La POLPA E L’OSSO di Francesco Rispoli | Affittasi villino sopra la ferrovia
con tavernetta adiacente
il capolinea dei bus
e salotto limitrofo al metrò.
Povere case abitate dal rumore
dove famiglie piccole e isolate
si stringono – uccelletti sopra i cavi
dell’alta tensione. L’alta
tensione del censo
e delle classi, l’alta
tensione del denaro,
quella scossa invisibile
che divide le vacche
nei campi, e voi da noi.
V. Magrelli, Didascalie per la lettura di un giornale, 1999
A Hong Kong circa 220 mila persone vivono nelle case-bara, le “coffin homes”, scatole di legno o metallo di 1,5 mq impilate una sull’altra in grandi stanze, come scaffali di un magazzino. Dentro c’è solo un piccolo materasso. Impossibile stare in piedi. Pareti e soffitto hanno ganci e barre metalliche per appendere gli oggetti personali. Ai piedi del letto – nei casi “fortunati” – c’è un mini televisore. Una porta scorrevole con un lucchetto, garantisce un minimo di privacy.
Nascono dalla riconversione abusiva di appartamenti preesistenti. I proprietari vi costruiscono divisori per ricavare il maggior numero possibile di unità abitative. Una singola stanza “ospita” 15 -20 casse, con bagni e cucine condivise tra tutti gli inquilini.
Un ambiente claustrofobico, privo di ventilazione, spesso infestato da insetti. C’è di peggio: le “case gabbia”, strutture in rete metallica di 1,3 mq. Senza privacy, espongono gli inquilini a odori, rumori e sguardi degli altri.
Il 64% dei residenti delle case-bara ha età tra 25 e 64 anni, la forza lavoro attiva della città. Il 16% meno di 15 anni: circa 50.000 bambini e adolescenti. Queste “case” sono abitate da lavoratori a basso reddito (1.100 -1.700 euro/mese), pensionati con assegni miserevoli, ex detenuti che faticano a reinserirsi, persone affette da patologie, tossicodipendenti. Le case bara costano 350 euro al mese. Le case gabbia 170. Un “pakaging” che “ottimizza” lo spazio “abitabile”.
Abito, abitudine, abitare hanno la stessa radice. Ci abitueremo, ci “adatteremo” anche ad abiti come questi per abitare il futuro dello sfruttamento dilagante? Ci abitueremo all’essere umano come strumento, merce che fabbrica merce, progressiva ni-entità?
