La POLPA E L’OSSO di Francesco Rispoli | Beati i miti perché erediteranno la terra! (Matteo 5,5)
L’allodola del deserto prospera negli aridi habitat del Nord Africa e del Medio Oriente. È classificata “a rischio minimo” dalla IUCN Red List, ma affronta diverse minacce: la perdita e degradazione dell’habitat, la caccia e il disturbo umano, i cambiamenti climatici, che alterano le condizioni ambientali e la disponibilità di risorse alimentari e di acqua.
La sua presenza nei deserti ci ricorda la straordinaria diversità della vita e le meraviglie dell’evoluzione che permettono la sopravvivenza e la riproduzione in ambienti inospitali e ostili. Il piumaggio mimetico le permette di confondersi con la sabbia dei deserti e riflettere il calore del sole, riducendone l’assorbimento e mantenendo una temperatura corporea equilibrata. Le piume, compatte e aderenti al corpo, creano un’ulteriore barriera contro il calore eccessivo e la perdita d’acqua.
È assai resistente alla scarsità di acqua, grazie alla capacità di ottenere l’umidità necessaria dal cibo e di tollerare periodi prolungati di disidratazione senza accesso diretto all’acqua. Nonostante le piccole dimensioni è un esempio straordinario di adattamento all’ambiente estremo del deserto. Ha sviluppato mezzi fisiologici unici per conservare l’acqua.
Cosa ci insegna l’allodola? Oggi all’emergenza climatica rispondiamo con strategie di resilienza: mitigazione e adattamento ne sono le parole chiave. L’adattamento è il mantra sempre più diffuso.
Per i neoliberisti noi non dovremmo più essere “le creature ma i creatori dell’ambiente” (W. Lippman, A Preface to Politic, 1913. Ed it. Una introduzione alla politica, 2013).
Noi dobbiamo invece riflettere sulle “cause vere” dello sconvolgimento climatico – di cui proprio le politiche neoliberiste sono in massima parte responsabili – ed accogliere con più consapevolezza e attenzione le voci di dissenso all’imperativo dell’adattamento, come quella di Barbara Stiegler (“Il faut s’adapter”. Sur un nouveau imperatif politique, 2019)? E gridare, perfino, con Maria Kaika, ‘Don’t call me resilient again!’ (2017).
Arroganti nuovi Dei distruggeremo il mondo presumendo di ricostruirlo a nostra immagine e somiglianza? O ricorderemo, umilmente, le parole delle Beatitudini e, tra queste, quelle che ci indicano la mitezza come suprema potenza?