Non starò certo a tediarVi sulle notizie biografiche del nuovo Papa, perché di sicuro le avrete attinte a piene mani a partire da ieri sera. Ogni dettaglio sul passato, sulla formazione e sul profilo del Cardinale Robert Francis Prevost, oggi Papa Leone XIV, è già stato dissezionato con cura. E non mi permetto ancora di pronunciarmi sul suo conto, ma ho apprezzato la piacevole delicatezza dell’impatto minimalista che ha scelto di dare alla sua prima apparizione dal balcone centrale di Piazza San Pietro. Un’uscita sobria, priva di gesti teatrali o proclami enfatici, che ha voluto trasmettere fin da subito l’essenza di un pontificato che comincia più radicato nel silenzio che nell’esibizione.
Mi appassiona di più, però, soffermarmi su ciò che questa elezione rappresenta in termini di svolta storica. A ben vedere, i cardinali avevano dinanzi a sé tre sentieri simbolici. Il primo: un papa under 65, che avrebbe segnato un cambio generazionale, ma che era a mio avviso improbabile, poiché avrebbe precluso a troppi colleghi la partecipazione a futuri conclavi. Il secondo: il primo papa africano, scelta dirompente ma ancora una volta rimandata, segno che una certa prudenza – o forse una certa lentezza culturale, quasi razzista – continua a frenare la Chiesa universale. Il terzo: il primo papa statunitense. Eccoci, dulcis in fundo! La scelta è caduta proprio lì.
A questo punto lasciatemi avanzare un’opinione personale, che certamente susciterà discussione. Non trovate singolare la serie di eventi che hanno preceduto questa elezione? L’auspicio del presidente americano Trump, espresso pubblicamente durante la sua visita a Roma per i funerali di Papa Francesco, circa l’elezione di un cardinale nordamericano; l’immagine generata dall’intelligenza artificiale che lo raffigurava in abiti papali, con tanto di gesto benedicente e aura ieratica, poi rilanciata perfino sui canali ufficiali della Casa Bianca; la battuta – ironica, ma neanche troppo – sul fatto che diventare Papa non gli sarebbe dispiaciuto. E infine, l’elezione di Prevost. Io non credo nelle coincidenze assolute. E per quanto Trump non abbia rivendicato, come spesso fa, alcuna “paternità” nell’evento, la sua approvazione è stata immediata, quasi compiaciuta. È lecito, quindi, interrogarsi sulla portata di certe pressioni indirette e su ciò che, a mio modesto avviso, è andato ben oltre un semplice nesso di casualità.
Sarà interessante, adesso, capire se Leone XIV intenderà proseguire nel solco pastorale tracciato da Francesco (che pure ha ringraziato nel suo indirizzo di saluto alla folla in San Pietro), forte di una visione spiritualmente densa influenzata dall’agostinismo, o se finirà, almeno in parte, per farsi interprete delle istanze del blocco conservatore che lo ha sostenuto. La cosiddetta “MAGA Catholics”, corrente reazionaria e filo-trumpiana, è da tempo attiva nei corridoi vaticani (non solo tra i cardinali americani) e ostile all’orizzonte inclusivo del pontificato precedente. E se è vero che Papa Francesco aveva nominato circa l’80% degli elettori del Conclave, resta il fatto che sia lecito porsi questo genere di interrogativi.
Ciononostante, voglio leggere in quelle prime parole pronunciate dal nuovo Papa (“La pace sia con tutti voi”) il segnale di un’intenzione profonda: non una formula di rito, ma l’eco di una Chiesa capace di farsi presente là dove le divisioni si acuiscono. Una Chiesa che, pur nel rispetto dei ruoli e della dottrina, non rinunci a parlare al cuore del mondo. E il mondo, oggi più che mai, ha fame di pace, di fraternità, di ascolto. Lo gridano i popoli in guerra, ma anche i singoli cittadini disillusi, le famiglie in difficoltà, i giovani senza prospettive. È lì che si gioca davvero la missione della Chiesa del futuro.
