accordo col prossimo è diventata un’autentica rarità. Un concetto, questo, che vale tanto nell’ambito lavorativo quanto nelle relazioni in genere, siano esse familiari o amicali. Si dice in dialetto, ad esempio, che “’u sangue se màzzeca ma nun se sputa”, ma ci sono circostanze in cui quel sangue s’imputridisce talmente da costringerti ad attuare tutto quanto necessario alla tutela della tua tranquillità e di quella della tua famiglia. E come sono solito scrivere da queste colonne, vivere ad Ischia amplifica esponenzialmente gli effetti di questo vero e proprio disagio sociale.
Ieri, sabato santo, sono uscito molto presto di casa e, insieme al mio Trump, ho girato per oltre un’ora e mezzo il bosco del Cretaio, lasciando che nulla oltre qualche panorama mozzafiato e il respiro di quell’aria incontaminata intralciasse il nostro cammino solitario e silenzioso. E pensando proprio al Risorto che, oggi, nel terzo giorno, torna a dare speranza a questa umanità smarrita, ho provato a chiedermi fino a che punto valga ancora la pena di insistere e resistere a vivere in questa realtà locale naturalmente meravigliosa ma mentalmente atrofizzata e appiattita sull’incompetenza, sulla presunzione, sull’egoismo e sulla tutela dei propri interessi a discapito di chiunque.
Amare il prossimo e, soprattutto, perdonarlo, di questi tempi più che mai rappresenta senza dubbio la pratica più difficile per chi si prefigge di vivere rispettando i dettami della fede cristiana. Ma chi, come me, è ben consapevole della sua imperfezione, ritrova proprio nei momenti di preghiera e nelle rare occasioni di sacrificio quel pizzico di umiltà e profondità proprio di un rapporto intimistico con Dio, tanto caro a Papa Ratzinger, che fa benissimo all’anima, al corpo e alla mente.
Buona Pasqua e pace a tutti, amici Lettori, nello stomaco e nel cuore!
Pasqua, digiuno e dintorni | #4WD

Daily 4ward di Davide Conte del 20 aprile 2025