Mi fanno sorridere quelli che sfidano il mio amico e direttore Gaetano Di Meglio sul piano della comunicazione. Nessuno di noi è infallibile, men che meno lui che non viene certo da un’estrazione professionale giornalistica, pur avendola ricevuta in eredità -per così dire- induttiva e avendola sviluppata molto meglio di tanti soloni. Ma metterne alla prova la capacità di distinguere la farina del sacco di questo o quel personaggio politico, improvvisamente affacciatosi sui social con un presenzialismo e, soprattutto, un lessico del tutto inconsueto, è opera di spin manager ridicoli e inadatti sia al ruolo sia al confronto con chi, evidentemente, ne sa molto più di loro.

La colpa di tutto questo, ahimè, ce l’ha Giacomo Pascale: il mio amico Sindaco di Lacco Ameno ha vinto le elezioni con una comunicazione su Facebook e Instagram che lo ha catapultato in rete con una costanza quadruplicata rispetto alle sue abitudini. Ma chi pensa che il successo di Giacomo sia stato dovuto a questo si illude: così come per Peppino Brandi nel 2002, quando sconfisse al ballottaggio per dieci voti con il suo 42,5% il 57,5% dell’apparentamento palese di Gino Di Meglio e Gigiotto Telese, anche il Barone ha cavalcato una gran voglia di cambiamento che serpeggiava in gran silenzio in quel del Fungo, incarnandola nella sua candidatura come una sorta di novello Robin Hood. Purtroppo, per molti politici ancora in carica, quella strategia di comunicazione ne ha rappresentato il vero talismano e, pertanto, ne hanno seguito l’esempio, in molti casi affidandosi agli stessi “scienziati” che si sono ascritti i meriti della vittoria di Pascale.

Peccato che la gente non sia poi così stupida. Molto presto, la maggior parte di questi signori che fanno di tutto, per interposta persona, pur di far credere di aver risciacquato con successo i propri panni nell’Arno della rete, si renderanno conto che così tanti post non portano altrettanti voti. E men che meno istruzione.