Caro Gianni,
ti ringrazio per la lunga e colorita lettera: raramente capita di leggere un testo che, nel tentativo di smentire un concetto, finisce col confermarlo parola per parola. Hai voluto ironizzare sul mio riferimento al “gregge”, ma poi nei fatti non sei riuscito in alcun modo a smentire che molti dei partecipanti alla manifestazione ProPal di Ischia non sanno neppure perché erano in piazza quel giorno o, quanto meno, erano lì perché oggi essere ProPal “si porta”. Mi permetto di chiederti: se non è questo un gregge, cos’è?
Vedi, il punto non è chi scende in piazza — il diritto a farlo è sacrosanto — ma il modo in cui lo si fa: quando la folla diventa eco e la riflessione scompare sotto lo slogan o la bandiera del momento, la libertà di pensiero si spegne e resta solo il rumore.
E, purtroppo, è quello che accade ogni volta che, in nome della “pace”, si manifesta non per la pace, ma contro Israele. Non è un dettaglio semantico: è la differenza tra l’essere pacifisti e l’essere faziosi. Faziosi, come quelli che in tante città d’Italia hanno seminato terrore e violenza manifestando… per la pace e cacciando via, ad esempio, chi voleva partecipare con la bandiera ucraina. A proposito, ma non c’è guerra anche lì? O è passata di moda?
Hai scritto che il vento cambia “per difendere i diritti di un popolo”. Ma se quel vento spinge all’odio, all’antisemitismo, all’emarginazione di chi dissente, allora non è più un vento di libertà: è un tornado ideologico che, come vedi, non ha dato frutti neppure nelle ultime due elezioni regionali. E chi, come te, ha organizzato un evento lanciando su WhatsApp l’appello ai soli “giovani più sensibili”, ha contribuito a un gesto di gravità assoluta. Perché significa decidere a priori chi ha diritto di pensare e chi no. È il principio dell’educazione selettiva, della cultura “ad escludendum”. E questo, mi spiace dirtelo, non è progresso: è intolleranza.
Ti sei divertito a chiamarmi “professore”, ma sai bene che non lo sono. Tuttavia, quanto a comunicazione, potrei davvero darti qualche lezione. Per esempio: l’ironia funziona quando è onesta, non quando serve a coprire un messaggio aggressivo. Non c’è nulla di divertente nel banalizzare la sofferenza di chi vive la guerra. Così come non è onesto scambiare ogni critica a una piazza ideologizzata per un sostegno cieco a un governo o a un leader politico. Hai messo insieme Netanyahu, Meloni, Salvini, Trump e pure il ponte sullo Stretto (hai dimenticato il compianto Berlusconi), come se bastasse unire i nomi per costruire un nemico unico da odiare. È un vecchio vizio di voi comunisti, Gianni: quando mancano gli argomenti, si invoca la caricatura del “nemico globale”. Ma non funziona più da un bel po’!
E poi, tra noi, trovo curioso che proprio tu — che predichi libertà e pluralismo e all’insegna di falce e martello ancora sostieni l’astensione dal voto a ogni competizione elettorale con tanto di manifesti— perda tanto tempo a delegittimare chi non la pensa come te. È la contraddizione più grande: difendere la libertà di opinione solo finché coincide con la propria.
Mi dai del “galletto”. Ti ringrazio: in fondo il gallo annuncia il giorno, sveglia chi dorme e ricorda che il buio non dura per sempre. Tu, invece, sembri affezionato alla notte delle ideologie, a quel tempo in cui si divideva il mondo tra compagni e nemici, tra buoni e cattivi. Io preferisco la luce del dubbio, la fatica del pensiero, la libertà di non appartenere.
E allora sì, continuerò a “cantare”, anche se il mio canto non dovesse piacere a tutti. Ma sappi che non lo faccio per vanità o per farmi notare — come i personaggi in cerca d’autore, talvolta pensionati annoiati, tentano di fare ad ogni occasione utile— bensì per difendere il diritto di pensare senza tessere, senza simboli e senza padroni. Perché, caro Gianni, chi sceglie di ragionare da solo non è un caprone, è semplicemente un uomo libero e rispettabile, anche se non fa parte del gregge.
Un saluto cordiale. Uno solo, però.
DAVIDE









