In poche settimane, tre rinomate strutture ricettive dell’isola d’Ischia — il “Rena” ai Maronti, il “Samara” a Casamicciola Terme e il “Pagoda Hotel” nel Comune di Ischia — sono passate da bersagli di provvedimenti repressivi delle autorità locali a esempi clamorosi di revoche sancite dalla giustizia amministrativa. Tra il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, e successivamente anche il Consiglio di Stato, hanno infatti annullato le interdizioni comminate, restituendo a queste imprese non solo la piena operatività, ma anche una boccata d’ossigeno in un momento cruciale: l’avvio della stagione turistica.
Tre casi distinti, un comune denominatore: la fragilità delle censure mosse dalle autorità locali o, comunque, la considerazione inequivocabile del danno grave e irreparabile che la loro chiusura avrebbe scaturito. Nel caso del “Rena”, i rilievi mossi non sono stati ritenuti tali da giustificare un sequestro perdurante. Analogo discorso per il “Samara”, con contestazioni su autorizzazioni considerate dai giudici non sufficientemente motivate per interrompere l’attività. Infine, il caso più emblematico è forse quello del “Pagoda Hotel”, struttura storica nel porto di Ischia, chiusa per presunte violazioni edilizie e riaperta dopo una puntuale analisi della documentazione urbanistica che in qualche modo deve averne ha confermato la regolarità.
Il danno potenziale per queste imprese, e per l’indotto economico e occupazionale che rappresentano, è evidente. Decine di lavoratori si sono trovati improvvisamente sospesi tra l’incertezza occupazionale e il rischio concreto di perdere il lavoro proprio alla vigilia della stagione estiva, momento strategico per il turismo ischitano. Non meno rilevante è stato l’effetto reputazionale: chiusure, sigilli e titoli di giornale creano un alone di sospetto che non sempre si dissolve con la revoca di un provvedimento.
Questo susseguirsi di annullamenti da parte della giustizia amministrativa alimenta una riflessione legittima e urgente: è opportuno continuare ad adottare provvedimenti tanto gravi quanto instabili proprio all’inizio della stagione turistica? Le azioni repressive delle autorità locali, se non sorrette da solide basi giuridiche e da una ponderazione effettiva degli interessi in gioco, rischiano di trasformarsi in boomerang. La tutela del territorio e della legalità è un dovere imprescindibile, ma deve essere esercitata con rigore e responsabilità, evitando che lo zelo amministrativo si traduca in danni economici irreparabili per il tessuto produttivo locale.
È evidente che qualcosa, nel rapporto tra pubblica amministrazione e impresa turistica, vada ricalibrato. La tempestività di intervento non può prescindere dalla precisione giuridica, e l’urgenza non può giustificare il sacrificio preventivo della sostenibilità economica di intere strutture, spesso frutto di investimenti decennali. I pronunciamenti del TAR e del Consiglio di Stato rappresentano un campanello d’allarme non solo per chi emette ordinanze, ma per l’intero sistema di vigilanza e controllo del territorio. E per dirla tutta, anche tra giustizia amministrativa e autorità locali dovrebbe esserci forse maggior coordinamento. E mentre Vi scrivo, si è ancora in attesa dal TAR Campania Napoli della sentenza in forma abbreviata per il nuovo ricorso riguardante il bando per l’assegnazione dei campi da tennis comunali a Ischia.
In definitiva, la “stagione dei sequestri” sembra essersi trasformata in una stagione di sonore bocciature. E il messaggio che emerge da queste pronunce è chiaro: la legalità non si tutela con gesti eclatanti ma con atti ponderati, proporzionati e ben fondati. Perché se la giustizia corregge, ma non risarcisce, a pagare — ancora una volta — sono imprese, lavoratori e un’intera comunità che del turismo vive e sopravvive.
