Sandra Malatesta | Ero una giovane adolescente quando, durante una delle belle feste organizzate da Franco Iacono nella ormai storica casa di via Zappino, io e Alfredo — allora mio fidanzato — conoscemmo Taki Calise. Era così bello e affascinante, con un sorriso luminoso. Ci fermammo a parlare, e subito gli chiesi se “Taki” fosse un diminutivo di qualche nome. Lui mi rispose di no, che quello era il suo vero nome e che era nato in Grecia.
Negli anni successivi, la nostra amicizia si consolidò. Ci parlò della sua passione per la ceramica, e così Taki divenne un nostro caro amico. Oggi mi piace scrivere di lui, perché, come con tanti e tante, abbiamo condiviso un pezzo di strada insieme.
Taki Calise era nato in Grecia il 27 dicembre 1947, da madre greca e padre italiano. Nel 1950, la famiglia decise di trasferirsi sulla nostra bella isola, e per un primo periodo si stabilì nel suggestivo borgo di Sant’Alessandro a Ischia, prima di trasferirsi definitivamente a Forio.
Dopo le scuole medie, Taki si iscrisse all’Istituto Nautico di Procida, dove si diplomò, e poi proseguì all’Università Navale, laureandosi in Economia Marittima. Era un giovane riservato, ma amico di molti e benvoluto da tutti. Quando cominciarono ad arrivare varie offerte di lavoro, era già laureato. In quegli anni, molti isolani si imbarcavano per lunghi mesi, a volte tornando a casa e conoscendo i propri figli solo dopo tanto tempo.
Eppure Taki, pur avendo scelto di sua iniziativa quella carriera, non era convinto: rifiutava le offerte. Una volta mi confidò che aveva sempre amato l’arte e il disegno. A scuola eccelleva soprattutto quando si trattava di disegnare mappe e strumenti nautici. Seppi poi che si era finalmente deciso: aveva fatto la sua scelta.
Spinto da una passione autentica, allestì il suo primo laboratorio di ceramica nell’officina del padre, Michele Calise, a Lacco Ameno. Era felice: passava le ore a creare, modellare, dipingere pezzi originali di ogni tipo. Il lavoro andava bene e, nel 1980, si trasferì definitivamente a Forio, dove aprì la sua bottega sul corso.
Da quel momento, dire “Taki” significava parlare di bellezza e di oggetti artistici di alto livello, creati con fantasia. Non amava le cose tutte uguali: diceva che diventavano commerciali — non per disprezzo verso l’oggetto commerciale in sé, ma per ricordare a se stesso che voleva lavorare secondo la sua visione artistica.
Quel negozio — che preferisco chiamare bottega d’arte — non era solo un luogo dove acquistare, ma anche un punto d’incontro per amici e conoscenti, che si fermavano volentieri a scambiare idee e opinioni.
Taki aveva capito di amare l’arte, il disegno e la ceramica fin da bambino, quando usciva con fogli e carboncini per disegnare tutto ciò che attirava la sua attenzione.
Ci ha lasciati il 10 marzo 2006, troppo presto. Ma come accade con ogni vero artista, ha lasciato tanto di sé: ceramiche smaltate, grezze, oggetti unici. Ogni volta che leggo la sua firma, sorrido con tenerezza, anche perché il destino ha voluto che conoscessi e volessi bene a Michele, suo figlio e di Nunzia Bertrando. È come se, attraverso di lui, continuasse quel “Piacere, Taki” che ricordo come fosse ieri, in quegli anni belli per la mia e la sua generazione.
Ringrazio Michele Calise per aver collaborato con me.