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mercoledì, Aprile 24, 2024

Massimo Colella: “In memoria di Giuseppe Magaldi”

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Massimo Colella | Com’è possibile che sia accaduto tutto questo? Com’è possibile?

La mente fervida del Cap. Giuseppe Magaldi, atrocemente bloccata da un’inaccettabile morte prematura, sta ancora progettando decine e decine di eventi culturali, sta ancora accarezzando il sogno di pubblicare una raccolta di racconti e chissà cos’altro… Ma non può. E la mia mente avverte l’amaro brivido di questa vita ingiustamente spezzata. Segue con empatia il tratto finale dell’esistenza di Magaldi: la fiducia, le speranze di salvezza evidentemente mal riposte, il sonno artificiale nella solitudine di camere ospedaliere non lambite dall’affetto dei cari e dei conoscenti a causa delle misure restrittive di questi mesi… Sono convinto che sia andato incontro alla morte senza averne alcuna reale contezza, sicuro com’era – prima di essere sedato – di risvegliarsi vivo e di poter raccontare con il sorriso del dopo-tempesta le passate traversie. Veder cancellati così, con un colpo di spugna, gli ulteriori lunghissimi anni in cui Magaldi poteva continuare ad essere in forma attiva e propositiva un faro di cultura nell’isola d’Ischia, desta in me un profondo (e motivato) risentimento. Occorre riconoscere senza infingimenti che dipingere Giuseppe Magaldi in poche parole è impresa assai difficile: le parole non possono restituircelo, né possono tratteggiarlo per chi non l’ha conosciuto e per chi – tra le generazioni future – purtroppo non potrà conoscerlo (ed è questa, tra le tante, una delle spine più pungenti che lacerano il cuore), a dispetto di qualsiasi cerimonia celebrativa, di qualsiasi iniziativa memoriale o editoriale. E non collegherei tutto allo sfortunato incidente di gioventù, disegnando chissà quali percorsi di coincidenze. Né tanto meno alle linee di un insondabile destino: Dio coltiva – nei giardini del finito e dell’infinito – il nostro bene e non il nostro male. Si pensi, piuttosto, ad utilizzare correttamente il nostro libero arbitrio, ad assumersi ciascuno le proprie responsabilità nei propri ambiti di competenza nel rispetto della persona umana (soprattutto quando è in gioco la salute fisica), ad evitare l’errore, l’indifferenza, l’abbaglio di valutazione, l’assenza di empatia, le logiche meramente aziendali, la subcultura dello scarto, la preferenza accordata al denaro e agli ‘status symbol’… Giuseppe Magaldi era solare, vulcanico, creativo, tenace, coraggioso, resiliente. Dicevo che le parole non possono restituircelo: no, non possono. Magaldi era anche la sua corporeità (ed è impossibile restituire una corporeità): i valori carnali (nelle sue molteplici sfumature, anche in quelle gastronomiche) e quelli spirituali (tra generosità, cultura e affabilità) si abbinavano in lui con rara perfezione. Era la sua vita che scorreva nel suo corpo-mente, nella sua mente-corpo, nella curiosità con cui positivamente divorava (e accoglieva) il mondo, nel guizzo veloce con cui si muoveva nonostante la prima tremenda ‘ferita’ giovanile (brillantemente superata e ai miei occhi, agli occhi di tanti, assolutamente invisibile). Tra i progetti in cantiere, avevamo parlato tempo fa di una possibile tavola rotonda sul genio di Michelangelo Buonarroti: io avrei proposto una mia analisi critico-letteraria di un suo madrigale, Magaldi sognava di invitare anche qualche altro esperto per coprire tutti i versanti creativi dell’illustre personaggio cinquecentesco. Non se ne è potuto far nulla. Mi sembra una metafora per parlare di lui: il progetto non portato a termine per quest’ingiusta resecazione del tempo esistenziale disponibile e – soprattutto – la molteplicità degli interessi di Magaldi, che per l’appunto si riannoda alla multiforme densità culturale del Rinascimento italiano, tra Michelangelo e Leonardo. Magaldi diceva che la sua vita era sempre stata un “ripiego”: l’incidente non gli aveva consentito di vivere il mare come avrebbe voluto, di dar seguito ai suoi studi con il lavoro marittimo. E tendeva ad applicare questo motto anche alle successive delusioni esistenziali. Era il tarlo della sua coscienza a farlo parlare così. Ma dall’esterno era evidente che non di ripiego si trattava, ma di una vocazione che nell’ostacolo (e nell’abnegazione a superarlo) aveva trovato la sua chiave di volta. E così, dopo aver dato vita – insieme ad altri padri fondatori, tra cui il Presidente Prof. Mario Miragliuolo – all’Associazione “Giochi di Natale” e ad altre realtà associative impegnate nel sociale (ovviamente non pretendo di essere esaustivo), ecco sorgere la sua impresa più bella, quella che connota maggiormente il suo profilo: la fondazione, assieme all’inseparabile amico Cap. Luigi Castaldi, e la presidenza dell’Associazione culturale “Radici” e, con esse, l’ottenimento, dal 2013, dell’affidamento – da parte del Comune di Forio – del Torrione, gioiello imperituro dell’isola che è tornato a risplendere proprio grazie all’abnorme impegno di Magaldi. Dopo anni di abbandono e degrado, Magaldi fa del Torrione, da lui e dai suoi collaboratori materialmente riassettato, un centro culturale di altissima levatura, organizzando centinaia di eventi e iniziative in pochi anni (mostre personali e collettive, esposizioni di costumi d’opera, presentazioni di libri, corsi di scrittura creativa, etc.), sempre in un’ottica di servizio culturale, di ospitalità, di amicizia, di condivisione, di generosità. Gradualmente lo spirito dello scultore-poeta Giovanni Maltese (1852-1913) si impossessa, per così dire, di Magaldi, che si interessa alla sua opera artistica con sempre maggiore vivacità e competenza (e arriva ad istituire una commemorazione presso la sua tomba e quella della moglie pittrice Fanny Jane Fayrer nel giorno del suo anniversario di morte). Diventa, assieme a Castaldi, un cicerone perfetto per il Torrione e dalla finestra della sala superiore, mentre ammira e fa ammirare il mare e le tinte sublimi del paesaggio foriano, illustra con stupore pascolianamente fanciullesco storie antiche di pirateria e recita con passione le poesie in vernacolo di Maltese e di Giovanni Verde (1880-1956). Decidiamo di dedicare un evento a Maltese, in particolare alla raccolta poetica “Ncrocchie” (1904), di cui propongo una fitta relazione storico-letteraria: attorno ad essa imbastiamo una serata culturale (21 agosto 2014), da lui presieduta e coordinata, con la partecipazione dello storico Avv. Nino d’Ambra. Ricordo, tra l’altro, l’impegno minuzioso, se non maniacale, di Magaldi ad elaborare la scaletta e il tempo che abbiamo impiegato a progettare e sistemare la locandina nello studiolo-‘buen retiro’ della sua casa con “oblò” sul mare (come scrive in una poesia l’amica Italia De Maria, che stava curando assieme a lui l’‘editing’ dei suoi racconti)… Non so come facesse a far convivere quest’ansia di perfezionismo con la perfetta tranquillità e solarità che mostrava di avere nel rapporto con gli altri, con quelle doti, cioè, di “leggerezza” di calviniana memoria. Altro che ripiego! Aveva trovato la sua dimensione, quella a lui più autenticamente congeniale, divenendo sempre più esperto nel coordinamento delle presentazioni di libri, nella turbinosa e ad un tempo impeccabile organizzazione di eventi culturali di altissimo livello e spessore, intessendo peraltro una rete di relazioni umane che andava ben al di là del perimetro dell’isola d’Ischia (un circuito vastissimo di artisti, scrittori, organizzatori, etc., da cui ora provengono una miriade di increduli messaggi di cordoglio). Gli eventi si concludevano sempre con ricchi e deliziosi buffet, spesso preparati da lui: era il segno tangibile, ‘carnale’, di una generosità che cercava nella convivialità momenti sempre più copiosi e autentici di comunicazione, di interazione… Se avesse potuto, avrebbe offerto anche il suo cuore Magaldi, e in un certo senso lo faceva, eccome se lo faceva! Come l’usignolo della fiaba di Oscar Wilde, Magaldi avrebbe offerto la sua vita pur di continuare ad offrire fino all’ultimo il suo canto, l’inno della sua pura amicizia, della fiducia che infondeva in tutti di fronte ai problemi e agli ostacoli, piccoli e grandi, della vita… Forse la prima volta che lo incontrai fu ad uno dei periodici incontri del Centro Artistico Culturale Ischia presso la sala “Eurythmia” delle Scuole Medie di Barano, coordinati dal Prof. Michele Conte: anche lì, nelle varie riunioni, si distingueva per il suo acume sornione, per le sue battute pungenti, per le sue poesie sognanti o mordaci (volte talora a fornire ritratti caricaturali di amici o conoscenti). Ma era nel luogo-simbolo del Torrione che esprimeva appieno se stesso. Con generosità e slancio sincero spinse mia madre Angela Barnaba a presentare il suo primo libro, “Sospesi tra infiniti”, presso il magnifico terrazzo del monumento foriano: per superare le riluttanze iniziali, Magaldi si inventò una serata ‘condivisa’ con un’altra scrittrice (3 luglio 2018), centrando – ancora una volta – perfettamente l’obiettivo. Anche in quel caso, grandissima serietà negli incontri propedeutici, ma sempre nel segno di un’amabile condivisione spirituale! L’ultimo evento realizzato insieme risale al 27 settembre 2019, con la presentazione del secondo libro, “Il vento delle cose”. Era la generosità che muoveva il corpo-mente, la mente-corpo di Magaldi: la generosità, e la curiosità.
La Preside Angela Procaccini mi ha raccontato dell’entusiasmo con cui Magaldi a gennaio scorso l’ha contattata per poter partecipare ad un evento culturale, incentrato su D’Annunzio e Duse, nel suo salotto a Napoli (di cui aveva letto casualmente su un quotidiano partenopeo), dell’entusiasmo e della vitalità con cui partecipò al ‘recital’ in questione per poi tornare in serata a Ischia: la Procaccini ne rimase profondamente colpita. Del resto, la conversazione con Magaldi era così: era tutta un fiorire di progetti meravigliosi, di nuove idee e, ad un tempo, di ricordi: le trasferte in terraferma, spesso in sinergia con l’amico Castaldi (anche ad esempio la partecipazione ad un evento culturale in Parlamento), si stampavano indelebilmente nella sua memoria e, di rimando, nell’interlocutore grazie ad una piacevolissima narrazione sempre mossa ed affabile. Tutti lo ricordano affranti, anche i ragazzi che ha seguito – fino a poco prima della morte – negli incontri pomeridiani di ripetizione delle materie scolastiche.
Il dialogo era la sua cifra: in uno dei nostri ultimi incontri si ferma all’ombra di un lampione nei pressi di Piazza Municipio a Forio, prende il suo inseparabile zaino, ne trae fuori qualche foglio e legge tre suoi racconti di recente fattura. Chi altro lo farebbe? Quel bisogno di essere ascoltato, di chiedere implicitamente un parere, mi strazia il cuore, a ripensarci adesso.
Rimpiango di non aver partecipato alla totalità degli eventi culturali organizzati da Magaldi al Torrione: sembrava una consuetudine che dovesse durare all’infinito, ma purtroppo non lo era. Resta il compito, per i singoli e le associazioni che lo hanno conosciuto e apprezzato, di preservare la memoria del profilo e dell’opera di Magaldi, attraverso la pubblicazione delle sue poesie, dei suoi racconti, dei suoi monologhi (si ricordi il recente successo a Roma del monologo sull’Olocausto, interpretato da Pierpaolo Mandl) e dei suoi interventi di vario tipo e la conservazione del materiale audio-video-fotografico che lo riguarda. Ovviamente questo non basta, non può bastare, questo è solo il minimo segnale di un’amicizia che vorrebbe (ma forse non può) scavalcare anche i muri taglienti della morte, sottraendolo ai gorghi rapinosi del tempo e dell’oblio… Ma cosa fare? Resta l’atroce ferita, assieme al monito affinché non si verifichino più scomparse tanto ingiuste e alla gioia, ora dolceamara, di aver conosciuto non solo e non tanto una persona di rarissima sensibilità, quanto piuttosto quel diadema cangiante che risponde (sì, ‘risponde’, al tempo presente, ancora e per sempre) al nome di Giuseppe Magaldi.

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