Ieri sono riuscito a parlare al telefono con la mia adorata Maestra Lucia Cortese Petronio in occasione del suo novantesimo compleanno e non Vi nascondo che ci siamo reciprocamente emozionati: la sua signorile e proverbiale pacatezza nell’esprimersi ancora con quel linguaggio semplice ma forbito al tempo stesso resta un suo dono inesauribile. Ma mi ha letteralmente colpito e affondato quando, al suo “pronto”, io le ho semplicemente detto: “Maestra mia bella” e lei, senza un attimo di esitazione, ha risposto: “Davide!”.
Brividi, signore e signori! Emozioni d’altri tempi, un turbinio di ricordi per giungere in un attimo al 1972, a quel primo giorno di scuola alla “Buonocore” quando mi accolse come alunno e figlio di Angelina, sua cara amica che volle con tutto il cuore che fosse proprio lei a guidarmi in quel primo quinquennio così importante. E come dimenticare la sua divertita sorpresa allorquando, uscendo tutti in fila per uno dall’aula per tornare a casa, io mi accorsi dell’andamento troppo lento e, defilandomi rapidamente, la salutai rispondendo al suo richiamo con il più classico dei “Maestra, devo fare presto, sta per iniziare OGGI LE COMICHE in tivù!”.
Al di là di questo, tra me e lei c’è sempre stato un feeling particolare: mai mancata ad una mia festa di compleanno, mai privilegiato rispetto agli altri compagni, mai privato del ruolo di inquilino devoto di un piccolo pezzetto del suo grande cuore che ho la presunzione di occupare tuttora e di ricambiare nel mio. E in quell’innato pormi sempre in prima linea qualsiasi cosa fosse necessario affrontare, lei ha sempre saputo scorgere l’aspetto positivo, mettendolo sovente a disposizione di chi potesse averne bisogno per non restare indietro. Come quando, poche settimane prima dell’esame di quinta elementare, mi affidò un compagno “disagiato” per aiutarlo con il tema d’italiano e, soprattutto, per imparare una poesia da recitare in sede d’esame. Unica chance possibile, il colpo di genio di insegnargliela a memoria e… in napoletano: “Marzo, nu poco chiove e n’atu poco stracqua…”, missione compiuta.
Tanti episodi, quelli con la maestra Lucia, rimasti incastonati nella mia memoria come gemme di un tempo che non tornerà, ma che vive ogni volta che ho l’occasione di pensarci. Perché lei non è stata soltanto insegnante ma guida gentile, presenza costante, esempio silenzioso di nobiltà d’animo e dedizione pura. Il suo sguardo sapeva arrivare dove nessuna parola poteva, e il suo silenzio, quando serviva, diceva molto più di un rimprovero. Un dono di pochi!
Il passar del tempo che mi ha visto progressivamente figlio, alunno, adolescente, maggiorenne, militare, imprenditore, marito, padre e uomo pubblico ha segnato un percorso di vita in cui quegli splendidi cinque anni con la mia Maestra hanno contribuito in modo prezioso a rendermi l’uomo che sono, guidandomi e orientandomi inconsciamente come una bussola invisibile. Forse per questo il suo novantesimo compleanno non è soltanto una ricorrenza da festeggiare. È un’occasione per celebrare la bellezza di valori come la dedizione e l’affetto che attraversano il tempo senza consumarsi e che, in qualche modo, fa rivivere con lei anche la mia mamma, ormai mancata da dieci anni, stringendo forte quel filo invisibile che ci unisce ancora, fatto di lavagne, gessetti, quaderni a righe e momenti di vicinanza che non hanno mai avuto bisogno di mani per farsi sentire.
Cara Maestra, un mondo di auguri, salute, tanta buona vita ancora e… grazie. Per avermi insegnato tanto, ma soprattutto a “sentire”, più che leggere e scrivere. Voi (che bello questo pronome così nostalgico) siete una parte troppo importante della mia vita, che ritrovo con affetto filiale ogni volta che do appuntamento ai miei ricordi più belli.
Ancora buon compleanno, Maestra mia bella.

