La probabile quanto definitiva mancata intesa sull’election day regionale in Italia, a meno di colpi di scena, rappresenta l’ennesima dimostrazione di quanto il nostro sistema istituzionale sia ancora afflitto da una enorme frammentazione decisionale. L’incapacità di fissare una data unica, con diverse regioni pronte a procedere autonomamente, ognuna secondo i propri tempi e logiche, è una scelta che sfida il buon senso prima ancora che l’efficienza amministrativa. Eppure, non si tratta di un tema nuovo. L’idea di concentrare le consultazioni elettorali in un’unica giornata nasce proprio dalla volontà di razionalizzare le spese, semplificare l’organizzazione del voto e garantire ai cittadini un quadro politico più chiaro e leggibile. Ogni tornata separata moltiplica i costi, i disagi logistici, l’esposizione alla propaganda e, di fatto, anche il rischio di un crescente distacco tra elettori e istituzioni. Di fronte a questo scenario, appare quanto mai paradossale che, nonostante un governo centrale efficiente, compatto e riformista come quello guidato da Giorgia Meloni, si debba ancora assistere a una simile disorganicità. La Presidente del Consiglio ha più volte sottolineato l’urgenza di modernizzare lo Stato, semplificare la macchina amministrativa e restituire coerenza all’impianto istituzionale italiano. Tuttavia, episodi come questo segnalano quanto sia arduo il cammino delle riforme quando ci si scontra con la resistenza localistica, lo spirito di parte e l’inerzia di apparati burocratici che sembrano più interessati alla tutela del proprio perimetro di potere che al bene collettivo. Non si tratta soltanto di una questione tecnica. C’è un significato politico e culturale profondo dietro l’ostinazione di alcune regioni a voler fissare la data del voto in autonomia: una concezione arcaica dell’autonomia che spesso sfocia nel particolarismo, alimentando divisioni invece che coesione. È la stessa logica che, in altri contesti, impedisce processi di razionalizzazione che sarebbero del tutto naturali e auspicabili. Basti pensare al caso della nostra Ischia, divisa in sei comuni, che nonostante la vicinanza geografica e la condivisione di problemi identici (dal dissesto idrogeologico al turismo, dai trasporti alla sanità) non riesce ancora a compiere il salto verso la costituzione di un Comune Unico. Anche qui, come nel caso delle elezioni regionali, pesa la logica del campanile, la difesa delle poltrone, delle micro-strutture amministrative che, in realtà, si rivelano sempre più onerose e inadeguate a gestire le sfide del presente. Eppure, su Ischia, negli ultimi anni, è cresciuta una parte della popolazione fatta di cittadini, imprenditori, professionisti che guarda oltre i confini municipali e chiede semplificazione, efficienza, visione d’insieme. È la stessa spinta che dovrebbe animare il dibattito nazionale: quella che guarda al futuro, superando le barriere burocratiche e territoriali che hanno spesso bloccato lo sviluppo del Paese, ma che anche ad Ischia trova mille intoppi illogici e del tutto “paesani”.In conclusione, la mancanza di un election day condiviso, così come il sinora mancato comune unico ad Ischia, è molto più che un inciampo organizzativo. È il sintomo di una malattia strutturale: la tendenza italiana a procedere in ordine sparso, a complicare l’esistente invece di semplificarlo. Serve un cambio di passo deciso, serve il coraggio di portare avanti riforme anche impopolari ma necessarie, serve un patto di responsabilità tra governo centrale, regioni e cittadini. Solo così si potrà costruire uno Stato moderno, capace di rispondere ai bisogni reali del Paese. E magari anche realizzare quel Comune Unico a Ischia che molti ormai vedono non solo come un sogno, ma come uno dei tanti, necessari atti di giustizia amministrativa e razionalità istituzionale.
L’election day regionale come il Comune Unico | #4WD


Daily 4ward di Davide Conte del 5 luglio 2025