Nel panorama normativo italiano, una novità piuttosto significativa è emersa con il recentissimo aggiornamento dei codici ATECO 2025: è stato attivato il codice 96.99.92, che identifica l’attività di “servizi di incontro ed eventi simili”. Una dicitura all’apparenza generica, ma che racchiude al suo interno un insieme eterogeneo e delicatissimo di pratiche e professioni: dalle agenzie matrimoniali agli eventi di speed networking, fino ad arrivare a escort, servizi sessuali e locali di prostituzione.Una formalizzazione, questa, che solleva interrogativi non solo economici e burocratici, ma soprattutto etici, giuridici e sociali. Il riconoscimento implicito dell’esistenza di un sistema di servizi legati all’incontro e alla sessualità, che può includere anche la prostituzione in alcune sue forme, entra in rotta di collisione con una realtà giuridica ambigua e contraddittoria.La prostituzione, in Italia, non è reato. Eppure, tutto ciò che vi ruota attorno lo è o rischia di esserlo: lo sfruttamento, il favoreggiamento, la gestione di case di tolleranza. Un paradosso normativo che produce una zona grigia in cui la persona che si prostituisce non è criminalizzata, ma chiunque ne favorisca o gestisca l’attività può essere accusato di reato.In questo senso, l’introduzione del codice ATECO 96.99.92 è un passo che sembra andare in direzione opposta rispetto alla rigidità delle leggi attuali. È il segnale, forse, di un tentativo implicito di normalizzare un’attività che, pur essendo tollerata, è ancora trattata come invisibile. Ma è anche la dimostrazione di una profonda ipocrisia legislativa, che richiama alla mente un altro nodo irrisolto del nostro sistema: quello della detenzione di sostanze stupefacenti.Come nel caso della droga, anche per la prostituzione il confine tra lecito e illecito si gioca su sottigliezze interpretative. La legge italiana distingue tra consumo personale e spaccio in base alla quantità detenuta, ma ignora il fatto che chi consuma deve inevitabilmente attingere a un mercato illegale, non regolamentato e spesso dominato da organizzazioni criminali. Allo stesso modo, chi si prostituisce può farlo legalmente, ma deve agire in totale autonomia, senza intermediari né luoghi dedicati. Una sorta di astrazione, questa, che di fatto non tiene conto della realtà concreta e delle sue complessità.Il risultato è un sistema che espone le persone che si prostituiscono a vulnerabilità enormi: sfruttamento, ricatti, violenze, assenza di tutele sanitarie e fiscali. Tutto ciò potrebbe essere contrastato attraverso un riconoscimento legale pieno e trasparente della prostituzione come attività lavorativa, sottraendola al mercato nero e alla criminalità, e garantendo diritti, sicurezza e dignità a chi la esercita.Legalizzare non significa promuovere un danno alla salute (come avverrebbe nel caso della liberalizzazione delle droghe), ma regolamentare per proteggere, creare un quadro normativo chiaro, che distingua chi esercita la prostituzione in modo libero e consapevole da chi è vittima di tratta e sfruttamento, rendere possibile l’emersione di attività che oggi si muovono nell’ombra, privando lo Stato di risorse economiche e i cittadini di diritti fondamentali.L’attivazione del codice ATECO 96.99.92 è un segnale da non sottovalutare. Potrebbe rappresentare il primo passo verso una riforma più ampia e coraggiosa, lontana da vincoli arcaici, che metta fine a una lunga stagione di ipocrisie e omissioni. Ma perché ciò avvenga, serve una visione politica lucida, capace di affrontare con onestà e pragmatismo un tema complesso e divisivo, senza cedere né al moralismo né alla rassegnazione.
La prostituzione e l’ipocrisia legislativa | #4WD

Daily 4ward di Davide Conte del 11 aprile 2025