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venerdì, Aprile 19, 2024

La riforma Cartabia e il “giusto processo”

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La introduzione della “prescrizione processuale” dopo la sentenza di primo grado è idonea a rimediare all’abominio della riforma Bonafede, dettata da spinte giustizialiste che, dopo il primo grado di giudizio, prevede il blocco della prescrizione, con la conseguenza di avere processi eterni, per i quali non è determinato un tempo per la loro celebrazione, con imputati – con ogni probabilità innocenti (statisticamente vengono assolti più del 50 per cento degli indiziati) – costretti a restare tali a vita, con irrimediabili pregiudizi, e con le parti offese che non avranno mai diritto ad avere giustizia e a vedersi riconoscere un risarcimento . Ciò in ragione di una paventata, quanto falsa, impunità degli autori di reati gravi, per i quali, invero, il termine di prescrizione è già alquanto elevato.

CRISTIANO ROSSETTI avvocato penalista, delegato della Camera Penale sull’isola d’Ischia | Di recente il Governo ha approvato all’unanimità gli emendamenti al disegno di legge recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello” proposti dal ministro della giustizia, Marta Cartabia.

I punti relativi alla prescrizione hanno tuttavia costituito immediatamente  terreno di scontro tra le diverse anime del governo, che, nella giornata di giovedì, sono pervenute ad una intesa, dando il via libera al testo, che domenica sarà votato alla camera.

Si è trattato, senza dubbio, di un intervento dettato dalla necessità di ridurre i tempi del processo penale, più che dallo scopo di realizzare una autentica e coerente riforma, così da fornire una risposta alle richiesta dell’Europa per accedere al Recovery found.

È certamente prematuro, allo stato, esprimere un giudizio sulla portata di tali interventi programmatici. Tuttavia, sebbene con i dovuti limiti, si può cogliere un netto miglioramento rispetto alle proposte di riforma avanzate dall’ex ministro Bonafede.

I penalisti italiani hanno cercato di dare il proprio contributo al fine di evitare che il raggiungimento dell’obiettivo di accorciare i tempi del processo penale potesse pregiudicare il diritto di difesa dei cittadini del “giusto processo”, individuando, sin da subito, delle priorità costituite dal superamento del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, che comporta la inaccettabile  conseguenza di avere imputati “a vita”, e dalla intangibilità delle regole dell’appello penale  indicando, inoltre, quali strumenti di riduzione dei tempi del processo, il rafforzamento della funzione di filtro della udienza preliminare, il potenziamento dei riti alternativi e il rafforzamento del sistema delle pene alternative.

In realtà, la strada per ridurre effettivamente i tempi del processo penale senza pregiudizi per il diritto di difesa dei cittadini sarebbe quella di effettuare sostenuti investimenti per assicurare più magistrati e più personale amministrativo, del tutto carenti.

A tal proposito i fondi europei non dovrebbero costituire il pretesto per riscrivere le strutture portanti del giusto processo in danno dei diritti del cittadino ma dovrebbero, invece, essere lo strumento per adeguare concretamente gli uffici giudiziari a quegli standard di efficienza ed operatività, la cui grave disfunzione costituisce la vera ragione del cattivo funzionamento della giustizia nel nostro Paese.

Per quanto attiene al testo licenziato dal Governo l’intervento che più ha fatto discutere, rischiando di far saltare il banco, è quello relativo alla prescrizione.

La disciplina già in vigore, che blocca la prescrizione a seguito della sentenza di primo grado (indifferentemente se sia intervenuta condanna o assoluzione) viene confermata, ma al contempo si stabilisce una durata massima di due anni per i processi d’appello e di un anno per quelli innanzi alla Corte di Cassazione, con possibilità di proroga. Decorsi detti termini, opererà l’improcedibilità,espressamente esclusa per i reati imprescrittibili puniti con la pena dell’ergastolo.

In seguito alle ultime modifiche apportate è prevista la possibilità di disporre più proroghe al termine, con ordinanza motivata e impugnabile, per i processi relativi a reati più gravi, quali: associazione mafiosa, violenza sessuale, associazione finalizzata allo spaccio, reati con finalità di terrorismo ed è stato introdotto un regime transitorio per i primi tre anni (fino al 31 dicembre 2024) con termini più lunghi (tre anni in appello e un anno e sei mesi in Cassazione).

Detta disciplina troverà applicazione per i reati commessi dal gennaio 2020.

La introduzione della “prescrizione processuale” dopo la sentenza di primo grado è idonea a rimediare all’abominio della riforma Bonafede, dettata da spinte giustizialiste che, dopo il primo grado di giudizio, prevede il blocco della prescrizione, con la conseguenza di  avere processi eterni, per i quali non è determinato un tempo per la loro celebrazione, con imputati – con ogni probabilità innocenti (statisticamente vengono assolti più del 50 per cento degli indiziati) – costretti a restare tali a vita, con irrimediabili pregiudizi, e con le parti offese che non avranno mai diritto ad avere giustizia e a vedersi riconoscere un risarcimento. Ciò in ragione di una paventata, quanto falsa, impunità degli autori di reati gravi, per i quali, invero, il termine di prescrizione è già alquanto elevato.

Va in ogni caso segnalato che la soluzione individuata per superare la sciagurata abolizione della disciplina della prescrizione dopo il giudizio di primo grado poteva essere certamente più lineare, mantenendosi nell’area della prescrizione sostanziale, come del resto fatto con la “riforma Orlando”.

Va, inoltre, considerato che il tema della prescrizione, avendo occupato la scena mediatica, ha offuscato una serie di numerosi interventi sicuramente significativi.

Si è previsto, ad esempio, di intervenire in ambito di digitalizzazione dei procedimenti, disponendo che il deposito atti e le notifiche potranno effettuarsi per mezzi telematici, il che appare senza dubbio auspicabile.

È poi previsto che i termini di durata massima delle indagini vengono rimodulati rispetto alla gravità del reato, con possibilità di controllo sul tempo della iscrizione e la sua eventuale retrodatazione da parte del giudice e che il P.M. potrà disporre il rinvio a giudizio solo se gli elementi consentano una ragionevole previsione di condanna nonché che, all’esito dell’udienza preliminare, limitata a reati di peculiare gravità, con contestuale ampliamento delle ipotesi di citazione diretta a giudizio, il giudice pronuncerà sentenza di non luogo a procedere ove gli elementi acquisiti non consentano una ragionevole previsione di condanna. Bisognerà tuttavia verificare che applicazione troverà nella pratica tale previsione e se sarà veramente idonea ad accrescere la funzione di filtro dell’udienza preliminare.

In tema di riti alternativi, poi, al fine di incentivarne l’accesso, si è stabilito che per il patteggiamento ove la pena detentiva da applicare superi i due anni (patteggiamento allargato), l’accordo tra imputato e P.M. potrà riguardare finanche pene accessorie e loro durata, confisca facoltativa e determinazione del relativo oggetto e ammontare e, per il giudizio abbreviato, una ulteriore riduzione di un sesto della pena inflitta, in ipotesi di mancata proposizione di impugnazione da parte dell’imputato. Al riguardo va però registrato il ridimensionamento della originaria idea di potenziare il giudizio abbreviato condizionato, che sostanzialmente riporta la regola per la sua ammissione all’attuale e al criterio di “economicità” del rito speciale richiesto, così vanificando le comuni indicazioni provenienti da Magistratura e Avvocatura in sede di consultazioni, che avevano proposto per l’ammissione del rito il criterio della decisività e della pertinenza della prova indicata.

Per quanto attiene al dibattimento, viene ampliata l’ipotesi dei reati per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio dinanzi al tribunale monocratico e per detti procedimenti viene introdotta un’udienza predibattimentale in camera di consiglio, innanzi a un giudice diverso da quello davanti al quale, eventualmente, dovrà celebrarsi il dibattimento, che potrà emettere sentenza di proscioglimento e provvedere sulle richieste di riti alternativi. Sul punto è evidente come che si tratti di una previsione destinata ad appesantire  invece di accelerare i meccanismi processuali.

Inoltre, nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice dispone, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta, solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze. Si tratta di una soluzione comunque non condivisibile perché incompatibile con la natura accusatoria del rito e che con il principio che il giudice che pronunci la sentenza sia il medesimo dinanzi al quale è stata acquisita la prova, ma che quantomeno ferma il tentativo di rendere sempre utilizzabili le prove precedentemente raccolte in caso di mutamento del collegio giudicante.

È inoltre da segnalare, in tema di impugnazioni, la previsione di ipotesi tassative di inappellabilità delle sentenze di primo grado e della inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi che, per la verità, lascia margini alla possibilità di riproporre, in sede di decreti delegati, il tentativo di trasfigurazione dell’appello in giudizio sull’atto e non sul fatto, atteso che le esigenze di specificità dell’atto di appello sono già ben delineate nel vigente codice di rito, dopo la recente riforma Orlando dell’art. 581 lett. D) c.p.p..

Altra previsione non condivisibile, che pare dettata dall’obiettivo di creare una pretestuosa complicazione nella proposizione dell’appello al fine di dichiararli inammissibili, è quella del mandato specifico che si deve acquisire dopo la sentenza di condanna, unitamente alla nuova elezione di domicilio per il grado d’appello, previste a pena di inammissibilità. Tale norma inciderà soprattutto sugli imputati assistiti dal difensore di ufficio, cioè sui soggetti socialmente più deboli, che hanno maggiore difficoltà a mantenere rapporti di con il difensore.

Si contempla, poi, un ulteriore mezzo di impugnazione straordinario innanzi alla Corte di Cassazione, finalizzato ad eseguire le sentenze CEDU prevedendosi la trattazione dei ricorsi con contradditorio scritto, facendo comunque salva l’eventuale istanza, formulata dalle parti, di discussione orale,  trasformando, in regola quella che era una eccezione nel periodo emergenziale del Covid.

Sono previste poi una serie di misure deflattive, che appaiono effettivamente auspicabili, e un rafforzamento delle condotte riparatorie.

Il testo prevede di ampliare la procedibilità a querela a specifici reati contro la persona e contro il patrimonio, con pena non superiore nel minimo a due anni, nonché quelli per lesioni stradali, salva la procedibilità d’ufficio ove la vittima risulti incapace per età o infermità, e di estendere altresì l’ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato ad altri specifici reati puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell’autore, compatibili con l’istituto.

Vi è poi l’intenzione di ampliare l’ambito applicativo della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p., considerati gli effetti benefici che l’istituto può sortire sia in termini di efficienza processuale e della modesta applicazione che lo stesso ha avuto negli ultimi anni, andando ad intervenire sulla cornice di pena edittale e valorizzando le condotte post factum.

È di sicuro rilievo, poi, la previsione dell’applicazione, a titolo di pene sostitutive, del lavoro di pubblica utilità e di alcune misure alternative alla detenzione, nonché quella di prevedere una causa di estinzione delle contravvenzioni destinata a operare nella fase delle indagini preliminari, per effetto del tempestivo adempimento di apposite prescrizioni impartite dall’organo accertatore e del pagamento di una somma di denaro (oggi prevista solo per talune fattispecie) e la possibilità della prestazione di lavoro di pubblica utilità in alternativa al pagamento della somma di denaro nonché di attenuazione della pena nel caso di adempimento tardivo.

Resterà da attendere come dette previsioni saranno attuate.

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