giovedì, Febbraio 13, 2025

La compravendita dell’immobile a Ischia tra padre e figli del camorrista condannato

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Il bene non rientra tra quelli confiscati e poi parzialmente restituiti. Nel ricorso uno dei figli chiedeva la restituzione totale, ma per il rigetto è risultata dirimente la somma donata al terzo intestatario proprio da Mario Murolo «in epoca vicina alla data di inizio della presunzione relativa di accumulo illecito di ricchezza»

Una recente sentenza della Cassazione sulla confisca di beni acquistati con proventi illeciti ripropone un dato già ben noto e con il quale la società isolana è chiamata a fare i conti. La presenza di personaggi poco raccomandabili e appartenenti alla malavita organizzata che hanno acquistato immobili sull’isola e si sono profondamente infiltrati nel tessuto economico. I fatti a cui fa riferimento la sentenza risalgono nel tempo, ma restano purtroppo attuali.

In questo caso il collegio della Quinta Sezione Penale ha rigettato il ricorso presentato da Giuseppe Murolo, il cui padre Mario era stato condannato per associazione camorristica. A sua volta il padre del condannato, nonno del ricorrente, nei primi anni del secolo aveva appunto acquistato un immobile a Ischia, poi venduto ai nipoti, che successivamente lo avevano rivenduto. Questo bene dunque non è mai stato confiscato, non essendo mai stato nella disponibilità dell’affiliato alla camorra.
La sentenza ripercorre dapprima i fatti. Il ricorrente ha impugnato l’ordinanza con cui il Gip del Tribunale di Napoli, decidendo in sede di esecuzione ed a seguito di annullamento con rinvio da parte della Prima Sezione Penale, ha revocato la confisca di due unità immobiliari ubicare a Napoli «di proprietà di Assunta Castaldi; il Gip ha mantenuto, invece, il provvedimento ablatorio nei confronti dell’immobile di Giuseppe Murolo (sempre a Napoli, ndr), riducendolo nella misura di un terzo del valore dell’acquisto immobiliare, ritenuto che, per una parte del bene, era rilevabile una provvista lecita utilizzata per l’acquisto».

LA CONDANNA PER ASSOCIAZIOE MAFIOSA

Di seguito si illustrano i motivi della confisca che era stata operata e in parte mantenuta: «Assunta Castaldi e Giuseppe Murolo sono i figli, ritenuti terzi intestatari, di Mario Murolo, condannato in via definitiva per il delitto di associazione mafiosa ed alcuni delitti-scopo, collocato il primo dal novembre 2009 ed i secondi da aprile 2010. Nei confronti del condannato è stata contestualmente disposta la confisca dei beni nella sua disponibilità e nella disponibilità dei terzi intestatari, ritenuta la sussistenza delle condizioni di legge».
La sentenza di annullamento «ruota intorno al tema della perimetrazione cronologica delle risorse investite negli acquisti, risalenti all’anno 2005, rispetto alla data di commissione dei “delitti-sorgente”, individuata, dalla sentenza di condanna, negli anni 2009-2010.
Il criterio di ragionevolezza temporale, secondo la Cassazione, era stato trascurato dal giudice, ritenendolo assorbito dal giudizio di sproporzione del valore dei cespiti rispetto alle capacità reddituali lecite dell’acquirente e del suo nucleo familiare. Tale lacuna motivazionale aveva indotto all’annullamento con rinvio».
L’appello di Giuseppe Murolo contestava «la conclusione del giudice dell’esecuzione di ridurre il valore della confisca piuttosto che di revocarla del tutto, evidenziando l’anteriorità dell’acquisto immobiliare oggetto di ablazione, rispetto alla data di commissione dei fatti di reato, matrice della presunta provvista illecita, e la nuova violazione del criterio di ragionevolezza temporale già enunciato dalla Corte di cassazione nella sentenza rescindente».

L’IMMOBILE A ISCHIA RIVENDUTO NEL 2008
Una questione di tempi. Ma la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto l’appello infondato. Ritenendo che «il Gip ha motivato un’articolata ordinanza con cui ha deciso, in modo logico e corrispondente alla giurisprudenza di legittimità, di disporre solo parzialmente la revoca delle confische di beni stabilite, a seguito della sentenza di condanna irrevocabile di Mario Murolo per il delitto, tra l’altro, di cui all’art. 416-bis cod. pen. (sentenza Gip Napoli del 2014, irrevocabile dal 11.7.2017), nei confronti dei due figli di questi, Assunta Castaldi e Giuseppe Murolo, ritenuti terzi intestatari».

E si arriva al passaggio che maggiormente ci interessa, ovvero all’acquisto dell’immobile a Ischia da parte del nonno, da destinare evidentemente alle attività gestite dalla società di cui era titolare: «In particolare, il giudice ha deciso la revoca della confisca delle due unità immobiliari di proprietà di Assunta Castaldi, ritenendo di non avere elementi sufficienti per colmare il deficit accertativo riferito alla perimetrazione cronologica degli acquisti immobiliari, avvenuti nel 2009-2010, rispetto alla realizzazione dei reati (commessi negli anni dal 2009-2010) e ad un accumulo patrimoniale risultante come già esistente nel 2005, anno dell’acquisto di un immobile sito in Ischia, da parte dei due fratelli terzi intestatari, dal nonno, padre del condannato, che, a sua volta, lo aveva acquistato nel 2002, per la New House s.r.I., società di cui era titolare. L’immobile di Ischia era stato poi rivenduto nel 2008 per la somma di 200.000 euro, divisa tra i figli, i quali avevano proceduto agli acquisti degli immobili oggetto del provvedimento di confisca. Gli acquisti della terza intestataria, per la loro entità (inferiore al valore di 100.000 euro), corrispondente alla provvista lecita, ed il sorgere sin dall’anno 2005 della provvista economica, che sarebbe dunque irragionevole temporalmente collegare ai reati commessi solo a partire dal 2009, sono stati, pertanto, ritenuti leciti ed il Gip ha restituito ad Assunta Castaldi i cespiti».

IL RUOLO DI TERZO INTESTATARIO

Con riferimento a Giuseppe Murolo, invece, ed alla confisca dell’immobile a lui intestato, acquistato il 3.7.2008, «il provvedimento impugnato ha sottolineato come l’acquisto si collochi in epoca “ragionevolmente” prossima alla data dei “delitti-sorgente” (2009-2010) e risulti effettuato, nella misura di un terzo, pari a 50.000 euro, con denaro del genitore Mario Murolo, condannato per tali delitti. Secondo il giudice del rinvio, in alcun modo risulta che sia stata giustificata la provenienza totalmente lecita del denaro utilizzato per l’acquisto immobiliare, in un contesto segnato dalla sproporzione rispetto alle risorse ufficiali del gruppo familiare, assai modeste. Infatti, dal 2001 al 2007, il condannato ha dichiarato redditi per 94.348 euro, insufficienti anche solo a tenere un normale regime di vita – ipotizzando quanto occorre per il sostentamento familiare – e, dunque, inidonei a sostenere lecitamente l’acquisto intestato al figlio Giuseppe. Quest’ultimo, d’altro canto, insieme alla moglie, risulta aver percepito redditi del tutto insufficienti a giustificare l’acquisto e quasi irrisori».
La sentenza prosegue: «Pertanto, se una parte della quota di acquisto dell’immobile confiscato al terzo intestatario ricorrente, pari a 100.000 euro, poteva ritenersi derivata da accumulo lecito – poiché sarebbe irragionevole ritenere che la disponibilità di danaro da parte del ricorrente, sorta sin dal 2005 e confluita nella plusvalenza del 2008 derivata dalla vendita dell’immobile di Ischia, possa collegarsi ai reati commessi solo dal 2009- non altrettanto era a dirsi per la rimanente parte di 50.000 euro, donata al terzo intestatario proprio da Mario Murolo (e dalla moglie, madre del ricorrente) in epoca vicina alla data di inizio della presunzione relativa di accumulo illecito di ricchezza (circa un anno)».

Qui il collegio premette «che il giudice dell’esecuzione può disporre la confisca “estesa”, o “allargata” che dir si voglia, in ordine ai beni che siano entrati nella disponibilità del condannato, fermo il criterio di “ragionevolezza temporale”, fino alla pronuncia della sentenza per il cd. “reato spia”, salva comunque la possibilità di confisca anche di beni acquistati in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima.
In generale, deve mettersi in risalto, infatti, che, in tema di confisca allargata disposta ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell’imputato di beni di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano “ictu oculi” estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione».

LECITO IL PROVENTO DELLA VENDITA

Nel caso in esame «il giudice del rinvio, posta la congruenza, neppure messa in dubbio dalla difesa, della capacità di produrre un consistente reddito dei reati compendiati nelle imputazioni per associazione camorristica ed alcuni delitti-scopo del sodalizio, ha ritenuto – del tutto condivisibilmente – insussistente, sia pur parzialmente, la denunciata distonia ed irragionevolezza temporale tra periodo di presumibile accumulazione della ricchezza illecita, utilizzata come parte della provvista per l’acquisto dell’immobile confiscato pro quota, e la data di tale acquisto: si tratta di uno spazio temporale di circa un anno.
Il criterio di irragionevolezza in esame – è bene evidenziarlo – non postula la perfetta corrispondenza temporale tra acquisto immobiliare e sorgere della presunzione di illecita provvista collegata alla commissione del reato in relazione al quale è intervenuta condanna, ma solo la non eccessiva risalenza dell’epoca di quest’ultimo, come ha ben sottolineato il Sostituto Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta». Chiedendo il rigetto dell’appello.

Viene rimarcato «che l’acquisto dell’immobile confiscato, per la somma di 150.000 euro, risulta che sia avvenuto solo in parte con denaro di provenienza da provvista lecita, vale a dire la plusvalenza della vendita dell’immobile di Ischia di proprietà dei due figli del condannato, pari a 100.000 euro: la differenza di ulteriori 50.000 euro necessari a raggiungere la cifra d’acquisto del cespite confiscato è stata versata dai genitori del terzo intestatario – il condannato Mario Murolo e la moglie di questi – con denaro di cui non è stata giustificata la provenienza lecita, in corrispondenza di una condanna definitiva del latore della provvista economica per reati ragionevolemente collegabili, dal punto di vista temporale, all’accumulo di ricchezza utilizzato per l’acquisto».
L’appellante è terzo intestatario del bene e a tal proposito la Cassazione precisa la necessità che «il terzo – intestatario formale – proprio perché non coinvolto nell’accertamento del reato-presupposto e non interveniente nel processo penale (a differenza di quanto accade nella procedura di prevenzione patrimoniale) abbia la facoltà di contrastare, con pienezza di mezzi dimostrativi, ed in sede di incidente di esecuzione, la ritenuta fittizietà della intestazione».

In questo caso il gip «ha puntualmente preso in considerazione tutte le ragioni della difesa del terzo intestatario, esaminando documentazione e portando congrui argomenti di fatto e motivazionali a sostegno della assoluta incapacità economica del ricorrente per la quota di un terzo dell’acquisto, individuata, quindi, come provvista illecita poiché proveniente da una corrispondente donazione del padre del ricorrente, coeva all’acquisto e ragionevolmente collegata temporalmente ai reati in relazione ai quali quest’ultimo è stato condannato in via definitiva e per i quali la legge prescrive la presunzione relativa di illecito accumulo di ricchezza».
Mentre invece «sul punto dell’intestazione, il motivo di ricorso è generico e si concentra prevalentemente sulla diversa questione della ragionevolezza temporale».

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