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giovedì, Marzo 28, 2024

Ogni altare ha la sua croce

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Se l’Europa non si fa i fatti suoi sulla Siria, apro le frontiere e faccio entrare tre milioni e mezzo di profughi a casa vostra”. Questo, in sintesi, il pensiero del presidente Erdogan dopo lo stato di cose venutosi a creare a seguito del recente attacco armato che sta tenendo altissima la tensione e l’attenzione di tutto il mondo verso le scelte strategiche della Turchia.

Una possibile tragedia, più che una minaccia, da parte di un leader tanto sconsiderato quanto determinato a difendere oltre ogni livello diplomatico i propri confini, consolidando una supremazia sui curdi che, al momento, appare irrinunciabile da parte sua.

Non so quanti italiani (e, men che meno, quanti ischitani) abbiano realmente riflettuto sull’entità di un rischio del genere. Se oggi le frontiere dei principali paesi europei utilizzati come gateway degli immigrati sono letteralmente presidiate dalle forze di polizia e quelli costieri presi d’assalto da imbarcazioni che, a vario titolo, pretendono di sbarcarvi i profughi che trasportano (ammesso che non siano morti o dispersi nel corso della traversata), rappresentano un problema ormai ingestibile per l’intera Unione Europea, proviamo ad immaginare il vero e proprio trauma sociale nel subire un invasione che passerebbe dalle circa cento unità medie per volta ad un flusso letteralmente indiscriminato proveniente da un unico versante del vecchio continente e, come se non bastasse, composto da “alghe e pesci”, cioè tanta povera gente innocente ma anche tantissimi potenziali delinquenti e terroristi.

Nessun muro o blocco potrebbe mai reggere un’onda d’urto del genere! Ma soprattutto, nessun paese sarebbe in grado di far fronte in modo concreto e adeguato alle gravissime conseguenze che ne deriverebbero.
Pensate solo per un attimo se l’isola d’Ischia fosse collegata alla terraferma da un ponte e, da un momento all’altro, un vero e proprio fiume umano (con ogni debita proporzione, ovviamente) vi affluisse gradualmente, invadendo porti, strade, spiagge, centri polifunzionali, impianti sportivi, case sfitte, sagrati, androni e gallerie. Un’apocalisse, non solo per i sindaci e la loro scarsità di risorse e -in alcuni casi- capacità di gestione, ma per tutta la nostra Comunità.

La lucida follia di Erdogan è stata in grado, con una precisa strategia di comunicazione, di suscitare forti dubbi sull’opportunità o meno di giungere con lui ad un braccio di ferro, tant’è che anche il Presidente degli Stati Uniti (che di certo non è uno che le manda a dire), in una prima reazione, si è limitato a minacciare “gravissime conseguenze economiche per la Turchia”, tenendosi comunque lontano dall’annunciare possibili interventi militari, almeno nell’immediato. E al di là delle solite dichiarazioni di prammatica, anche gli altri principali leader mondiali non hanno assunto al momento alcun genere di presa di posizione il cui tono potesse in qualche modo comportare il superamento di una soglia di rischio moderato.

Tutto sommato, un tatticismo politico indispensabile in casi del genere.
Diciamo che anche i più inclini all’antipolitica, quelli che solitamente vedono scaturire il proprio odio verso chi li governa dal più naturale senso d’invidia per poteri e privilegi che, nel loro piccolo, non disdegnerebbero affatto, in casi come questo proprio non vorrebbero trovarsi al posto di chi è chiamato, in un modo o nell’altro, a gestire relazioni diplomatiche in cui il minimo errore strategico-comunicativo potrebbe comportare responsabilità gravissime e danni irreparabili.

E val bene anche ricordare che proprio questo genere di banco di prova mette in luce con gran chiarezza le reali capacità degli “statisti” impegnati, con il loro contributo di varia entità, a far rientrare nel migliore dei modi il degenerare di relazioni, interessi, alleanze e convergenze; situazioni, queste, in cui ci si sente, inevitabilmente, elefanti in una cristalleria, ma che gioco forza finiscono col compromettere l’incolumità di tante, tante persone. Pensate alle difficoltà enormi -tornando ancora alla realtà locale- incontrate dai sei sindaci della nostra isola nel provare a sintonizzarsi tra loro per le rispettive programmazioni territoriali, le loro agende politiche, i loro obiettivi per migliorare il loro Comune e l’intera comunità: molto spesso, il tutto si limita ad un mero esercizio di stile (sic!) che, però, non porta a casa alcun risultato concreto, perché gli interessi di campanile prendono sistematicamente il sopravvento, lasciando conseguirne il solito cetriolo che, come si suol dire, finisce sempre a tergo dell’ortolano (in questo caso, il Paese e il suo bene) mandando a farsi benedire ogni altro nobile intento. Figuriamoci quando, tra i paesi più potenti, diventa indifferibile non tanto gestire il raid armato lanciato da Erdogan verso la Siria in quanto tale, bensì le conseguenze che potrebbero scaturirne in termini di tutela di interessi a dir poco paurosi, come la vendita di armamenti, i rapporti con i paesi produttori di petrolio e, perché no, il filo sottile che collega il filone terroristico jihadista con il resto del mondo e le onerose contropartite che servono per sopirlo.

Si tratta di livelli in cui un comune mortale come me e tanti di Voi, amici Lettori, probabilmente non saprebbe neppure da dove cominciare. A meno di riuscire ad improvvisarsi da un giorno all’altro, senza alcuna particolare competenza e grazie proprio all’antipolitica (come un Di Maio qualsiasi, per intenderci), diventando d’emblée ministro di spicco di un paese UE e gestore di crisi industriali, politiche e diplomatiche di caratura anche sovranazionale, con risultati più che discutibili. Peccato che la sete di potere e poltrone annienti la capacità del singolo di riconoscere la propria inettitudine in un determinato ruolo: se così non fosse, vivremmo senz’altro in un mondo migliore e, perché no, in un’isola migliore. Perché, come si suol dire, “figlie piccerille guaie piccerille, figlie gruosse guaie gruosse”, ovvero: ogni altare ha la sua croce. Ergo, basta già il nostro piccolo, ben pregno di uomini piccoli piccoli che si sentono grandi grandi, per renderci fin troppo “’ncruciate”!

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